MittelEuropa/Bruxelles teme lo scontro con l’Eliseo: significherebbe indebolire il governo e rendere difficile il percorso delle «riforme». E anche i tedeschi si interrogano
La Francia è considerata «il malato» d’Europa. Il giudizio viene ripetuto a Bruxelles, Berlino e Londra. Le pressioni della Commissione aumentano su Parigi, accusata di aver presentato una finanziaria 2015 in deficit eccessivo (4,3% del pil, mentre la promessa di rientrare nel 3% è rimandata di nuovo di due anni, questa volta al 2017). Bruxelles minaccia la Francia di chiedere modifiche al budget – altri 8 miliardi di tagli, oltre i 21 previsti – mentre in caso contrario ci potrebbe essere l’apertura di una procedura per deficit eccessivo (c’era già stata nel 2009, assieme a Grecia, Spagna e Irlanda), seguita dall’imposizione di una multa, pari allo 0,2% del pil (procedura mai messa in atto finora da Bruxelles). L’Europa chiede alla Francia ulteriori tagli alla spesa sociale e di non aumentare le pensioni minime. Il governo di Manuel Valls punta i piedi. Il ministro delle Finanze, Michel Sapin, ripete che «la Francia nel 2015 non farà più di 21 miliardi di economie previste e non intende neppure aumentare le tasse». Il governo francese sa che la Commissione Juncker che se sarà approvata il 22 ottobre dall’Europarlamento entrerà in attività all’inizio di novembre – non può inaugurare il mandato con uno scontro frontale con uno dei paesi fondatori, la seconda economia della zona euro. Bruxelles teme che andare allo scontro con Parigi potrebbe significare indebolire ancora di più il governo e rendere ancora più difficile il percorso delle «riforme». Anche a Berlino si interrogano. La Francia e la Germania sono i principali partner reciproci (per la Germania l’export verso la Francia conta per il 10%, per la Francia verso la Germania il 14,5%). I due paesi sono le prime economie della zona euro, pesano il 25% (Germania) e il 19% (Francia).
Nell’ultimo decennio (2001-2013), il pil francese è cresciuto del 38%, più della Germania (+30%). Nel 2001, la situazione rispetto ai deficit era inversa: in Francia era l’1,5%, in Germania il 3,1% del pil. Ma oggi la Francia è al 4,4%, la Germania vicino allo zero. Che cosa è successo? Francia e Germania hanno una struttura simile di spesa pubblica, i tre quarti sono concentrati, in entrambi i paesi, in quattro settori: protezione sociale, sanità, scuola, servizi della pubblica amministrazione. Ma il «peso» di questa spesa sul pil diverge, in Germania è del 44,8% del pil, in Francia è cresciuto al 56,5%, moltiplicato per tre in 12 anni. Da quando c’è l’euro, la spesa pubblica in Francia è cresciuta, per un aumento dei trasferimenti sociali, conseguenza della forte disoccupazione. In Germania è diminuito. Nel 2003 le situazioni dei due paesi erano simili, entrambi non erano riusciti a rispettare i parametri europei, e li avevano violati. Questo episodio è all’origine di un risentimento dei piccoli paesi, che hanno dovuto chinare la testa ai diktat tedeschi e che adesso si vendicano sulla Francia, mettendola con le spalle al muro.
Parigi non è mai riuscita a imporre nella zona euro la scelta di una strategia di ritorno alla crescita, mentre si è imposto l’orientamento tedesco dell’equilibrio di bilancio. La divergenza di fondo è nella demografia: la Germania è ossessionata dall’invecchiamento della sua popolazione (nel 2030, l’80% della popolazione attiva avrà più di 60 anni), cosa che richiede un tetto al debito pubblico con le regole del Fiscal Compact ed esclude una politica di sostegno alla domanda interna. Per la Francia è l’opposto: il tasso di natalità è alto (2 bambini per donna, contro 1,4 in Germania), c’è bisogno di investimenti pubblici che sono il 3,14% del pil, contro l’1,5% in Germania. La struttura dell’industria, poi, diverge. Alla Germania non interessa l’euro debole, perché importa componenti dalle zone extra euro per la sua industria che produce prodotti di alta gamma. La Francia ha bisogno dell’euro debole, per rilanciare l’export di un’industria concentrata in una gamma più bassa e che dipende meno dall’import di componenti. La Francia fa valere che con un tasso di crescita sufficiente, l’aumento del pil sarà superiore ai tassi di interesse, oggi storicamente bassi anche per Parigi (il servizio del debito francese sarà nel 2015 di 44,3 miliardi, contro 46,7 miliardi quest’anno).
Moody’s non ha abbassato il rating della Francia a settembre, all’ultima asta la Francia ha collocato 8 miliardi di titoli pubblici e si è vista offrire il doppio di questa cifra dai mercati. Le famiglie francesi hanno un patrimonio complessivo pari a 10mila miliardi, cioè cinque volte il debito, che ha toccato la cifra-simbolo di 2mila miliardi. Per Parigi, c’è quindi spazio per uno stimolo economico, necessario in un paese relativamente giovane, che guarda al futuro, con un programma più lento di rientro dai deficit, che eviti lo scontro sociale che potrebbe portare a una crisi politica di grande importanza (alle europee il primo partito è stato il Fronte nazionale).