MittelEuropa/La linea politica della Ue non ha cambiato verso. Renzi ha perso sia la battaglia sulle nomine, sia sulle politiche
La nuova Commissione europea sta nascendo proprio nel corso del semestre di Presidenza italiana dell’Ue. Si sapeva che durante questo semestre non ci sarebbero state iniziative legislative rilevanti, come è ovvio che sia durante un passaggio di consegne, ma qualcuno sperava che almeno nella formazione del nuovo esecutivo il Governo italiano riuscisse ad ottenere qualche risultato. Purtroppo così non è stato, e ci sono ormai molte nubi all’orizzonte per l’Italia in Europa.
Innanzi tutto, Matteo Renzi ha bruciato tutto il suo capitale politico derivato dalla vittoria elettorale per un obiettivo più formale che sostanziale. Un «Ministero degli esteri» che non ha alle spalle una politica di difesa, che non negozia trattati commerciali internazionali, che non gestisce fondi per la cooperazione allo sviluppo, e che non ha nemmeno le competenze dirette sulla politica di vicinato. Nel precedente esecutivo, il Barroso II, l’Alto rappresentante era almeno il primo vicepresidente della Commissione. Nella nuova Commissione, neanche questo, perché Juncker ha affidato il posto all’olandese Timmermans.
C’è poi un secondo livello al quale si determinano gli equilibri di potere fra i paesi all’interno della burocrazia comunitaria, ed è quello dei gabinetti dei 28 Commissari. I paesi più importanti hanno iniziato un lungo lavoro di diplomazia internazionale subito dopo le elezioni di maggio per piazzare i loro uomini a capo dei gabinetti di Commissari di altri paesi. La Cancelleria tedesca, e questo è un segno dei tempi, pare abbia chiesto almeno sei capi di gabinetto, avendo ovviamente già ottenuto quello della Presidenza. Anche qui, su 26 già decisi, l’Italia ne ha solo uno. Quello della Mogherini.
C’era poi chi riponeva grandi speranze oltralpe, nella Francia «socialista» di Hollande, non potendole riporre in casa nostra. Il Commissario agli affari economici e finanziari designato è Pierre Moscovici, già Ministro delle Finanze francese. Nonostante Moscovici si sia contraddistinto più per la sua attenzione al mondo della finanza che alle classi svantaggiate, l’ostilità con cui è stato accolto dai conservatori tedeschi lo ha subito reso molto amato dalla sinistra europea. Alla fine il suo portafoglio è stato svuotato delle competenze cruciali sulle riforme strutturali del mercato del lavoro (affidate a un ex-avvocato della confindustria fiamminga) e del controllo sul settore bancario e sui mercati finanziari (affidati, ovviamente, a un britannico con un passato da lobbysta nella City). La nuova struttura pensata da Juncker, poi, prevede maggiori poteri per i vicepresidenti. Moscovici sarà quindi sottoposto al coordinamento di due ex premier di centrodestra: il finlandese Jyrki Katainen ed il lettone Valdis Dombrovskis. E’ bene tenere a mente questi due nomi e vedere meglio chi sono i due nuovi uomini forti del potere comunitario.
Il primo, Katainen, è quello che negli anni scorsi giocava il ruolo del poliziotto cattivo in Consiglio europeo, con Angela Merkel a fare da mediatrice buona. Fu lui che chiese al governo greco il Partenone come garanzia dei prestiti, e voleva fare altrettanto con il Colosseo per l’Italia. Sarà il vicepresidente incaricato di coordinare tutte le iniziative per l’occupazione, la crescita, gli investimenti e la competitività. Due settimane fa ha già chiarito che il piano di investimenti da 300 miliardi proposto da Juncker consiste in fondi già stanziati, ma riorganizzati ed impacchettati diversamente. Martedì, nella sua audizione al Parlamento europeo, ha rivendicato le misure di austerità imposte agli altri paesi come un successo della politica economica degli ultimi anni.
Il secondo sarà il vero Ministro dell’eurozona. Matematico e fisico di formazione, una carriera nella Banca centrale della Lettonia, ne è stato il primo ministro negli anni della più grande cura di austerità applicata finora. La svalutazione interna, di cui abbiamo tante volte parlato, è stata applicata in Lettonia come in nessun altro paese. Pur non essendo formalmente nella zona euro, la Lettonia ha sempre mantenuto la parità con l’euro stabilita dalla sua banca centrale. Piuttosto che lasciar fluttuare il cambio ha preferito distruggere la domanda interna (25% di Pil, non recuperato) e accettare un’altissima disoccupazione (20% in totale e 36% fra i giovani), risolvendo poi parzialmente il problema con l’emigrazione di oltre il 5% della popolazione in età lavorativa, prevalentemente verso la Germania. In «premio» per aver sopportato questi sacrifici la Lettonia è entrata ufficialmente quest’anno nella zona euro.
Il «modello Lettonia» prevede la mobilità dei lavoratori, o meglio dei disoccupati, come principale meccanismo di aggiustamento all’interno dell’area valutaria. Questo è il modello che si intende applicare al resto dei paesi dell’eurozona. Le riforme richieste all’Italia, la possibilità di rendere più agevole il licenziamento, gli incentivi alla mobilità, l’apertura di sportelli per il reclutamento di giovani italiani da mandare all’estero, vanno inquadrati all’interno di questa prospettiva.
La linea politica di Bruxelles non ha cambiato verso, si è anzi rafforzata. Quando i nodi verranno al pettine, ci troveremo piuttosto sprovvisti in quanto a capacità di influenzare le decisioni. Il governo di Matteo Renzi non è riuscito a vincere né la battaglia sulle nomine, né quella sulle politiche.