Renzismo alla prova/Il 16 luglio sapremo se l’Italia avrà conquistato il prestigioso ruolo di Alto rappresentante per la politica estera con la nomina di Mogherini
Il semestre renziano coincide con l’inizio dell’ottava legislatura dell’Europarlamento: dopo il voto del 25 maggio, i diversi gruppi hanno trovato la loro definitiva composizione e a novembre si insedierà ufficialmente una nuova Commissione. Che, com’è noto, sarà presieduta da Jean-Claude Juncker, candidato del Partito popolare europeo, cioè del gruppo di maggioranza relativa: la sua nomina tiene conto, per la prima volta nella storia, del risultato elettorale (come prevede l’articolo 17 paragrafo 7 del Trattato Ue). Un indiscutibile passo in avanti, che non può tuttavia essere confuso con una piena democratizzazione delle istituzioni Ue, che per essere tale dovrebbe prevedere un autentico «governo» dotato di un omogeneo indirizzo politico, davvero responsabile di fronte alla Camera e all’opinione pubblica. Ciò che la Commissione Juncker non sarà, dal momento che sono gli Stati membri a indicare – uno per ciascuno – i componenti dell’esecutivo comunitario.
La «grande coalizione», insomma, prima ancora che una libera scelta di Ppe e Pse (qual è, Germania docet), è una conseguenza inevitabile della modalità di formazione della Commissione: saranno dunque popolari, oltre al presidente, i commissari tedesco (sicura la riconferma di Günther Oettinger), spagnolo, polacco e greco – per citarne alcuni -, mentre socialisti saranno, fra gli altri, i membri italiano e francese. Ad ampliare lo spettro di posizioni rappresentate ci sarà anche un britannico tory (quindi del gruppo Ecr, Conservatori e Riformisti europei) designato da David Cameron, un premier sempre più «euroscettico», che sul tema dell’appartenenza del Regno Unito all’Ue sa di giocarsi, l’anno prossimo, il proprio futuro politico.
Il 16 luglio – quando tornerà a riunirsi il Consiglio europeo dei capi di governo – sapremo se il presidente del Consiglio italiano l’avrà spuntata nella complessa «partita delle nomine», riuscendo a conquistare il prestigioso ruolo di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza per la ministra Federica Mogherini: in quella circostanza, salvo sorprese, dovrebbe chiarirsi definitivamente la distribuzione degli incarichi di vertice, compreso il successore dell’impalpabile Herman Van Rompuy alla guida del Consiglio stesso. Sarà impossibile non interpretare l’esito della partita a poker dei leader Ue come una misura del peso politico di ciascuno di loro: Renzi lo sa, e vuole poter esibire – soprattutto ad uso della tambureggiante propaganda interna – qualche risultato da celebrare come un suo (ulteriore) personale successo.
Nell’intervento in aula a Strasburgo l’ex sindaco ha mostrato di non temere il confronto dialettico con le posizioni dell’ortodossia pro-austerity rappresentate dal capogruppo del Ppe, il bavarese Manfred Weber, criticato con veemenza anche dal neocapogruppo socialista, il democratico Gianni Pittella. È ormai chiaro che Renzi, sull’onda del 40,8%, ha sostituito l’indebolito François Hollande nel ruolo di portabandiera del «partito della crescita» di fronte all’immobilismo di Angela Merkel, ma è chiaro altrettanto che la «dialettica crescita-stabilità» è più apparente che sostanziale. Una vera svolta non ci sarà, perché ottenere «flessibilità in cambio di riforme» è poca cosa. Né una vera svolta potrebbe esserci, dal momento che gli equilibri di potere restano (purtroppo) quelli fotografati dalla grosse Koalition in salsa comunitaria, riflessi nell’accordo politico (e non «tecnico») fra socialisti e popolari – con l’aggiunta degli immancabili reggicoda liberali. Un assetto che potrà essere alterato davvero soltanto con l’ingresso di una voce realmente fuori dal coro nel Consiglio europeo: al più tardi fra l’inverno del 2015 e la primavera del 2016 andranno alle urne Spagna e Grecia, e, sulla base del voto del 25 maggio, è lecito sperare risultati «da forze di governo» per le sinistre anti-austerità. Nel frattempo, qualcosa di positivo potrebbe accadere se l’Europarlamento – come a volte in passato è accaduto – innescherà qualche battaglia ex parte populi contro il «circuito di governo» Commissione-Consiglio. Ad esempio, sul negoziato del Trattato di libero scambio (Tttip) che avviene in gran segreto sull’asse Bruxelles- Washington gli eurodeputati potrebbero far sentire la loro voce: il comportamento dei socialisti – favorevole al trattato con alcuni «se e ma» – sarà influenzato dall’opinione di Renzi, essendo la delegazione italiana quella più grande all’interno del secondo gruppo parlamentare. Un peso che nei primi scampoli di legislatura si è visto riflesso nella «storica» scelta di Pittella quale nuovo presidente: mai prima d’ora un italiano aveva ricoperto quel ruolo.