Il Fronte nazionale di Le Pen non solo è diventato – dove presente – il primo partito ma ha respinto il Partito socialista, in testa alle presidenziali due anni fa, al terzo posto. Rifletteranno le teste della Ue all’evidenza che l’Europa monetaria e rigorista riporta in vita l’estrema destra per la prima volta nel secondo […]
Speriamo che la solenne botta presa dai socialisti alle elezioni municipali in Francia cancelli gli insulsi sorrisi dai faccioni di Renzi e di Barroso, finora non sfiorati dal dubbio che la politica di austerità seguita dalla commissione avvantaggi le destre. E non le destre, per intenderci, alla Monti, ma quelle estreme e fascistizzanti. Inutile riconoscere che tale è, e senza infingimenti, l’ungherese Viktor Orban, cui è andata per sei mesi la presidenza europea, e lo sono anche le forze che dovunque sfondano i residui bipolarismi tra una destra e una sinistra “democratiche”. Ultima, clamorosa, la Francia, dove domenica si è votato nei 36.000 comuni e il Fronte nazionale di Le Pen, antisemita, xenofobo e antieuropeo, non solo è diventato – là dove era presente – il primo partito ma ha respinto il Partito socialista, in testa alle presidenziali due anni fa, non al secondo ma al terzo posto, mentre il Partito comunista e il fronte delle sinistre sono sovente scivolate al quarto.
Era da prevedersi, quando la disoccupazione e il precariato toccano quattro milioni di francesi, non molto diversamente dall’Italia. Da un paio di anni a questa parte – quasi ogni giorno – una grande o media azienda francese delocalizza o chiude, e il governo Hollande, che aveva vinto impegnandosi a lottare contro la finanza, non è stato in grado difendere l’occupazione, né in genere l’azienda, neanche quando chiudeva o delocalizzava pur dichiarando lauti guadagni; le maestranze uscivano dai reparti decise a lottare, trovavano la solidarietà del sindaco se, come sovente, l’azienda colpita era anche la più importante dei molti borghi di media urbanizzazione. Il risultato abituale era che in capo a tre settimane ci si doveva contentare di negoziare i cosiddetti “piani sociali”, altri e perlopiù lontani impieghi o indennizzi, con le condoglianze delle centrali sindacali e dei ministeri interessati. A tre giorni dalle elezioni municipali, la settimana scorsa ha chiuso la Redoute, la più antica e nota impresa di confezioni che da sola copriva una vasta percentuale dei consumi del ceto medio, trascinando in rovina intere città industriali, erodendo le possibilità di acquisto della massa operaia e piccolo borghese.
Tutto visibile e prevedibile? Sì, salvo che per un governo socialista, simile al nostro Pd, cui i trattati impongono di non intervenire per non turbare la libera concorrenza e che sperava di cavarsela in imprese militari costose e difficili nell’ex impero coloniale francese, nel Mali e poi nel Centro Africa. Mentre il presidente e il ministro degli esteri Fabius strepitavano per ricorrere alla mano dura contro Putin in Crimea; come se il noto nazionalismo dell’esagono potesse far dimenticare le condizioni di impoverimento crescente.
Ieri sera davanti ai risultati tutto lo staff socialista cadeva dalle nuvole mentre Marine Le Pen sguazzava nel trionfo dell’ondata blu che portava il suo nome. Soddisfatta anche l’Ump di Sarkozy, sicura che il governo avrebbe chiamato all’unità nazionale antifascista, legittimando il voto alla destra repubblicana, come già al tempo della caduta di Jospin nelle presidenziali degli anni Novanta. Rifletterà la Commissione europea? Rifletteranno le teste della Ue all’evidenza che l’Europa monetaria e rigorista riporta in vita l’estrema destra per la prima volta nel secondo dopoguerra? E che il Fronte nazionale diventa il primo partito popolare in Francia? Rifletteranno i molti che in Italia osservano benevolmente Renzi e il gioco delle tre carte che consiste nel mettere (forse) in busta paga di una fascia di bassi redditi quel che gli toglie in servizi pubblici e in tasse locali?
Il Pd infatti segue la stessa strada di Hollande, e la sua flebile sinistra interna non appare in grado di fargli cambiare rotta. E che dire della Cgil di Susanna Camusso che strepita dopo aver poco prima votato con la Confindustria un accordo sulle relazioni industriali eccessivo anche per il nostro malridotto vicino? E della Fiom di Landini che, isolata, spera anch’essa nel Matteo nazionale?
Insomma, non resta che augurarci che la dura botta francese, difficilmente recuperabile al secondo turno, funzioni da severa lezione contro gli eccessi di stoltezza degli ultimi vent’anni d’Europa.