Per comprendere e trovare soluzioni alle disuguaglianze di genere a livello economico serve guardare al lavoro e alla cura con un approccio femminista, che tenga conto anche di ciò che accade nel Sud del mondo. Il volume Economia politica femminista. Una prospettiva globale (Giappichelli, 2024), ne offre un valido esempio.
Era da tempo che cercavo per le mie lezioni di Economia di genere un libro di testo che fosse in grado di unire i concetti base dell’economia femminista con un punto di vista analitico aperto alle altre scienze sociali e scevro dalle forme di eurocentrismo tipiche della manualistica economica tradizionale.
Nel libro Feminist Political Economy: A Global Perspective di Sara Cantillon, Odile Mackett e Sara Stevano – di cui ho curato l’edizione italiana, pubblicata dall’editore Giappichelli con il titolo Economia politica femminista. Una prospettiva globale, ndr – ho trovato tutto questo, unito a una chiara struttura espositiva e a una ricchezza concettuale davvero rara.
Come dico spesso in pubblico, parafrasando una famosa fase di Simone De Beauvoir, “economista femminista non si nasce, ma lo si diventa.” A tale scopo, bisogna in primis riconoscere il legame vitale tra economia politica e storia, guardando all’origine delle disuguaglianze di genere che permeano la vita economica.
In tale direzione non si può non partire dalla divisione del lavoro e studiarne l’evoluzione nel tempo, in ottica di genere: ce lo insegnavano in passato i grandi classici dell’economia politica, da Smith a Marx – pur ignorando in gran parte le differenze di ruolo tra uomini e donne – lo ribadiscono oggi con forza, e con uno sguardo globale, le autrici del volume quando scrivono: “le analisi femministe della divisione globale del lavoro in diverse epoche storiche offrono almeno due indicazioni centrali. In primo luogo, la divisione globale del lavoro implica non solo la produzione, ma anche la riproduzione – dall’inizio del periodo coloniale nelle Americhe e nei Caraibi, dove il controllo della riproduzione era una dimensione cruciale dell’estrazione del lavoro, all’era del neoliberismo, segnata dall’ascesa delle catene di cura globali. In secondo luogo, si genera un’organizzazione transnazionale della produzione e della riproduzione, in cui le donne assumono tipi specifici di lavoro, tendenzialmente meno retribuiti e meno sicuri. Non solo, ci sono anche importanti dinamiche di razzializzazione che pongono le donne di colore e le migranti in specifiche posizioni di svantaggio nella divisione globale del lavoro.”
In secondo luogo, bisogna farsi una chiara idea della differenza tra lavoro retribuito e no, guardando all’uso del tempo e inquadrando le scelte individuali in quelle familiari. Il libro affronta queste tematiche a vari livelli – riproduzione sociale, cura e famiglia – facendo un confronto tra diversi approcci critici alla teoria dominante e dando spazio a letture ed esperienze maturate nel Sud globale.
Ritengo da molto tempo, forte della analisi delle esperienze di microfinanza in diversi paesi asiatici e africani, che ci sia molto da imparare dalle pratiche virtuose realizzate in diversi paesi del Sud del mondo. Mi piace pensare che le future generazioni possano essere in grado, anche grazie alle potenzialità delle nuove tecnologie, di indagare più da vicino le realtà in evoluzione in America latina, in Africa e/o in Asia, purché si mantenga salda una impostazione eterodossa e femminista quale quella presentata nel volume.
Il testo di questo articolo è un estratto dalla premessa al volume Economia politica femminista. Una prospettiva globale, di Sara Cantillon, Odile Mackett e Sara Stevano, a cura di Marcella Corsi, Giappichelli, 2024
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