Un tentativo – sotto mentite spoglie – di forzare i ristretti limiti che oggi l’Ue assegna alle politiche per la crescita. Per le quali manca qualsiasi altra istituzione
Nel valutare la decisione presa ieri dalla BCE di essere disponibile ad acquistare titoli di stato con scadenza tra 1 e 3 anni dei paesi membri sul mercato secondario, senza limiti preventivi, va premesso che si sta continuando ad affrontare la crisi come fosse solo di natura finanziaria; in più, l’unica istituzione comunitaria che sta operando è la BCE la quale dispone dello strumento della politica monetaria che certo non è il più efficace per stimolare la crescita. Rispetto a questo obiettivo, che insieme alle compatibilità sociali e ambientali della crescita stessa è tra i più urgenti da perseguire, occorrerebbero strumenti più idonei, quali la programmazione, la redistribuzione del reddito, la politica fiscale e le politiche settoriali direttamente e miratamente rivolte a stimolare la produzione.
Naturalmente gli aspetti finanziari della crisi sono comunque importanti e visto che solo la BCE sembra in grado di fare qualcosa, va preso per buono quello che essa riesce a fare, pur nella consapevolezza dei limiti d’efficacia di questa inadeguatezza strutturale della politica economica comunitaria.
Nell’ambito di questi limiti strutturali, la decisione della BCE – va sottolineato, con un solo voto contrario – va considerata come un tentativo positivo di fare quello che già è al limite di quanto può fare (che non è molto) in base alle regole comunitarie esistenti.
Naturalmente, la BCE non può non ripetere, come fa, che sta operando nell’ambito del suo mandato istituzionale – che è quello di garantire la stabilità dei prezzi. Il paradosso, o se si vuole l’ipocrisia, sta nel dire che proprio e solo per rispettare il mandato della stabilità monetaria la BCE sarà disponibile ad acquistare titoli dei debiti pubblici sovrani.
Ancora, la BCE non può non accompagnare la sua disponibilità ad acquistare bond di singoli paesi con la condizione che i rispettivi governi proseguano nelle loro riforme strutturali finalizzate ad aumentare la produttività e a migliorare i bilanci pubblici; ma sottolinea anche che i singoli paesi debbano anche favorire la costruzione delle istituzioni comunitarie (un messaggio politico non da poco).
Lo stesso paradosso, o ipocrisia, si può cogliere nell’iniziale affermazione del comunicato di Draghi quando ricorda che le previsioni per la crescita fatte dalla BCE sono in peggioramento e che una intensificazione delle tensioni finanziarie nell’area Euro potrebbero influenzare negativamente sia l’inflazione sia la crescita. Dunque, anche se per motivi indiretti (la salvaguardia dell’efficacia della politica monetaria), la BCE decide di sostenere i titoli di stato e salvaguarda anche la crescita.
Importante è anche il rinnovato messaggio alla speculazione, ma anche a forze politiche trasversalmente presenti in tutti i paesi dell’UE, che l’euro è irreversibile.
In definitiva, Draghi si muove cercando di forzare i ristretti limiti che oggi l’UE assegna alle politiche per la crescita e, in più, nell’ambito dei limiti istituzionali ancora più ristretti che vincolano la BCE rispetto a tale obiettivo. Il problema di fondo sta appunto nell’architettura istituzionale entro cui è incatenata la politica economica comunitaria da una politica europea e dalle idiosincrasie nazionali e nazionalistiche che rappresentano uno dei maggiori ostacoli alla risoluzione della crisi europea.