Top menu

Caporalato, blitz dei carabinieri ma non basta

Setacciate le aziende agricole di tutta Italia nel blitz agostano dei carabinieri, oltre metà è risultata non in regola. Ma per il riscatto della raccapricciante morte del bracciante Satnam Singh e per elimirare caporalato e sfruttamento i sindacati chiedono misure strutturali come l’incrocio delle banche dati.

Non è caduta nel vuoto la morte di Satnam Singh, almeno. Forse non ha sgretolato del tutto il muro d’indifferenza e di omertà sullo sfruttamento dei braccianti, i nuovi schiavi che come ombre vediamo curvi sui campi sotto il sole con temperature infernali a raccogliere meloni e pomodori, ma qualcosa, un sussulto, pare averlo prodotto. Così come fu quella di Paola Clemente, altra bracciante uccisa nei campi dal troppo e disumano lavoro nove anni fa, a cui in qualche modo si deve l’attuale legge dura anti-caporalato, ancora una morte ha tolto un mattone a quel muro. 

È stata la vicenda di Satnam Singh, lasciato morire dissanguato lo scorso 17 giugno dal suo datore di lavoro dopo un grave incidente con un vecchio macchinario arrugginito per la raccolta dei meloni nell’Agro Pontino a scatenare un’ondata di indignazione e di proteste, l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e quindi la risposta delle istituzioni. Non degli ispettori del lavoro, che continuano ad essere pochi, ma dei carabinieri del Nucleo Tutela del Lavoro, che sempre ispettori sono e in più hanno la divisa. Sono sempre 660 questi carabinieri-ispettori, come ai tempi in cui in una notte di Covid controllarono a tappeto le condizioni di lavoro dei riders di tutta Italia, ma dal 1° settembre si aspettano un aumento di organico e intanto si sono attivati. 

In questa estate rovente anche dal punto di vista sindacale nelle campagne, le manifestazioni a Foggia e a Latina, le brigate anti-caporalato, alla fine sono stati arrivati i controlli a tappeto nei primi dieci giorni di agosto degli uomini e delle donne dell’Arma. Quasi mille aziende sono finite nel loro mirino ispettivo, dopo aver “incrociato le banche dati a disposizione” – lo dicono loro – per scremare le più problematiche, quasi 5 mila i lavoratori controllati. Nel 53% dei casi le aziende non sono risultate non in regola o con la normativa sull’immigrazione o su quella sulla salute sui luoghi di lavoro, più spesso entrambe. Circa la metà dei lavoratori erano extracomunitari, 213 completamente in nero. Tra questi anche 9 minori. E 50 lavoratori, scrivono gli stessi carabinieri, sono stati “liberati dallo sfruttamento”. Nel senso che le loro condizioni erano di semi schiavitù, con paghe di pochi euro l’ora, drasticamente sotto la paga oraria contrattuale, orari infiniti, senza riposo, senza mascherine per i prodotti chimici, scarpe adeguate, guanti per i macchinari, e cappelli contro i colpi di calore. Nessuno degli imprenditori è stato denunciato per il reato gravissimo di riduzione in schiavitù, ex articolo 600 del codice penale introdotto nel 2003 ma 19 datori di lavoro sono stati denunciati a piede libero per il reato ex articolo 603 bis, caporalato, che nel codice gli sta vicino. Italiani, questi. In tutto sono stati 145 a vedersi sospendere la licenza di attività imprenditoriale mentre altri 144 sono stati diffidati e multati. Poi, naturalmente, la giustizia farà il proprio corso. 

Alla fine non molti sono finiti nelle sue maglie, se si considera l’incidenza dello sfruttamento denunciato dal sindacato Flai-Cgil nelle nostre filiere agricole: nello studio Geografia del caporalato solo nell’Agro Pontino sono state monitorate 8 aziende irregolari su 10. In più sembra strano che i peggiori sfruttatori dei campi siano stati trovati dai carabinieri, che hanno battuto tutta la Penisola, in 15 province che non sono mai state segnalate come le peggiori da questo punto di vista (Torino, Brescia, Mantova, Verona, Piacenza, Ascoli, Perugia, Rieti, Roma, Teramo, Pescara, Caltanissetta, Siracusa e Nuoro). Niente nella Capitanata, nella provincia di Latina, in Calabria, ad esempio. Gli inquirenti non hanno trovato troppo strano questo dato, vista la corsa alla regolarizzazione delle proprie maestranze che si è registrata dal 19 giugno proprio nella zona dove due giorni prima aveva trovato la morte Satnam Singh, sempre lui. E un’impennata di assunzioni dopo la sua morte, in un crescendo che è andato di pari passo con l’indignazione dell’opinione pubblica e della rinata attenzione della politica, si sarebbe registrata anche in tutte le altre terre dello sfruttamento agrario. Ma l’ipotesi si fa più evanescente allargando l’orizzonte geografico e temporale. 

E poi si sa che l’indignazione passa, l’attenzione cala e anche i carabinieri non vanno per campagne tutte le settimane. I sindacati chiedono pertanto misure strutturali. Anzi, in attesa delle 2.000 assunzioni promesse di ispettori del lavoro, i sindacati dicono che comunque queste misure non possono neanche essere solo di natura repressiva, come per altro prevederebbe la legge anticaporalato intitolata a Paola Clemente. 

La prima misura, a ben vedere di carattere sanzionatorio, chiesta a gran voce dal segretario generale della Flai-Cgil Giovanni Mininni, è l’incrocio delle banche dati per scovare meglio i datori di lavoro disonesti e sfruttatori. Il datore di lavoro di Satnam era già risultato non in regola con contributi e fisco, non a caso. Ma non servono i controlli solo sulla contribuzione in capo all’Inps, servono anche altre banche dati, come quella dell’Agea, l’agenzia nazionale che sostiene le produzioni agricole con fondi comunitari, che si avvale di indici di congruità delle produzioni corredati di un archivio di aerofotogrammetrie, cioè foto dall’alto dei campi coltivati. 

Altra misura chiesta dalla Flai è l’abolizione della legge Bossi-Fini, che –  come ci dice il segretario della Flai Puglia Antonio Gagliardi – “invece di contrastare il fenomeno del lavoro nero, lo favorisce perché se l’immigrato non riesce a rinnovare il permesso di soggiorno, ciò lo spinge verso il lavoro nero”. Gagliardi ricorda che il grande bacino di offerta di braccia per i caporali, veri e propri hub, sono i ghetti o luoghi di domicilio informali che sorgono qua e là in tutto il Sud agricolo. “Adesso sono stati stanziati 200 milioni di euro per eliminarli, di cui 114 solo per la Puglia ma i progetti sono fermi e il commissario straordinario che è stato appena nominato non si sa come voglia proseguire”. Inoltre, fa notare, la lista delle aziende iscritte alla Rete del lavoro  agricolo di qualità prevista sempre dalla legge anticaporalato – che già era corta: solo 6.500 aziende iscritte su 180 mila italiane –  si sta ultimamente assottigliando, sia perché alcune vengono depennate dopo un controllo Inps sui requisiti -ad esempio di rispetto dei contratti – sia perché meno aziende scelgono di farne parte. Insomma se si vuole battere il complesso sistema del caporalato e dello sfruttamento disumano in agricoltura anche nel nome di Satnam Singh non basta certamente il blitz di ferragosto del Nucleo dei carabinieri per la tutela del Lavoro.