Nello stabilimento di Zonghsen del gruppo Piaggio gli operai cinesi fabbricano scooter a 160 euro al mese, 235 con gli straordinari. I risultati di un’inchiesta Fim-Cisl e Iscos
La Cina non è più solo la fabbrica del mondo, ma si appresta a diventare il maggior mercato oltre che il primo centro finanziario del pianeta. E’ quanto ha detto Roberto Colaninno, presidente e amministratore delegato della Piaggio, in un’intervista pubblicata su “Affari & Finanza” di Repubblica. Colaninno ha spiegato che, mentre in Europa si vendono in un anno 1,7 milioni tra moto e scooter, solo in Vietnam ne vengono venduti 3 milioni, 8,4 in India e in Cina, addirittura 17 milioni. La dimensione e le prospettive di crescita, nel sud-est asiatico (20% annuo) del mercato dei veicoli a due ruote e veicoli commerciali leggeri (a tre e quattro ruote), sono alla base della scelta strategica di Piaggio d’investire in questi paesi.
Nel Vietnam il gruppo di Pontedera ha completato lo stabilimento di produzione di vespe (100 mila veicoli/anno a regime) solo nel 2009, ma è già pronto a raddoppiare la capacità produttiva del sito industriale. La Piaggio in Vietnam si avvale di 44 fornitori locali per la componentistica e di un fornitore cinese per i motori (disposto a delocalizzare).
In India la Piaggio è presente da diversi anni con sede a Pune e stabilimento a Baramati, entrambe nello stato di Maharashtra, dove produce Apecar e motori diesel e turbo-diesel per i mercati europei e asiatici. E’ leader nel mercato dei veicoli commerciali leggeri, dove è passata da 35 mila (nel 2002) a 182 mila veicoli venduti nel 2009. Nel giugno di quest’anno il CdA ha deliberato la costruzione in India di un nuovo stabilimento per scooter, con una capacità produttiva di 150 mila veicoli, e il lancio commerciale nel 2012.
In Cina la Piaggio è, invece, partita da zero costituendo nel 2004 una joint venture paritetica (controllo del 45% ciascuno) con il gruppo Zongshen, uno dei principali costruttori cinesi di motori e veicoli a due ruote, e con la municipalità di Foshan (con il restante 10% delle azioni). La joint venture, industriale e commerciale, si fonda sulla produzione in Cina, e sulla commercializzazione in Cina e nel resto del mondo, di componenti, motori, scooter e motocicli basati su brevetti e tecnologia Piaggio.
La Piaggio Zongshen Foshan Motorcycle Co. Ltd., insediata a Foshan nella provincia del Guangdong, nel 2009 ha prodotto oltre 210 mila veicoli, con un fatturato annuo di 80 milioni di euro. Produce sia a marca Piaggio destinati al mercato mondiale, sia in co-branding con il partner Zongshen per il mercato cinese. La previsione di crescita in Cina del mercato delle due ruote è del 15% l’anno. Inoltre, nel corso del 2010 il Gruppo di Colaninno sta mettendo a punto nuovi investimenti in Cina, sempre in collaborazione strategica con il gruppo Zongshen, anche nel campo dei veicoli commerciali leggeri.
“Noi non abbiamo delocalizzato, siamo andati a produrre per mercati che non avremmo mai potuto raggiungere producendo in Italia o in Europa. La sfida è organizzativa, le imprese devono dotarsi di una cultura che consenta loro di affrontare un mercato globale […]”, ha dichiarato il presidente e amministratore delegato della Piaggio.
Che non si sia trattato di una delocalizzazione, come afferma Colaninno, è vero solo a metà, poiché c’è una parte della produzione in Cina e India che è venduta in Europa. Ma non è in discussione il cuore di quanto è affermato nell’intervista: conta la dimensione e il dinamismo dei mercati. Difficile contestare, quindi, la sostanza delle strategie di politica industriale e di mercato del gruppo. Così come l’ipotesi di realizzare anche un nuovo stabilimento in Brasile per il mercato sudamericano. Più difficile sarà accettare da parte degli spagnoli un processo di riorganizzazione in Europa, che prevede la chiusura progressiva della fabbrica di Barcellona (il marchio storico Derbi) e lo spostamento delle produzioni negli stabilimenti italiani, a parziale compensazione della contrazione dei carichi di lavoro.
Se un’impresa come la Piaggio non può sopravvivere fuori dai cambiamenti del mercato globale, che ridisegnano la geografia politica ed economica del pianeta, i sindacati europei non possono più permettersi l’indifferenza responsabile con cui hanno guardato – in tutti questi anni – alle condizioni di lavoro e ai diritti sindacali esistenti nei paesi asiatici e del sud del mondo.
La teoria dei “vasi comunicanti” non vale solo per le imprese che devono fare i conti con la competitività su scala mondiale. Vale anche per i lavoratori e per i sindacati, sottoposti in questi anni a una pressione concentrica verso il basso. E mentre le divisioni sindacali in Italia si sono consumate sul diciottesimo turno e sulla gestione degli straordinari alla Fiat, faremmo bene a badare cosa succede in Cina e dintorni, se vale la metafora “che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”.
Come Fim-Cisl e Iscos, nell’autunno del 2009 abbiamo avviato un lavoro d’indagine attraverso un istituto cinese indipendente – sulle condizioni di lavoro nelle principali imprese transnazionali a casa madre italiana (tra cui la Piaggio), che hanno siti produttivi nel Guangdong la regione più industrializzata della Cina. Il rapporto definitivo, tradotto in italiano, sarà pronto prossimamente.
Disponendo, però, di alcuni risultati preliminari dell’indagine, possiamo anticipare alcune informazioni inerenti alle condizioni di lavoro nello stabilimento Piaggio-Zongshen di Foshan, dove tra le altre cose si produce lo scooter “Shuni” una variazione del popolare “Zip”. L’impianto occupa una superficie di 120.000 metri quadri e impiega circa 800 dipendenti. L’età media degli operai è molto bassa e solo il 10% sono donne. Nella fabbrica non risulta che ci sia il sindacato. Il personale d’ufficio è reclutato attraverso agenzie d’intermediazione, il personale produttivo è assunto soprattutto attraverso la presentazione da parte di persone conosciute. I dipendenti firmano un contratto di lavoro due mesi dopo aver iniziato a lavorare. Non è consegnata loro nessuna copia del contratto.
I neoassunti il primo mese ricevono metà salario, il secondo mese l’80% dello stipendio e poi di mese in mese la somma cresce del 5%. Il resto è trattenuto come deposito. Inoltre, particolare sconcertante per chi nel proprio codice etico ha scritto che “La società tutela la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro e ritiene fondamentale, nello svolgimento dell’attività economica, il rispetto dei diritti dei lavoratori”, i dipendenti devono pagarsi l’assicurazione contro gli infortuni, versando di tasca propria circa 6 euro il mese, che corrisponde al 6-7% dello stipendio. Al momento dell’assunzione gli operai devono pagarsi persino le tute di lavoro (6 euro) e il logo aziendale (circa due euro). Solamente dopo il secondo anno di lavoro, i dipendenti non sono più tenuti a pagare le tute.
Gli orari di lavoro sono massacranti e variano secondo il reparto. Il reparto per la lavorazione dei materiali plastici è organizzato in due turni giornalieri di 12 ore l’uno per 6 giorni, che equivale a 72 ore la settimana. Gli altri reparti lavorano un solo turno quotidiano di 10 ore per 6 giorni più gli straordinari. Il reparto di assemblaggio è quello in cui gli straordinari sono più frequenti: a volte si protraggono fino alle tre del mattino, ma più spesso si fermano alle 23 (14 ore al giorno). Un bel laboratorio, non c’è che dire, per i cambiamenti globali, che riporta i lavoratori alle condizioni del capitalismo nella prima rivoluzione industriale, sotto lo sguardo attento di un partito comunista preoccupato più a salvaguardare l’investimento dell’impresa, che gli operai.
Per garantirsi questo sistema di orari la Piaggio-Zongshen fornisce vitto e alloggio. Il dormitorio si trova all’interno della fabbrica ed è dotato di aria condizionata. I lavoratori devono pagare una piccola somma per il dormitorio, per l’acqua, la corrente e il cibo. Nella fabbrica vigono due metodi di calcolo del salario: a tempo e al pezzo. Gli operai dei reparti per la lavorazione dei materiali plastici e di assemblaggio sono pagati secondo un sistema di cottimo di gruppo, calcolato in base alla quantità di produzione per ora lavorata.
Il salario minimo legale locale è di circa 90 euro il mese. Il governo cinese, però, dopo gli scioperi spontanei esplosi proprio a Foshan, alla Honda, nel maggio di quest’anno e poi moltiplicatisi in altre fabbriche, ha annunciato un aumento dei salari minimi in trenta città di un 20 per cento. Nel momento in cui si è compiuta l’indagine, il salario base (senza straordinari) di un operaio comune alla Piaggio-Zongshen oscillava – secondo la mansione e l’orario di lavoro – da 82 euro (sotto il minimo legale) a 120 euro. La paga media – comprensiva degli straordinari abituali – si aggirava attorno ai 160 euro. Solo nel caso in cui si facciano moltissimi straordinari, si può arrivare a guadagnare 235 euro il mese. Per fare comparazioni con la realtà italiana dobbiamo, però, dividere l’ammontare del salario percepito con le ore lavorate. Facendo questo calcolo risulta una paga oraria alla Piaggio-Zongshen di Foshan tra i 30 e 40 centesimi di euro.
La responsabilità di questa situazione è sicuramente del governo cinese, oltre che della Piaggio. Ma anche la comunità internazionale – in particolare le camere di commercio dei paesi da cui provengono gli investimenti diretti dall’estero – ha le sue colpe, perché cerca soltanto manodopera a basso costo senza preoccuparsi del modo in cui questa lavora.
E’ bastata l’ondata di scioperi – fuori e contro il controllo del sindacato ufficiale controllato dal partito comunista cinese – esplosa alla Honda di Foshan ed estesasi in tutta la catena di sub-fornitura dell’industria dell’auto (il cuore dell’export cinese ad alta tecnologia), in altri settori manifatturieri e in altre regioni della Cina, terminata con aumenti salariali tra il 20 e il 45 per cento, per far dire a Colaninno che “in Cina il costo del lavoro sarà conveniente per i prossimi 4-5 anni, poi sarà simile al nostro”. Poi azzarda una previsione “Tra 4 o 5 anni l’Africa sarà uno straordinario mercato, diventerà più interessante dell’Asia di oggi”.
Se non vogliamo, quindi come sindacati, continuare a essere sempre in fuorigioco, leccarci le ferite e dividerci sulle “linee di difesa”, dobbiamo fare in modo che ci sia più consapevolezza della realtà a livello globale. Si deve lottare, insieme, per garantire i diritti fondamentali alla forza lavoro nel mondo.
Non possiamo accettare la sfida della competitività e dell’innovazione su un mercato globale, rinunciando alla nostra missione di tutelare il lavoro e la centralità della persona ovunque si trovi. Il virus della libertà sindacale e della contrattazione collettiva deve contagiare tutto il mondo, Cina compresa. Le condizioni degli operai, dagli orari di lavoro ai salari, che si registrano in questo paese anche nelle imprese transnazionali come la Piaggio, sono inaccettabili nel XXI secolo. Non è solo una questione etica, ma rappresenta la principale minaccia al sistema di garanzie, diritti e conquiste storiche che i sindacati dei lavoratori hanno ottenuto, attraverso dure lotte, nel nostro paese e in Europa.