La tassa anti-speculazione ideata dal premio Nobel Tobin seduce finalmente i regolatori della finanza. Mentre il nostro ministro dell’Economia, professore di antimercatismo, pensa a strumenti inutili come la de-tax o la “Robin Hood tax”
Il settore finanziario ha assunto dimensioni troppo grandi per essere socialmente sostenibile. La City di Londra – cuore pulsante della finanza mondiale – è oggi diventato un fattore di destabilizzazione dell’economia britannica. A rilasciare queste dichiarazioni al prestigioso Financial Times non è un acerrimo nemico dei processi di globalizzazione, ma Lord Adair Turner, presidente della Financial Services Authority (Fsa), l’organo di sorveglianza e controllo dei mercati finanziari inglesi.
Al di là dell’analisi, Turner avanza le proprie proposte per evitare il ripetersi di una crisi come quella attuale, sostenendo in particolare la necessità di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie.
Il meccanismo è relativamente semplice. Gli speculatori arrivano a comprare e vendere valute o strumenti finanziari anche migliaia di volte in un giorno, per guadagnare su minime oscillazioni nei prezzi. Se ad ogni compravendita dovessero pagare una tassa, per quanto piccola, la speculazione verrebbe enormemente scoraggiata. Un importo modesto dell’imposta, d’altra parte, non avrebbe ripercussioni apprezzabili sulle transazioni non speculative.
Già Keynes aveva ipotizzato un meccanismo simile. Dopo di lui il premio Nobel per l’economia James Tobin ha dato il nome alla celebre “Tobin Tax”, un’imposta riguardante le transazioni valutarie. Oltre a scoraggiare le attività speculative, queste tasse permetterebbero di riscuotere un gettito da dedicare alla tutela dei beni pubblici globali. Si tratta di strumenti di redistribuzione delle ricchezze su scala globale. Più in generale, un’imposta sulle transazioni finanziarie permetterebbe di restituire alla sfera pubblica una forma di controllo su quella finanziaria, una necessità emersa con forza a seguito dell’attuale crisi.
Oggi tutte le questioni tecniche relative all’introduzione di un’imposta quale la Tobin Tax sono state chiarite, le difficoltà sono unicamente di natura politica. La lobby del settore finanziario ha sempre respinto con fermezza qualunque ipotesi di tassazione o regolamentazione, relegando in circoli accademici la discussione su Tobin Tax e dintorni.
La proposta del presidente della Fsa non è quindi nuova, ma suona comunque inaspettata. L’ente si trova oggi nell’occhio del ciclone per non avere saputo controllare il settore finanziario e per le responsabilità nella crisi. E’ in corso un braccio di ferro con la Banca d’Inghilterra che vorrebbe avocare a sé alcuni poteri di controllo sui mercati. In caso di vittoria elettorale, all’interno del partito conservatore si propone addirittura di chiudere la stessa Fsa. In situazione di forte difficoltà, Turner ha quindi probabilmente deciso di uscire pubblicamente con una proposta forte, che rompesse gli schemi. Questo non fa che confermare la bontà dell’idea di una tassa sugli strumenti finanziari, uno degli strumenti di maggiore efficacia per combattere gli eccessi speculativi dei mercati e per riportarli sotto controllo.
In Italia, nel 2003, una campagna guidata da Attac con il sostegno di moltissime altre organizzazioni ha portato a raccogliere quasi 180.000 firme per presentare in parlamento una legge di iniziativa popolare per l’introduzione della Tobin Tax. Il ministro dell’Economia era allora Giulio Tremonti, che, in risposta alla Tobin Tax propose la sua “De-Tax”, una sorta di sgravio fiscale per le imprese che volevano fare beneficenza.
Oggi, nella patria dei mercati finanziari, il presidente del massimo organo di controllo sugli stessi mercati segnala con forza la necessità di introdurre misure di tassazione. In Italia il ministro dell’Economia è ancora Tremonti, pronto in ogni occasione a tuonare contro gli eccessi dei mercati e contro la speculazione. A parole. Nei fatti, il nostro ministro non è riuscito a fare di meglio che riproporre la De-Tax o l’ancora più improbabile “Robin Hood Tax”. Delle misure che non incidono in nessun modo sulla speculazione e sugli eccessi del mondo finanziario e che nulla hanno a che vedere con le enormi potenzialità della Tobin Tax.
Se davvero Tremonti volesse fronteggiare la crisi e gli eccessi speculativi della finanza, si dovrebbe in primo luogo impegnare a portare e sostenere in Italia e nelle sedi internazionali l’idea di una tassazione sulle attività finanziarie, a partire proprio da quella legge di iniziativa popolare per l’introduzione della Tobin Tax che da oltre sei anni giace in parlamento, senza mai essere stata discussa in aula.
(nel pdf allegato, il testo della proposta di legge sulla Tobin Tax)