Il nostro Paese è ultimo in molte graduatorie continentali che riguardano le emergenze sociali. Male anche sul fronte stipendi dei laureati. Da Repubblica.
Un Paese dove una persona su quattro è a rischio di povertà o esclusione sociale. E dove un lavoratore su cinque guadagna troppo poco perché ha un salario molto basso o un part-time involontario. È la fotografia dell’’Italia, l’unico Paese europeo in cui in 30 anni, tra il 1990 e il 2020, i salari sono scesi (-2,9%), rileva l’Ocse. E dopo non è andata meglio: alla fine del 2022 i salari reali da noi erano calati del 7,5% rispetto al periodo precedente la pandemia, contro una media del 2,2%.
Non stupisce allora che la povertà assoluta sia in grande crescita: dai meno di 2 milioni del 2005 siamo arrivati ai 5,6 milioni attuali. Rispetto agli anni della pandemia c’è stata sicuramente una ripresa, in termini di redditi e di lavoro, ma stiamo ancora scontando gli effetti della crisi del 2008: non siamo più tornati ai livelli di consumo precedenti, certifica Confcommercio. La Caritas parla di “povertà strutturale”: nell’ultimo report segnala un aumento del 12,5% del numero degli assistiti. Una situazione aggravata dall’inflazione che, emerge dalla rilevazione differenziata per quinti di reddito condotta dall’Istat, colpisce molto di più i poveri, che spendono una parte più ampia del reddito in beni di prima necessità, e sono quindi più soggetti agli aumenti: nel 2022 il quinto più povero delle famiglie ha subito rialzi dei prezzi del 12,1% rispetto all’anno precedente, mentre il quinto più ricco solo del 7,2%.