Top menu

Stati Uniti e Cina allo scontro globale

Edito da Asterios a fine 2022, “Stati Uniti e Cina allo scontro globale: strutture, strategie e contingenze” di Raffaele Sciortino, racconta la tensione Usa-Cina come asse portante del capitalismo globale.

Lo scontro globale tra Stati Uniti e Cina, con le sue implicazioni ed il suo esito, è la tensione che caratterizzerà il dibattito globale per anni se non decenni. Un confronto, purtroppo, spesso inquadrato con le pericolose lenti del “noi” e del “loro”, linfa vitale per bellicisti mai sazi e crociati dell’identità, nazionale od occidentale secondo convenienza. 

Con tutt’altro spirito, questo scontro è tema e titolo del libro di Raffaele Sciortino, ricercatore indipendente che ha alle spalle un dottorato a Unimi con una tesi sul rapprochement sino-americano del 1972. 

Edito da Asterios alla fine del 2022, “Stati Uniti e Cina allo scontro globale: strutture, strategie e contingenze” si inserisce in un sentiero saggistico sempre più battuto, ancor più ora che la geopolitica torna alle masse dopo quasi un anno di guerra d’Ucraina.

Non vi è discussione che questa nuova “Guerra del Peloponneso”1 tra spartani statunitensi in supposto declino e cinesi ateniesi in paventata ascesa sia il fulcro delle relazioni internazionali odierne così come degli studi sistemici dell’economia-mondo capitalista. Incastonato tra questi due approcci alla realtà, il libro analizza tale scontro non unicamente nella sua relazione di potere tra potenze ma come asse portante del capitalismo globale. 

Da un lato, il testo si rifà alla scuola realista-mercantilista dell’international political economy, quando interpreta la globalizzazione odierna come risultato, non di idee e istituzioni, ma del predominio egemonico statunitense che, mutati i suoi interessi strategici, produce naturalmente pressioni centrifughe al suo stesso ordine, prima fra tutte la messa in discussione della sinora fruttifera relazione con la Cina 2 . 

Dall’altro lato, il libro ha un’anima marxista, non distante dalle teorie dei sistemi-mondo, e si propone di analizzare le origini strutturali del confronto tra le due potenze tentando di sviluppare un’unità dialettica tra le pressioni dal basso della lotta di classe e i movimenti tettonici della geopolitica.

Con queste premesse il libro non può che risultare molto ambizioso, tuttavia chi scrive lo ha trovato anche aperto e in qualche modo disinteressato alle critiche, un libro che non avanza una teoria onnicomprensiva ma fotografa il presente dello sviluppo capitalistico senza paura nel fornire risposte.

Il libro è ambizioso perché ricostruisce la storia dell’ordine internazionale liberale e analizza sia l’egemonia statunitense, con i suoi ingranaggi e le sue crisi, sia l’ascesa cinese tentando di fare l’acrobata tra l’analisi sistemica di una possibile, quanto improbabile, transizione egemonica e le contraddizioni interne ai rispettivi patti sociali su scala nazionale.

Si diceva di un libro sia aperto sia disinteressato alle critiche, questo perché vi si trova uno svolgimento quasi paradossale che si dipana tra punti interrogativi visibili sin dall’indice alternati a risposte ed interpretazioni che per la natura stessa delle domande risulteranno divisive. 

Infatti, sin dall’introduzione si possono individuare tesi ferme che saranno suffragate nel testo, ma qui anticiperò solo un paio di queste per convincere il lettore a cimentarsi con queste 350 dense pagine. 

La prima è che davanti a noi non c’è nessun “secolo cinese”. L’autore sostiene che l’ascesa cinese non sia in grado di porre una sfida a livello sistemico e quindi di proporre un’egemonia altra.

Tale affermazione non si basa solo una descrizione accurata dei limiti di Pechino nella possibilità-capacità di sostituire Washington all’interno del circuito capitalista globale attuale ma descrive accuratamente le leve del potere strutturale statunitense, dollaro su tutti, che rendono il loro annunciato declino un persistente mito per usare le parole di Susan Strange 3 . 

In secondo luogo, l’autore considera il compromesso sociale cinese tra crescita economica e stabilità sociale ad un bivio storico, o questo si riconfigura verso l’alto sottraendo quote di plusvalore ai capitalisti stranieri (statunitensi, ma anche tedeschi e giapponesi) oppure la dinamica “lotta di classe democratica” interna al paese diverrà per il partito-stato questione ben più pressante rispetto a qualsivoglia ambizione multipolare esterna. 

Se lo scontro globale tra Stati Uniti e Cina è il nostro presente e futuro urgono indagini come questa, anche e soprattutto in lingua italiana, che permettano di emanciparci dalla polarizzazione del noi contro loro, sia per contrastare il moltiplicarsi di rigurgiti sciovinisti e rinnovati profeti del “pericolo giallo” sia per gli orfani del bipolarismo sovietico che cercano nel “socialismo con caratteristiche cinesi” una nuova squadra da tifare.

Sciortino nel suo libro dichiara apertamente la natura “anti-americana” del suo contributo eppure non è incantato dall’illusorio “sogno cinese” ma tenta di individuare ed esporre le criticità e i conflitti in corso a più livelli in entrambe le facce della stessa medaglia del sistema capitalista globale. 

NOTE:

1 L’immagine della “Guerra del Peloponneso” e della trappola di Tucidide applicata al confronto tra Stati Uniti e Cina è stata introdotta da Graham Allison con un articolo pubblicato sul sito “the atlantic” nel 2015. In lingua italiana tale tesi è stata discussa nel libro di Anna Caffarena “La trappola di Tucidide e altre immagini, perché la politica internazionale sembra non cambiare mai”.  

2 Della scuola citata si fa particolare riferimento a Robert Gilpin. 

3 The persistent myth of the lost hegemon, Susan Strange, 1987.