La crisi dei subprime, poi la pandemia e la guerra hanno svuotato molte narrazioni neoliberiste. Anche in Italia – a Milano alla Fondazione Feltrinelli – si parla di nuovo patto sociale, nuova democrazia del lavoro. Ma serve attenzione per evitare che il lavoro, con uno Stato debole, venga fagocitato.
Premessa
Sebbene siamo ancora completamente immersi nella palude della guerra, nella pandemia e nella definizione di una nuova geografia economica (nota 1), il funzionamento dell’economia capitalistica, così come l’azione degli attori sociali (capitale, lavoro, Stato), si interroga sull’evoluzione e il governo delle grandi trasformazioni tecno-economiche legate all’innovazione tecnologica, alla necessità di ridurre le emissioni di CO2, alla necessità di creare tanto lavoro quanto se ne perde ed erodere la concentrazione di potere economico e finanziario realizzatosi durante questi ultimi vent’anni. Sono temi indiscutibilmente internazionali che reclamano una iniziativa coerente da parte di tutte le aree economiche e politiche coinvolte, ma il coinvolgimento della società nei processi di democratizzazione dello sviluppo economico, della tutela del lavoro e del governo pubblico delle trasformazioni socio-economiche in essere, sollevano delle riflessioni che non possono e non devono essere delegate a una qualche “istituzione” sovranazionale, piuttosto sono parte integrante dell’agire quotidiano di capitale, lavoro e Stato. La riflessione politica profila la necessità di una nuova democrazia dal basso, una nuova stagione per lavoro e capitale, unitamente alla necessità di ammodernare l’attuale assetto del welfare state. Sono temi già discussi a sinistra, senza grandi risultati al netto dell’evocativa e giusta esperienza di Genova 2001, così come dal capitale che reclama costantemente una minore presenza delle istituzioni pubbliche che sarebbero un vincolo per la crescita e il lavoro.
Le inedite sfide del capitale, della democrazia e del lavoro
Il nostro Paese non è estraneo a questa discussione e comincia a delineare alcune suggestioni di governo delle grandi sfide che l’Italia deve comunque affrontare. Di particolare utilità è stato il convegno organizzato dalla associazione Feltrinelli di Milano (29 aprile 2022) che aveva l’ambizione di aprire una conversazione collettiva su Lavoro e Politica tesa a delineare i nuovi assetti “democratici” del capitalismo (nota 2), così come l’articolo di Reboani P. circa la necessità di un nuovo “Patto Sociale per realizzare un progetto di Paese” (nota 3).
Le argomentazioni sviluppate durante il convegno promosso dalla Fondazione Feltrinelli, con la presenza del ministro del Lavoro Orlando, così come l’ipotesi di un nuovo patto sociale del Paese, non sono propriamente coincidenti, ma schiudono una riflessione politica, economica e democratica che investono gli assetti democratici dell’economia, del lavoro e del ruolo dello Stato come agente e regolatore del mercato.
Da una parte (Fondazione Feltrinelli) osserva che “le fragilità presenti nei nostri assetti sociali ed economici e i limiti del modello capitalistico prevalente, con il progressivo distacco tra economia reale ed economia finanziaria” e “le fragilità e i limiti di natura politica e organizzativa delle istituzioni che mostrano la loro difficoltà a far fronte alle conseguenze profonde prodotte da queste trasformazioni”, mentre il secondo (Reboani) sottolinea la necessità di “Rivedere un sistema di politiche del lavoro (…) e adattarsi invece a mercati del lavoro che devono gestire le transizioni”, così come la necessità di un “recupero della grande manifattura; crescita dimensionale; innovazione di processo e prodotto; sostegno alle specificità del sistema produttivo italiano; politiche energetiche green; attrazione di investimenti e protagonismo sui mercati internazionali”.
Se le premesse sono propedeutiche per delineare un nuovo assetto delle politiche economiche, la declinazione tecnica delle proposte da una parte sottolineano la necessità di evolvere verso una democrazia dal basso (nota 4), dall’altra la necessità di terminare l’evoluzione del sistema contrattuale “verso un modello che allora definimmo leggero, quanto più vicino ai luoghi di produzione, legato alla produttività, agganciato a elementi sostanziali di welfare e delle competenze. Il sistema dovrà ripensare sostanzialmente l’Ipca, affidarsi alla contrattazione, costruire rinnovi contrattuali retributivi annuali, ripensare il sistema fiscale applicato al salario” (nota 5).
Un tratto comune sembra unire gli interlocutori: lo Stato come agente economico dotato di un bilancio funzionale (nota 6) è “conteso” tra la necessità di aprirsi alla società civile e/o assecondare l’evoluzione (neoclassica) del sistema economico. Infatti, nella conversazione fatta presso la Fondazione Feltrinelli emerge che, nel principio della solidarietà e dei valori comuni, “salute e assistenza sociale, scuola e trasporti, servizi culturali e spazi urbani ma anche gestione delle risorse idriche e dell’energia sono ambiti in cui è possibile immaginare forme di partecipazione e di governance democratica nella gestione e attività di verifica e monitoraggio da parte dei cittadini” (nota 7), mentre il nuovo Patto Sociale dovrebbe constatare che la pressione fiscale è troppo alta per tutti: “cittadini, lavoratori, imprese”. L’obbiettivo del Patto Sociale dovrebbe essere: “costo del lavoro più basso; utilizzo di alcune tassazioni semplificate; amministrazione più semplice; contrasto intelligente all’evasione (…)”.
Entrambe le proposte rimuovono, però, l’approccio normativo dell’analisi economica e “positivo” dal lato del diritto.
Diritto positivo e diritto del lavoro
Il diritto positivo è direttamente proporzionale alla sua reale disponibilità, ed è coerente con le risorse finanziarie stanziate dai governi per soddisfare i bisogni dei cittadini; il diritto alla salute, allo studio, al lavoro, sono collegati indissolubilmente ai diritti di II generazione (nota 8), cioè i diritti sociali che necessitano di un sistema di tassazione abbastanza elevato (nota 9). In altri termini, i diritti di II generazione crescono con la consapevolezza e i bisogni della società (Bobbio N.). In questo senso, i diritti dei consumatori potrebbero trovare cittadinanza, nel limite in cui non si sostituiscano ad altre istituzioni.
Nel solco del diritto positivo possiamo menzionare anche i così detti standards dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) che declinano il diritto al lavoro in: 1) opportunità per donne e uomini di ottenere un lavoro decente e produttivo, 2) in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità (nota 10).
Approccio normativo del sistema economico
Diversamente dal modello positivo, che nulla ci dice su come potrebbe (diventare) la società, l’approccio normativo cerca di individuare “ciò che dovrebbe essere”, ovvero gli interventi e i precetti necessari per raggiungere obbiettivi socioeconomici desiderabili. È solo con il modello normativo che possiamo escogitare la “politica economica”, le scienze delle finanze, la politica industriale e la macroeconomia. Infatti, mentre l’indagine analitica considera tutte le variabili come date in base all’osservazione della realtà, l’approccio normativo individua alcune variabili che i policy maker possono modificare (indirizzare) al fine di raggiungere determinati obbiettivi, per esempio la piena occupazione. In qualche misura, il modello normativo restituisce dignità all’economia, collocandola saldamente nell’alveo della scienza sociale.
Quest’ultimo approccio, inoltre, permette di osservare i fenomeni economici con la lente della Storia e del tempo. I così detti fallimenti del mercato, l’asimmetria informativa, la presenza di oligopoli e monopoli, la concentrazione del sapere (inteso come proprietà dei brevetti), danno conto della necessità di un modello di analisi più coerente rispetto al reale funzionamento dell’economia di mercato, la quale evolve nel tempo. Anche il mercato del lavoro può e deve essere analizzato all’interno del modello normativo. Infatti, “il mercato del lavoro (è) una istituzione sociale” (nota 11), più precisamente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, non avviene in un mercato impersonale e in corrispondenza di un salario d’equilibrio, piuttosto è condizionato dall’esistenza di una pluralità di mercati della domanda e dell’offerta, in relazione alle caratteristiche delle società locali e dal tipo di posizionamento competitivo delle imprese che, per l’Italia, non è un aspetto irrilevante.
Il capitale e la democrazia
Le suggestioni sollevate dal convegno della Feltrinelli tese a consegnare ai cittadini e ai lavoratori un ruolo attivo nella determinazione delle politiche economiche e industriali, financo nelle così dette public utility, sebbene evocative, in realtà evitano di menzionare il “potere” del capitale. Immaginare di condizionare il capitale via partecipazione dal basso è come affrontare in manica di camicia gli 8 mila metri dell’Everest. Forse è possibile, ma non consigliabile. È la grandezza dei numeri che rende improponibile la partecipazione dal basso. I ricavi delle multinazionali non solo non hanno mai smesso di crescere, ma l’80% del commercio globale è controllato dai grandi gruppi internazionali, che si accaparrano un terzo del PIL del Pianeta.
Se le considerazioni di cui sopra sollevano dei dubbi circa la possibilità di un condizionamento dal basso di fenomeni così grandi, non meno impotente è lo Stato nazione che rispetto all’evoluzione del sistema economo è decisamente troppo piccolo. Può fare ancora molto, ma deve trovare degli equilibri superiori rispetto alla sua area di competenza, almeno in termini geografici.
Non meno importanti sono le considerazioni circa la necessità di un nuovo patto sociale che dovrebbe rimuovere gli attuali livelli di tassazione sul lavoro e predisporre un organico ridisegno della tassazione, con semplificazioni e un’amministrazione meno pervasiva. Le risorse mobilitate dalla politica fiscale, in realtà, sono raccolte per: 1) sostenere le spese necessarie alla politica economica e 2) sono proporzionali alla complessità dell’economia capitalistica moderna.
Il problema, dunque, non è semplicemente il rapporto tra Stato e individuo, ma tra Stato e collettività. Occorre domandarsi cosa sarebbe stata questa società se si ragionasse ancora di “Stato minimo”, di rispetto assoluto dei diritti proprietari, se non si fossero superati i fallimenti e le imperfezioni del mercato attraverso l’espansione dell’intervento pubblico sul fronte delle entrate e delle spese, così come nelle relazioni tra capitale e lavoro. Se non si fosse promossa l’equità di quello che gli economisti chiamano lo “scambio fiscale” e lo sviluppo del diritto positivo, garantendo i diritti proprietari e la libertà dal bisogno, oggi potremmo parlare di democrazia liberale?
La caratteristica principale dell’intervento pubblico non è quello di svolgere attività che interessano gli individui in senso stretto (nota 12), piuttosto è quello di soddisfare l’interesse collettivo, che nel tempo si è arricchito di nuovi bisogni come quello ambientale. L’economia pubblica tratta tutte le materie che hanno per oggetto i beni e i servizi non destinabili alla vendita, finanziati mediante un prelievo sul reddito e la ricchezza dei cittadini, al fine di soddisfare gli interessi collettivi, sanciti anche dalla Costituzione o dai trattati internazionali, per esempio l’accordo di Parigi sull’ambiente, che non sono realizzabili dai privati per ragioni tecniche, economiche e/o politiche.
Le autorità nazionali e sovra-nazionali (Europa) avrebbero ancora un enorme potere decisionale in campo economico (attraverso le politiche di bilancio, la fornitura di servizi pubblici, i lavori pubblici, le norme e gli standards, particolarmente efficaci in materia energetica e ambientale), nonostante le privatizzazioni, la liberalizzazione e deregolamentazione abbiano depotenziato il potere economico dello stesso Stato a favore delle imprese private.
Il ruolo pubblico in economia deve essere ridefinito rispetto al mutato quadro economico (la maggiore interdipendenza dell’economia), ma la scelta deve maturare dentro un orizzonte capace di “interpretare” il ruolo pubblico, con tutti i suoi poteri fiscali; la cessione di potere a soggetti che dal basso possono al massimo manifestare un dissenso non è un orizzonte auspicabile. Se è troppo grande il potere di una parte (multinazionali) rispetto allo Stato, immaginate questo potere condizionato dalle buone intenzioni di persone perbene che vorrebbero partecipare alle decisioni di giganti economici.
Lavoro e democrazia
Rispetto alla necessità di un Patto sociale e la possibile evoluzione dei modelli contrattuali, il punto non è completare la recente evoluzione verso un modello più leggero, piuttosto è quello di prendere sul serio i diritti: il contratto tra datore e prestatore di lavoro non è uguale ai normali rapporti economici; capitale e lavoro sono, per definizione, in una posizione di disparità sostanziale: il salario è fonte esclusiva o prevalente di sostentamento per il lavoratore e la sua famiglia, mentre il mercato del lavoro pone il lavoratore in condizione di debolezza. Ecco perché il diritto del lavoro si configura come diritto “diseguale”: deve riportare un minimo di equilibrio tra parti dotate di diverso potere nella conclusione del contratto e nella conduzione del rapporto. Le norme che regolano il rapporto di lavoro hanno, dunque, una funzione specifica, accettata dalla scienza giuridica e riconosciuta altresì dalla giurisprudenza: assicurare una parità sostanziale, almeno nei rapporti giuridici, tra soggetti che si trovano invece in una condizione di disparità.
Conclusione
L’analisi del sistema economico capitalistico è condizionata dalle teorie economiche che sottendono l’evoluzione delle istituzioni dell’economia politica. La crisi dei subprime prima, della pandemia poi e della guerra ucraina oggi hanno sconvolto e svuotato molte delle narrazioni neoliberiste. Financo l’approccio keynesiano avrebbe delle difficoltà nella soluzione dei problemi, sebbene aiuterebbe a trovare delle risposte più adeguate. Capitale-Lavoro-Stato è una triade da cui è difficile affrancarsi. Il capitale ha liberato risorse imponenti diventando grande e sovranazionale, mentre lo Stato nazione è diventato allo stesso tempo troppo piccolo per contrastare il potere del capitale e troppo grande per affrontare le questioni e le contraddizioni territoriali. Il lavoro, con l’indebolimento strutturale dello Stato, ha manifestato tutta la sua storica debolezza rispetto al capitale. Se le istituzioni dell’economia politica hanno modificato in peggio il peso specifico di lavoro e Stato, il primo obbiettivo è quello di ripristinare un pavimento istituzionale che ri-assegni allo Stato il ruolo di agente economico, un diritto del lavoro capace di ripristinare almeno la parità giuridica tra lavoro e capitale, con un capitale intelligente che realizza i profitti sulla base del sapere e del saper fare. Possiamo e dobbiamo coinvolgere la società anche dal basso, ma non possiamo assegnare alla democrazia dal basso la democratizzazione del sistema economico e sociale. I poteri economici coinvolti potrebbero financo desiderare questa soluzione perché, alla fine, sarebbe l’ultima frontiera del capitale.
NOTE:
1 Dopo la crisi dei subprime del 2008 è iniziata una lenta e credo inesorabile regionalizzazione dei processi economici. La pandemia ha accelerato questo fenomeno. Infatti, uno dei principali effetti economici della pandemia è stato quello di accorciare le catene del valore. NGEU (Next Generation EU) è molto esplicito sul punto. Nell’ambito della nuova geografia economica sembrano emergere alcune aree abbastanza omogenee: Cina-India e forse Russia, Nord America assieme agli storici alleati economici e politici (Stati Uniti, Giappone, Australia), area euro, sebbene stia vivendo una fase di riflessione circa il suo ruolo internazionale. Africa e America latina sono ancora aree di “sfruttamento”, ma non per questo meno importanti.
2 Enrica Chiappero-Martinetti, 29 aprile 2022, Perché servono regole nuove tra capitalismo e democrazia, Il sole 24 ore.
3 Reboani P., 30 aprile 2022, Un Patto Sociale per realizzare un progetto di Paese, Il sole 24 ore.
4 “occorre rafforzare la democrazia politica ma anche provare a declinarla in una prospettiva economica, immaginando nuove regole del gioco e nuove forme di governance in grado di rendere le istituzioni economiche e le imprese più trasparenti e responsabili, democratiche e inclusive e cercando di favorire lo sviluppo di nuove forme di organizzazione economica e pratiche di innovazione sociale capaci di generare nuovi spazi di opportunità e di partecipazione dei cittadini”, https://youtu.be/jx-FsjSBLl0 e articolo de Il sole 24 del 29 aprile 2022.
5 Reboani P., 30 aprile 2022, Un Patto Sociale per realizzare un progetto di Paese, Il sole 24 ore.
6 Per raggiungere taluni scopi lo Stato si avvale, oltre che dell’attività di prelievo e di spesa attuata tramite il bilancio, anche di imprese pubbliche, regolamentazione dell’attività privata, politica monetaria e del controllo del credito.
7 Che dovrebbe anche “ridefinire (…) le regole del gioco nella direzione di una nuova regolamentazione dei meccanismi di mercato, una limitazione del potere delle grandi corporation e l’individuazione di meccanismi che favoriscono e premino la partecipazione di rappresentanze di lavoratori, consumatori e stakeholders nella gestione delle imprese”.
8 Sostanzialmente si tratta di godere di beni e servizi tramite tassazione (necessariamente elevata in tutti gli stati sociali). In prima battuta il problema dello stato sociale si risolve nella qualità dei servizi che lo stato eroga alla collettività, sottintendendo che la legittimazione sociale passa attraverso la più ampia ed efficiente soddisfazione dei bisogni sociali.
9 Si potrebbe anche recuperare Einaudi L. quando, nelle lezioni del ‘44, rifletteva di diritti presi sul serio, così come quando sottolineava che il mercato senza altre istituzioni non può esistere, sancendo l’equivalenza tra diritto naturale e positivo.
10Stabilità del posto di lavoro, ovvero le imprese devono fare ogni sforzo per assicurare ai propri dipendenti un posto di lavoro stabile; nessuna discriminazione, ovvero che a nessuno deve essere rifiutato il lavoro per ragioni di razza, colore, sesso, religione o idee politiche; salari dignitosi; sicurezza e igiene; libertà sindacali; contrattazione collettiva tesa a risolvere problematiche economiche e organizzative che regolano qualsiasi settore economico, prese di concerto tra rappresentanti sindacali e imprenditori di categoria.
11 Robert M. Solow, 1994, Il mercato del lavoro come istituzione sociale, Il Mulino.
12 Il bisogno collettivo non è la somma dei bisogni individuali.