La conoscenza finanziata dalla ricerca pubblica è sempre più sotto il controllo di un oligopolio di multinazionali. Su salute umana, cambiamento climatico, governo dei dati serve un nuovo intervento pubblico. Il 3 novembre alle 19 presentazione Zoom su Club Laterza.
La pandemia ci ha costretto a prendere atto che il mercato globale non offre risposte adeguate alle sfide più importanti, quelle da cui dipende la nostra vita. Siamo arrivati all’appuntamento con il coronavirus senza studi in corso su farmaci antivirali e vaccini, nonostante l’allarme di una possibile pandemia fosse stato dato con quasi venti anni di anticipo. Alle imprese farmaceutiche non conveniva investire in quella ricerca e lo hanno poi fatto di corsa, efficacemente, quando i governi hanno offerto enormi sussidi alla ricerca e contratti di acquisto a “scatola chiusa” (cioè prima di sapere se e quando vaccini efficaci e sicuri sarebbero stati disponibili). Le imprese hanno tenuto stretti brevetti, autorizzazioni e tecnologie nonostante i finanziamenti pubblici ricevuti. Non stanno consentendo di produrre ovunque e nel più breve tempo possibile i vaccini e in questo modo imprese e governi stanno dando tempo al virus di mutare, lasciando indifesa la buona parte della popolazione del pianeta.
Lo stesso accade per il cambiamento climatico: sappiamo da molto tempo che occorre trovare nuove tecnologie di produzione e consumo compatibili con una radicale svolta “verde”, ma le imprese hanno altre priorità, ad esempio l’uso dell’intelligenza artificiale per le auto che si guidano da sé, sistemi ibridi di combustione, auto elettriche: innovazioni volte a sostenere il mercato dell’automobile più che la transizione a modelli di trasporto radicalmente innovativi. Debbono ammortizzare gli investimenti del passato negli idrocarburi e nelle tecnologie connesse. I tempi delle imprese non sono dettati dall’emergenza a medio-lungo termine, ma dalla tutela degli interessi a breve termine degli azionisti e dei dirigenti.
Constatiamo rassegnati il crescente potere di mercato e di influenza sulle nostre vite di un oligopolio digitale che sfrutta i dati di tutti per accumulare ricchezza per pochi. Le conoscenze alla base di quelle tecnologie sono state create a monte dalla ricerca pubblica, ma sono detenute a valle da un ristretto gruppo di imprese. Molte di quelle informazioni, se fossero gestite da organizzazioni con missioni pubbliche, potrebbero essere una risorsa vitale per migliorare il nostro benessere, dalla nostra stessa salute alla tutela dell’ambiente.
Viviamo in una situazione paradossale. La scienza dei nostri giorni nasce – sotto vari profili – come bene pubblico, ma finisce con l’essere privatizzata. Questo meccanismo di privatizzazione della conoscenza produce diseguaglianza sociale e contribuisce ad una distribuzione disomogenea dei redditi e dei patrimoni che sta minando le fondamenta degli stati e la convivenza sociale.
Propongo che coalizioni internazionali di governi lancino nuovi soggetti pubblici che intervengano sulla struttura stessa dell’oligopolio, controbilanciandola dal lato dell’offerta di conoscenza e di beni e servizi che ne incorporano il valore. Questi soggetti dovrebbero essere progettati come combinazioni di infrastrutture di ricerca e di imprese pubbliche knowledge-intensive orientate da missioni a lungo termine. Le infrastrutture di ricerca in Europa (ma anche altrove) sono una realtà importante del panorama della produzione di conoscenza. Ne sono state censite oltre mille e fra queste alcune hanno dimensioni rilevanti sotto il profilo delle risorse umane e finanziarie che mobilitano. Anche le imprese pubbliche, o a partecipazione pubblica, sono tuttora ben presenti in Europa e danno spesso un contributo significativo alla R&S, soprattutto in alcuni campi. Tramontato il furore delle privatizzazioni, anche per le delusioni che ne sono derivate in settori cruciali come energia e telecomunicazioni, si dovrebbe riconoscere che i governi già oggi avrebbero strumenti per fare politica industriale in modo più diretto ed efficace rispetto alla regolazione dei mercati e agli strumenti tributari. Sono inoltre convinto che alcune delle più lungimiranti fra le imprese private potrebbero essere interessate a contribuire a queste combinazioni nella forma di partnership su basi eque, se non altro perché prima o poi pagheranno un prezzo per il potere esagerato che hanno accumulato.
Propongo – per illustrare concretamente l’idea – tre missioni e quindi tre soggetti strategici: salute umana, cambiamento climatico, governo dei dati. La dimensione europea di queste imprese potrebbe essere quella giusta per garantirne il successo per varie ragioni: perché nessuno stato europeo può fare da sé, perché esiste una solida base di competenze scientifiche e tecniche da cui partire, perché l’Unione europea con la pandemia sta vivendo un momento di rifondazione, favorevole all’investimento e alle missioni pubbliche di ampio respiro.
La prima proposta è sollecitata da ciò che stiamo imparando dalla pandemia. La relazione fra spesa pubblica e oligopolio farmaceutico mostra che vi è spazio per un soggetto europeo che intraprenda (il verbo non è scelto a caso) la ricerca, lo sviluppo, la produzione, la distribuzione di quei farmaci e delle innovazioni biomediche che le Big Pharma non ci daranno.
La seconda proposta riguarda la scienza e la tecnologia del cambiamento climatico. Questo tema è in cima alla lista delle priorità dell’Unione europea, ad esempio delle indicazioni della Commissione europea per la destinazione dei fondi di Next Generation EU. Tuttavia, si sottovaluta il ruolo delle imprese che controllano i mercati dell’energia e di alcune industrie che hanno investito nelle tecnologie del passato. Il rischio di dispersione o cattura di questi fondi è rilevante, in assenza di un soggetto che internalizzi una missione scientifica e tecnologica a lungo termine e che si ponga come proprietario e gestore nell’interesse collettivo di una rottura con il modello attuale.
Infine, penso si potrebbe studiare la fattibilità di una impresa europea che contrasti le sette sorelle (e loro cugine) delle tecnologie della informazione ed affermi un modello alternativo di governo pubblico dei dati. Se nei due esempi precedenti ci si confronta rispettivamente con l’oligopolio delle Big Pharma e con quelli Oil&Gas e Automotive, qui ci si confronta con i Tech Giants. Li si può davvero sfidare per fare qualcosa di più utile per il nostro futuro con i nostri dati rispetto a quanto fanno loro per trarne rendite miliardarie? Provo a discuterne.
Queste proposte potrebbero essere fattibili non solo sotto il profilo scientifico e tecnologico, economico e finanziario, ma potrebbero entrare nella agenda politica del confronto fra un’Europa progressista e quella che guarda indietro, talvolta molto indietro. È il momento giusto per parlarne.
Dall’introduzione del libro di Massimo Florio “La privatizzazione della conoscenza. Tre proposte contro i nuovi oligopoli”, Laterza, 2021.
La presentazione del nuovo libro del prof. Massimo Florio “La privatizzazione della conoscenza. Tre proposte contro i nuovi oligopoli” all’interno dello spazio di discussione e approfondimento “Club Laterza”, si terrà online (piattaforma Zoom) il 3 Novembre alle ore 19:00.