In un approccio prudenziale, einaudiano, dovrebbe essere sconsigliato ricorrere al Mes. Soprattutto se l’Italia dovesse deciderlo in solitaria. Si tratta di confrontare un vantaggio immediato modesto con il rischio di un aggravamento consistente delle modalità di rinnovo del nostro ingente debito pubblico con l’estero.
Einaudi in un paragrafo dei Principi di Scienza delle Finanze intitolato “I debiti sono condannabili se conclusi con gli stranieri?” ci ricorda che per Voltaire lo Stato non si impoverisce quando è debitore verso sé stesso; su posizioni ancora più estreme Condorcet affermava che i debiti pubblici sono cattivi solo quando conchiusi con gli stranieri. Einaudi segue, come prevedibile, una linea di maggior cautela. I debiti con gli stranieri si devono contrarre solo se sono utili: “Qui si è dimostrato essere erroneo affermare che essi sono sempre dannosi”.
Queste tematiche sono state oggetto di ampio dibattitto alla fine degli anni ’30 con i contributi, in particolare, di Lerner e Domar, quando è stato chiarito il concetto di onere per le generazioni future, venendosi a distinguere ancora una volta fra debito collocato all’interno e debito collocato all’estero. E’ stata poi collegata l’opportunità del ricorso al debito pubblico alla più generale situazione macroeconomica nel quadro della cosiddetta finanza funzionale.
Il richiamo a illustri autori di un passato anche molto lontano può essere utile per inquadrare il dibattito, non sempre approfondito, sull’opportunità di ricorrere al Mes.
Un primo argomento, sistematicamente avanzato dai sostenitori del Mes, fa riferimento ai minori interessi che dovrebbero essere corrisposti rispetto all’ipotesi alternativa di emissione di titoli. Rimane tuttavia il fatto che la contrapposizione degli interessi dovuti sul Mes a quelli dovuti per un’eventuale e contestuale emissione di titoli del debito pubblico non sembra tener in dovuto conto l’entità del ricorso annuale ai mercati finanziari. L’indebitamento delle amministrazioni pubbliche nel 2019 era pari a 29 miliardi. Ma il ricorso al mercato per una maturità media di 7 anni si è aggirato intorno ai 350-400 miliardi. Quest’anno il fabbisogno si dovrebbe aggirare intorno al 10 per cento del Pil, cui si devono aggiungere gli importi relativi ai debiti in scadenza (di nuovo intorno ai 400 miliardi). Appare evidente, come è stato ripetutamente sottolineato, che un ricorso solitario nell’ambito Ue potrebbe indurre un aumento del costo del ricorso al mercato non solo per le nuove emissioni, ma anche per il rinnovo del debito in scadenza. In sostanza, si tratta di confrontare un vantaggio immediato modesto con il rischio di un aggravamento, potenzialmente anche consistente, delle modalità con cui si rinnoverebbe il debito. Individui con elevata propensione al rischio favorirebbero la prima soluzione; individui prudenti, attenti alle problematiche implicite nel ricorso al debito estero, sarebbero decisamente più cauti, anche per l’esiguità nella situazione attuale dei mercati finanziari degli eventuali risparmi.
Un secondo argomento riguarda l’urgenza dì intervenire in settori che sono stati fortemente trascurati negli ultimi anni, in particolare nella sanità. Qui possiamo ricordare che l’Italia è l’unico Paese fra i maggiori che ha ridotto in termini reali la spesa sanitaria nell’ultimo decennio; ma si deve aggiungere che oggi la spesa sanitaria è particolarmente carente nella parte corrente, sia per quel che riguarda il personale, sia per quel che riguarda le remunerazioni medie. Si dovrebbe chiarire se l’eventuale ricorso al Mes sarebbe compatibile con un’espansione della spesa corrente.
Ma anche supponendo che lo sia, ci dobbiamo chiedere se la situazione odierna del nostro sistema finanziario rende difficile e sconsigliabile il ricorso al finanziamento interno, per dirla con Einaudi se è conveniente il ricorso al debito esterno. Conviene fare riferimento alla distribuzione per detentori del nostro debito pubblico.
A fine 2019 il debito pubblico lordo delle amministrazioni pubbliche era detenuto per il 17% dalla Banca d’Italia; le istituzioni finanziarie e monetarie residenti (le banche, in buona misura) detenevano il 16%, come le altre istituzioni finanziarie (assicurazioni e fondi pensione), mentre gli intermediari non residenti detenevano il 32%. Al risparmiatore italiano, denominato “altro residente”, faceva capo il 9,5%. Questi dati indicano la profonda trasformazione intervenuta in questi ultimi anni. Il risparmiatore italiano detiene ormai una quota molto ridotta di titoli del debito pubblico (per una ricchezza finanziaria lorda che si avvicina ai 4000 miliardi), frutto di una politica che ha teso privilegiare la gestione, per definizione molto più oculata e abile, degli operatori finanziari residenti e non residenti. Gli effetti sono stati un sostegno dei risultati di bilancio di questi intermediari, sia per il rendimento comparativamente più elevato dei titoli italiani, sia per lo sviluppo dì attività speculative che hanno gravemente danneggiato il nostro Paese in questi anni. Non sembra quindi irragionevole sostenere l’opportunità di spostare la distribuzione dei titoli pubblici dagli intermediari finanziari verso i cittadini. Anche da questo punto di vista il ricorso al Mes è ampiamente discutibile, come una ricomposizione delle attività finanziarie delle famiglie appare opportuna.
Infine, si può considerare il problema nel quadro della finanza funzionale. Oggi anche i più convinti sostenitori dell’austerità, rimuovendo molto di quanto sostenuto in passato, riconoscono la necessità di una politica fiscale espansiva. Le maggiori spese, comunque finanziate, determinerebbero un aumento del fabbisogno. In un caso tuttavia, senza che si pongano vincoli di offerta differenziali, il debito sarebbe per interno. Nell’ipotesi del ricorso la Mes il debito sarebbe esterno. Voltaire e Condorcet lo condannerebbero; per Einaudi i debiti esteri, pur non essendo sempre dannosi, in certe circostanza sono perlomeno inopportuni.