È diffusa l’idea secondo cui l’accordo siglato dalla Grecia con l’Eurogruppo costituisca una resa incondizionata per il governo neoeletto di Tsipras. Ecco una lettura alternativa dei fatti
È piuttosto diffusa l’idea – sia in Italia che all’estero – secondo cui l’accordo siglato di recente dalla Grecia con l’Eurogruppo per un’estensione del programma di salvataggio greco ammonti ad una resa incondizionata per il governo neoeletto di Tsipras. Secondo l’Independent, si tratta di “una sconfitta umiliante per la Grecia”; per il New Yorker, “l’accordo rappresenta una capitolazione totale per Syriza e una vittoria per la Germania e per il resto dell’establishment europeo”. Il sentimento generale è stato ben catturato da Romano Prodi in un articolo uscito sul Messaggero:
Alla fine della lunga trattativa notturna di Bruxelles si è parlato di una “costruttiva ambiguità”: l’attenta lettura dei comunicati e dei commenti ci porta invece a concludere che si è trattato di una sostanziale capitolazione del giovane governo greco… La vittoria germanica è stata così completa che il ministro delle finanze Schäuble, sempre duro ma di solito misurato nel linguaggio, ha condito la propria soddisfazione con la pesante osservazione che, per il governo greco, “non sarà facile illustrare ai propri elettori il contenuto dell’accordo di Bruxelles”.
Particolarmente dura la reazione dell’ala sinistra di Syriza, che per bocca dell’eroe della resistenza greca Manolis Glezos ha addirittura accusato Tsipras di “tradimento” per non aver saputo mantenere le promesse fatte agli elettori e per non essere stato in grado di liberare la Grecia dal giogo “dell’oligarchia economica tedesca”. La percezione diffusa – che parrebbe confermata dalle parole di Schäuble – è che l’accordo raggiunto con l’Eurogruppo sia una fotocopia sostanziale – con pochi ritocchi qua e là – del memorandum siglato con la troika nel 2012. Secondo Repubblica, si tratta di un documento “che ricalca a grandi linee i capisaldi del vecchio memorandum e dove brillano per assenza molte delle promesse elettorali di Syriza”.
Ma è veramente così? Come ha scritto James Galbraith, che ha seguito le trattative molto da vicino, il fatto che il documento riproponga molte delle raccomandazioni contenute nel memorandum non è particolarmente scioccante: buona parte di queste – come quelle finalizzate alla lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, e più in generale alla modernizzazione del settore pubblico – sono del tutto ragionevoli e sono infatti condivise da Syriza fin dalla prima ora. I punti su cui Syriza ha sempre avuto da eccepire sono sostanzialmente tre: gli obiettivi di bilancio, le privatizzazioni e le riforme del mercato del lavoro. E su questi tre punti il governo è riuscito ad ottenere delle “vittorie semantiche” non da poco:
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per quanto riguarda gli obiettivi di bilancio, quest’anno la Grecia non sarà più obbligata ad ottenere un avanzo primario del 3%, come nei precedenti accordi, ma dovrà solo garantire un avanzo genericamente definito “adeguato”, tenendo contro delle effettive condizioni dell’economia nel 2015 (come abbiamo scritto la settimana scorsa, questo è sempre stato il vero obiettivo di Tsipras e Varoufakis);
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sulle privatizzazioni, è vero che il governo si è impegnato a non annullare quelle che sono state completate (come peraltro aveva già dichiarato Varoufakis), ma si è riservato anche il diritto di “rivedere le privatizzazioni che non sono state ancora avviate al fine di massimizzare i benefici a lungo termine per lo stato” e di “salvaguardare la fornitura di beni e servizi pubblici di base forniti da imprese privatizzate”;
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infine, per quanto riguarda le riforme del lavoro, il governo propone di “mettere a punto un nuovo approccio intelligente di contrattazione salariale collettiva che bilanci le esigenze di flessibilità e quelle di equità”, anche attraverso un “aumento dei salari minimi”.
Vista così non sembra proprio una “capitolazione totale”; soprattutto se si considera che nel documento, oltre alle misure sopraelencate – e a differenza di quanto scritto da Repubblica – “Tsipras e il suo governo, pur mettendo alcuni aspetti sociali nella parte conclusiva del documento, hanno riportato tutte quante le promesse elettorali contenute nel patto di Salonicco”, come scrive il manifesto: attenzione alle fasce più deboli, reddito di cittadinanza, smart card per l’acquisto dei beni alimentari per i più poveri, casa, sanità garantita, imposta sui grandi patrimoni, ecc.
E infatti non sono mancate le critiche al documento da parte dell’Fmi e della Bce. Secondo Christine Lagarde, la lettera “è un valido punto di partenza” ma “in vari settori” mancano rassicurazioni sulle riforme previste dal memorandum, in particolare su Iva, pensioni e continuazione delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni e delle riforme del lavoro. In una lettera inviata all’Eurogruppo, la Bce di Mario Draghi usa toni simili: spiega che il testo è una buona base per concludere le trattative, ma il poco tempo a disposizione ha portato ad alcune lacune sulle proposte, che mancano di punti “concreti”; notando che gli impegni della Grecia differiscono dall’attuale programma in una serie di aree, la Bce sottolinea che dovrà verificare nel corso della loro attuazione “se le misure che non sono state concordate con le autorità saranno sostituite da altre equivalenti o migliorative in termini di raggiungimento degli obiettivi” di bilancio del memorandum.
Bisogna poi riconoscere al governo di essere riuscito in un altro dei suoi obiettivi elettorali, ossia ottenere la fine della troika. Molti commentatori hanno sostenuto che si tratta di una fine formale ma non sostanziale. Come ha scritto Prodi: “È stata eliminata dal vocabolario la parola troika ma la funzione di tutore nei confronti del governo greco è ancora nelle mani del Fondo monetario internazionale, della Commissione europea e della Banca centrale europea, cioè delle tre istituzioni che costituiscono l’odiata troika”. Ma è corretto affermare che il ruolo della troika rimane immutato? È vero che nel documento la Grecia si impegna “a non adottare azioni unilaterali che mettano a rischio l’equilibrio dei conti pubblici” e a sottoporre alle istituzioni le riforme prima di attuarle, ma questo rappresenta già un’importante inversione di tendenza rispetto al rapporto che la troika aveva instaurato con i precedenti governi. Scrive Guido Iodice:
Nessuno ha mai chiesto che Ue, Bce e Fmi non mettessero bocca sulla politica economica greca: sarebbe assurdo chiedere un prestito e rifiutarsi di trattare con i propri creditori. Il punto è invece quello evidenziato giovedì da Jean-Claude Juncker con una strabiliante confessione: la troika, i “men in black” delle tre istituzioni, si presentavano in Grecia come tecnici ma parlavano e dettavano le decisioni ai politici. Questo ha leso la dignità dei greci, ha ammesso Juncker. Da ora, insomma, i politici parleranno con i politici per prendere le decisioni e i tecnici con i tecnici per definire i dettagli.
Quanto siano cambiate le cose in base al nuovo accordo lo ha spiegato Galbraith: “Adesso la troika non può più venire ad Atene e lamentarsi del fatto che il governo ha scelto di riassumere 400 donne delle pulizie al ministero delle finanze. Ditemi voi se vi pare poco”.
C’è da dire che non tutti i commentatori condividono il pessimismo dilagante. Scrive Paul Krugman: “La Grecia ha ottenuto un rilassamento delle condizioni economiche per quest’anno, e un po’ di margine di manovra per prepararsi allo scontro ben più grande che l’attende nei prossimi mesi. Poteva andare molto peggio”. Secondo Mark Weisbrot, co-direttore del Center for Economic and Policy Research (Cepr), l’accordo rappresenta un “arretramento” da parte della troika e “una dimostrazione del fatto che le misure di austerità, che si sono rivelate un fallimento totale, non sono più politicamente sostenibili”. Anche Matt O’Brien sul Washington Post ha descritto l’accordo come “un buon compromesso per la Grecia”.
È un accordo ideale? Certo che no. Come ha scritto il giornalista britannico Paul Mason, “la Grecia rimane di fatto una ‘colonia del debito’, come l’ha descritta Yanis Varoufakis, con un po’ di autogoverno in più”; un paese insomma non più in amministrazione controllata ma in “amministrazione semicontrollata”. Ma è un accordo che concede a Syriza quello di cui ha più bisogno in questo momento (“la risorsa più preziosa”, l’ha definita Varoufakis): tempo. Detto questo, Tsipras poteva ottenere di più? Probabilmente no. Bisogna tenere a mente il fatto che il governo greco conduceva le trattative in condizioni difficilissime: isolamento totale all’Eurogruppo (fallito il tentativo di Tsipras e Varoufakis di stringere alleanze con altri stati membri, della periferia e non), emorragia di capitali dal paese, rischio di chiusura dei rubinetti da parte della Bce nei confronti del sistema bancario greco in caso di mancato accordo, con conseguente collasso del sistema finanziario bancario e fuoriuscita quasi inevitabile della Grecia dall’euro.
La Bce e/o la Germania sarebbero veramente arrivati a tanto? Il buon senso farebbe pensare di no – e l’impressione è che tutta la strategia di Varoufakis si basasse proprio su questo assunto – ma forse alla fine i greci hanno valutato che questa opzione non era da escludere e hanno scelto di “sterzare” per primi (dopotutto erano in molti in Germania, dal ministro delle finanze Schäuble all’influente economista Hans-Werner Sinn, ad auspicare l’uscita del paese dall’euro). Anche perché il governo non era minimamente preparato ad un’uscita dalla moneta unica. Avrebbe dovuto esserlo (nonostante l’opposizione della maggioranza dei greci, tutt’ora contrari ad un ritorno alla dracma), incrementando così il proprio potere contrattuale nei confronti dell’Eurogruppo e in particolare della Germania? Può darsi. Scrive Wolfgang Münchau:
Senza una proroga [del programma di salvataggio], il sistema bancario sarebbe crollato in pochi giorni. E Atene non aveva alcun piano per un’uscita dall’euro. Non ha avuto altra scelta se non accettare un accordo in cui i tedeschi hanno prevalso su tutte le questioni sostanziali… È stato Platone ad osservare nelle sue Leggi che uno statista rischia di fallire se legifera solo per la pace. Il primo ministro Alexis Tsipras e il suo ministro delle finanze dovrebbero seguire questo consiglio. Avranno bisogno di un piano B ben elaborato per segnalare ai loro partner che la Grecia è determinata a raggiungere la sostenibilità – all’interno o all’esterno dell’eurozona – a qualunque costo.
Insomma, si vis pacem, para bellum. Non ci è dato sapere se dietro le quinte Tsipras e i suoi stiano seguendo il consiglio di Münchau. Una cosa è certa: questa è stata solo piccola battaglia – a prescindere da chi si pensa che l’abbia vinta – in una guerra che è appena cominciata, e che si prospetta molto lunga. Schäuble ha già minacciato che la Grecia “non vedrà nemmeno un euro fin quando non avrò ottemperato a tutti gli impegni presi”. La lotta continua.
Per maggiori informazioni:
– La vera battaglia di Tsipras è contro il Fiscal Compact
– Varoufakis, la Bce e la teoria dei giochi
– La moneta fiscale nazionale: una soluzione stabile per la Grecia e per l’eurozona
– Grecia e debito: la posta in palio è il futuro dell’Ue
– Il mondo è dalla parte di Tsipras. Ma basterà a convincere la Germania?