Si tratta di una nobile gara, ma credo sia la seconda. Non ho dubbi sul fatto che i progetti di Renzi siano per lo più mal disegnati e che comunque l’équipe di governo non sia capace di curarne gli aspetti di fattibilità concreta; problema aggravato da una pessima gestione politica e parlamentare, da una scarsa […]
L’attuazione delle norme, peraltro, non dipende solo dal comportamento dei burocrati e degli impiegati di rango inferiore, ma dalla stratificazione normativa accumulatasi senza che siano mai intervenute selezioni e riorganizzazioni e dalla inefficiente selezione e premialità della dirigenza. Problemi affrontare i quali ha molto meno fascino delle riforme costituzionali e meno teatralità di quell’inutile can can che va sotto il nome di “jobs act” (ormai tutti hanno capito che se le vendite effettive o attese non crescono non si vede perché le aziende debbano assumere e investire; al più il jobs act potrà solo distribuire diversamente le stesse opportunità di lavoro, in una prospettiva di rincorsa al ribasso di diritti, capacità professionali e loro formazione on the job). E queste sono solo un piccolo campione delle tante critiche possibili.
Ciò nonostante non mi sento in alcun modo di pensare che bisognerebbe mandare a casa Renzi. Le possibili e doverose critiche riflettono ragionamenti parziali. I legami di complementarietà tra i cambiamenti parziali sfuggono per l’assenza di un’analisi più complessiva dalla quale far discendere le priorità. E la priorità è senza dubbio un radicale cambiamento di rotta della costruzione europea, l’unica cosa che Renzi sembra avere chiara e che lo ingaggia in una partita da ultima spiaggia. A parte la fortuna, per vincere servono due premesse.
La prima è la comprensione dei numerosi errori fatti nella costruzione di un quadro normativo e organizzativo europeo che di “Unione Europea” ha solo il nome, a fronte di una ben diversa Europa Unita sognata dai padri fondatori. Renzi in particolare ha capito che l’Europa in corso di costruzione è un processo consistente nel sottrarre sovranità ai paesi membri, in cambio di nulla in termini di coesione, cultura, lungimiranza. L’ha capito talmente bene che ha riprodotto, sia pure in scala enormemente minore e correndo rischi senza dubbio maggiori, lo stesso esercizio nei rapporti politici interni.
La seconda premessa è non appartenere ai salotti buoni, quelli considerati responsabili, colti, autorevoli, e per questo e non solo per questo rispettati da stampa e partiti “continuisti”. Sono salotti fatti da tecnocrazie, banche e affaristi finanziari, e soprattutto da quella manica di politici di lungo corso che dirigono e strumentalizzano le tecnocrazie, quelle nazionali e quella europea. Questo vero e proprio grappolo di potere finge di aderire alle ideologie liberistiche e su questo finge di fondare modelli attendibili. In realtà produce normative vincolanti sulle materie più inverosimili sotto dettatura delle lobbies. Basti pensare alle ridondanti disposizioni sulle bottiglie d’olio sigillate nei ristoranti (se trovo un olio cattivo non vado più al ristorante che me lo ha servito), divenute legge in Italia mentre sembra tali disposizioni siano state revocate a Bruxelles su pressione delle lobbies dei ristoratori nord-europei, contrapposte alle lobbies agricole italiane (comunque la lettura della intera Legge Europea 2013-bis è al contempo illuminante e tragicomica!).
Questi salotti buoni sono costituiti da un insieme di reticoli di potere tra loro collegati nell’ambito di ciascuno dei quali il successo personale dei suoi membri dipende dallo zelo con cui essi riescono a costruire trucchi che, approvati oggi, limiteranno ulteriormente la sovranità dei paesi e della politica in fasi successive, al fine di lasciare le decisioni cruciali ai “tecnici”, cui competerebbero – si lascia capire – per la loro superiore “cultura” sostenuta da modelli e dati; un fenomeno che viene favorito dalla circolazione premiante dei tecnocrati di successo tra i diversi “contenitori” (Fondo monetario, Commissione, ecc.). Quanto ai modelli, e i dati in essi incorporati, si rivelano prima o poi fallaci, ma sul momento tutti sono d’accordo sul fatto che siano percolati dallo Spirito Santo (si veda il blog di Francesco Saraceno, cominciando con il più recente http://fsaraceno.wordpress.com/author/fsaraceno/ e Tocci sull’ultimo numero di Parolechiave).
Questa “non appartenenza” ai salotti consente a Renzi di parlare un linguaggio diverso e di portare avanti un gioco interamente politico, che non richiede, per il momento, una particolare lungimiranza e intelligenza costruttiva, ma solo capacità di persuadere, di fingere variamente, di costruire alleanze; un gioco in cui, almeno nella prima fase, basta prontezza di riflessi, tempestività nel far partire messaggi appropriati verso gli interlocutori giusti. E questo Renzi sembra saperlo fare meglio di chiunque altro finora. Non si tratta di un merito da poco, visto che le sinistre europee hanno invece fin qui dato sostegno alle disposizioni europee, fino ad arrivare alla costituzionalizzazione del fiscal compact, riforma passata con oltre il 75% di consensi. Le sinistre europee, senza forse rendersene conto (e questo è grave), hanno così contribuito alla costruzione, da parte degli eurocrati, di una catena di vincoli ad esito differito (ben più grottesca del “fiscal cliff” statunitense). E’ bene prenderne coscienza in qualche dettaglio.
I “divorzi” delle Banche Centrali (BC) europee dai rispettivi governi realizzatisi nei primi anni 1980 hanno preparato lo sciagurato disegno della moneta unica. Si trattava di un progetto che, oltre che contenere pesanti magagne (perfino alla luce delle teorie ortodosse, per le quali l’Europa non costituiva una area monetaria soddisfacente), non aveva il senso di responsabilità di prendere in considerazione la possibilità che il progetto fallisse e che occorresse predisporre tempestivamente delle ordinate vie di uscita. Più tardi la BCE, dichiaratamente consapevole della bolla speculativa e del ruolo nel sostenerla della eccessiva creazione di moneta (che era al di sopra del target dalla stessa BCE stabilito), diceva di non temerla, contando sulla sua capacità di rimettere le cose a posto dopo l’esplosione della bolla (come scritto sugli stessi bollettini della BCE!). Stiamo in realtà parlando di una vera “catena di trappole”. Si pensi a come gli accordi di Maastricht abbiano posto le premesse per trasferire alla Commissione i controlli sulle politiche economiche dei paesi membri, in particolare sulla espressione di sovranità massima costituita dalla formazione del bilancio.. L’influenza dei rigoristi è grande e la sua frusta è lo spread (il fatto che lo dica Berlusconi non implica che questa non sia la realtà con cui fare i conti). L’influenza dei rigoristi è tanto grande da aver irretito la maggior parte della stampa; un stampa che, venendo meno a suoi doveri basilari, si è astenuta dal dare la notizia che un eterogeneo manipolo di persone di buon senso stava la scorsa estate raccogliendo firme per un referendum diretto a revocare la riforma costituzionale sul bilancio.
Si pensi anche al futuro, riflettendo sulle notizie che trapelano su come i funzionari dell’Eurocrazia stiano negoziando un suicida trattato di liberalizzazione commerciale USA-UE, a coronamento ulteriore di politiche di liberalizzazione incaute già facenti parte delle guidelines e delle regole comunitarie! Un trattato che non solo indebolisce la capacità dei nostri stati, solo apparentemente sovrani, di tutelare i consumatori, ma sembra ammettere che gli stati stessi possano essere citati in giudizio per danni, presso indefiniti collegi arbitrali, se con le loro regolamentazioni procurano dei “danni” alle grandi multinazionali!
È ora quindi di arrestare l’ingenuità della sinistra. Se l’Europa continua così è poco interessante e molto stressante viverci (http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Europa-una-minaccia-credibile-per-cambiare-rotta-26187) . Renzi sottrae spazi di democrazia. Lo fa tuttavia strumentalmente all’opzione di reagire alla deriva europea più sopra tratteggiata, una deriva che, quanto a sottrazione di spazi di democrazia, fa impallidire i peccati renziani. Molti dei pasticci renziani, del resto, non sono che delle recite, funzionali ai giochi di ruolo sui quali si imperniano le prassi europee. Far vedere che ancora una volta viene “superato l’Art.18 fa buona impressione” sui salotti satelliti dell’eurocrazia e rafforza la strategia di Renzi, che è basata infatti sulla pretesa di avere le carte in regola nel rispetto dei vincoli e nel fare le riforme, al punto che è ammissibile che l’Italia possa porre il problema del superamento dei vincoli stessi, ma facendo anche capire che, se si dovesse poi dare spazio ai pierini à la Katainen (come comincia a trasparire in questi giorni), sarebbe in serbo un vaffanculo che, venendo da uno dei grandi paesi fondatori, venendo in particolare da un paese il cui leader è riuscito a contenere i voti antieuropei, non potrebbe essere ignorato. La strategia è comunque complessa e si serve di strumenti indiretti, anche perché non ha speranze di successo se non facendo convergere altri paesi mediterranei e puntando ad una gradualità che faccia leva su anticipazioni non banali di un bilancio federale europeo (non il deludente fondo europeo per gli investimenti proposto da Junker).
Preliminare a ciò sarebbe tuttavia riuscire ad incrinare il salotto della tecnocrazia, cosa davvero difficile in un paese in cui il Presidente Napolitano arriva a dire che “gli ingredienti dell’anti-politica si sono confusi con gli ingredienti dell’anti-europeismo”. Si tratta infatti non solo di ridicolizzare la pseudo cultura che anima attualmente la Commissione, ma di riuscire a far trasparire questo ridicolo ovunque e in ogni occasione, anche se in uno stile diverso da quella della Lega e di Cinque Stelle. Le proposizioni ridicole abbondano e sono presentate in modo sfacciato. È fresca di giornata l’affermazione di Junker che se il debito aumenta non c’è sviluppo, la stessa di Reinhart e Rogoff, ridicolizzata a livello internazionale quale viziata da errori materiali e metodologici appena nel 2013; le stesse autorità di turno riescono ad affermare, con pomposa solennità, che le terapie di austerità hanno successo. Non faccio commenti (http://fsaraceno.wordpress.com/tag/export-led-growth/ ).
Supponiamo per un momento che Renzi abbia successo. Il problema che lui e gli altri leader europei si troveranno di fronte è come impostare una diversa strategia. E questo richiede molta più cultura e lungimiranza. Per ora i suggerimenti prevalenti si limitano a generiche politiche keynesiane espansive. Occorre invece essere chiari sul fatto che tali politiche sono necessarie ma lungi dall’essere sufficienti. Esse possono solo arrestare il declino ma non hanno la capacità di indurre investimenti espansivi e innovativi. Le politiche espansive possibili sono infinite, ma non tutte hanno le stesse capacità di portare a frutti duraturi e qualitativamente rilevanti. Si tratta di un discorso prima politico e solo secondariamente tecnico. Non vi potranno essere investimenti espansivi se non a seguito di una stabilizzazione affidabile dei conflitti infra-europei in merito a quale Europa costruire. Qui la cultura, la lungimiranza e perfino l’etica rientrano in gioco. Si tratta infatti di riflettere in profondità sulle esperienze passate di grande espansione, evidenziando al contempo gli elementi differenziali che distinguono l’attuale crisi rispetto ad altre. Si tratta altresì, in prospettiva, di ripensare lo stesso sviluppo, indirizzandosi verso un miglioramento della qualità della vita, una crescente accumulazione di capitale umano, un’attenzione maggiore alla giustizia sociale e al diritto alla felicità, una diminuzione dell’impatto antropico sull’ambiente, una diminuzione del tempo di lavoro.