Un confronto tra Italia e Argentina. Intervista ad Andrés Lofiego, fotografo argentino, che ha documentato l’esperienza delle fabbriche recuperate del suo paese
Uno spettro si aggira per l’Europa in crisi, ed è quello delle imprese recuperate. Esordisce così Andrés Lofiego, fotografo argentino di Buenos Aires, che ha trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita documentando l’esperienza delle fabbriche recuperate del suo paese. Fra il 2002 ed il 2004, Andrés inizia a documentare l’inizio del fenomeno di occupazione di cinque realtà produttive di Buenos Aires, fra le quali la tipografia Chilavert con cui tutt’oggi collabora e con la quale è stato realizzato il volume fotografico No Pasar, una mirada desde el trabajo autogestionado nel 2006.
A distanza di dieci anni, fra il 2011 e il 2012, Andrés torna a fotografare tre di quelle fabbriche che aveva visto nascere in forma autogestita e delle quali ne ha seguito l’evoluzione. Lo incontro a Roma per un suo recente progetto di documentazione di recupero delle fabbriche in Europa e in Italia, e ne approfitto per porgli qualche domanda.
Quali fabbriche hai visitato in Italia e che impressione ne hai avuto?
In Italia, sono partito da RiMaflow a Trezzano sul Naviglio (MI) e da Officine Zero a Roma. In entrambi i casi si sta portando avanti un tentativo di rinnovamento della produzione, RiMaflow è infatti rimasta senza macchinari, mentre Officine Zero (ex RSI) è quasi totalmente ferma. In Italia le esperienze di recupero delle fabbriche non sono totalmente isolate, si contano circa 32 casi. Per Andrés non conta tuttavia solo l’occupazione in sé della fabbrica e la formazione di una cooperativa, piuttosto è cruciale il processo che porta i suoi lavoratori ad opporsi al sistema capitalista reinventando una produzione non di massa, attenta all’ecologia, ma soprattutto in grado di leggere i bisogni della comunità all’interno della quale opera”.
E’ possibile fare un paragone fra l’esperienza argentina con i suoi quasi 300 casi e quella italiana?
Non sono né sociologo, né politologo, solo posso dirti qual è il mio punto di vista da osservatore esterno che ha accompagnato alcuni dei processi di formazione delle fabbriche recuperate. Da questa prospettiva, ti dico di sì. Delle similitudini esistono. Ad esempio, la concezione di ‘fabbrica aperta’, ovvero uno spazio all’interno del quale la comunità partecipa attivamente, e non solo i lavoratori. La differenza maggiore sta forse nella diversa concezione del processo di recupero, qui in Italia, necessità e coscienza politica vanno di pari passo; in Argentina, invece, c’è stata prima la necessità, il bisogno di seguir trabajando in mancanza di alternative valide, e solo dopo la formazione di una coscienza politica vera e propria.
Parliamo un po’ del tuo lavoro. Posso chiederti come è stato tornare dopo dieci anni in quelle stesse fabbriche recuperate che avevi visto nascere?
Con la tipografia Chilavert sono sempre stato in contatto. Negli ultimi due anni ho anche partecipato alla gestione del Centro Culturale organizzando laboratori di fotografia. Nelle altre due fabbriche, Grissinipoli e Cooperativa Crometal, la questione è stata diversa. Dal punto di vista umano, ritrovarsi è stato emozionante, gratificante. Chilavert, Grissinopoli e Crometal hanno iniziato insieme, ma nel corso di questi dieci anni hanno poi seguito dei cammini differenti. Grissinopoli ha duplicato il numero di lavoratori sino a giungere a 40, ma in sostanza non si è riuscito a consolidare l’attività produttiva. Per Crometal l’attività produttiva è ripresa a pieno regime, ma in termini generali, la cooperativa è diventata il nuovo gruppo imprenditoriale e le attività non produttive hanno assunto un ruolo marginale. In alcuni casi ci sono stati segni di involuzione del clima solidaristico e anticapitalista delle fabbriche in particolare rispetto alla gestione dei rapporti fra vecchi e nuovi soci della cooperativa versus lavoratori contrattati ex-novo non ancora soci.
In Chilavert invece mi sono imbattuto in un’esperienza di rinnovamento. Oltre all’attività produttiva vera e propria di una tipografia, vengono portate avanti attività parallele come la scuola di quartiere, il centro culturale ed il centro di documentazione sulle imprese recuperate. Il numero dei lavoratori è raddoppiato e i nuovi fanno parte dell’assemblea all’interno della quale vengono prese le decisioni più importanti. Alcuni di coloro che finiscono la scuola popolare, possono entrare a far parte della cooperativa stessa, come Nelson Darin.
Per quali ragioni, secondo te si crearono questi tre differenti cammini?
Credo che ci sono state molte influenze, dal settore produttivo sino alla partecipazione della comunità. La divisione del movimento delle imprese recuperate è stata una delle cause di generazione di esperienze diverse fra loro. Il ‘successo economico’ di alcune realtà rispetto ad altre è relazionato alla tipologia di macchinari posseduti al momento dell’occupazione. La riuscita dell’esperienza delle imprese recuperate come ‘alternativa al sistema capitalista’ avviene invece esclusivamente con il collegamento alla comunità e nel caratterizzarsi come fabbriche aperte”.
E per il futuro?
In Argentina il processo di recupero delle fabbriche continua, anche se non con lo stesso ritmo degli inizi. In particolare la legge argentina ha riconosciuto il processo di recupero delle fabbriche all’interno del processo fallimentare standard e, l’idea della fabrica cerrada fabrica recuperada, fa ormai parte della coscienza collettiva. Negli ultimi anni si stanno recuperando fabbriche non solo in Italia, ma anche Francia, Turchia e Grecia. Ma per i lavoratori che ho intervistato a Buenos Aires il futuro non è ancora molto chiaro, molti vedono nei loro figli e familiari i potenziali continuatori, ma mi confida Andrés,- io mi fermerei al desiderio di Daniel Suarez, lavoratore della tipografia Chilavert, sea cual sea el futuro, que esto siga funcionando”1.
1 Il progetto fotografico di Andrés, “Fabricas Autogestionadas, 10 años después” è stato presentato a Lecce presso lo Spazio Sociale Arci-ZEI il 3 ottobre e a Terlizzi (BA) presso il Laboratorio Urbano MAT il 4 ottobre.