Cambio di stagione/Nel silenzio delle trattative, il Piano europeo e il Trattato di libero commercio Usa/Ue spalancano le porte alle privatizzazioni
Di fronte al dramma della disoccupazione e dell’insicurezza sociale, confesso il timore che a parlare d’acqua e della sua privatizzazione risulti un parlare di cose marginali. Timore che si accentua con l’importanza dei prossimi appuntamenti: il governo Renzi, la campagna elettore per le europee, il semestre di presidenza italiana alla commissione europea e la formazione di una lista che auspico sia capace di unire la sinistra oltre le elezioni stesse e sia vissuta dai movimenti come cosa propria.
La spettacolarizzazione delle sofferenze del lavoro zittiscono ogni altro argomento: chi parla più dell’arraffamento mondiale delle risorse, dei mutamenti climatici, del modello energetico insostenibile, del modello agricolo e alimentare che assorbe il 60% dell’acqua e il 47% dell’energia, dei rifiuti tossici e delle numerose terre dei fuochi disseminate al Nord e al Sud del nostro paese e nel mondo? Questioni con al centro il destino dell’acqua e che più che mai sono la base per ogni discussione seria sul lavoro, sulla chimera dell’impossibile crescita, sul senso delle privatizzazioni dei servizi essenziali, sulla svendita e la monetizzazione dei beni comuni. Questioni ineludibili per quanto si giocherà in Europa sull’acqua e che necessitano del protagonismo dei movimenti e di una presenza parlamentare in organico rapporto con questi. L’immagine della sala del Parlamento Europeo in cui si è svolta l’audizione sull’iniziativa europea Ice, promossa dai movimenti dell’acqua e che ha raccolto 1,8 milioni di firme, è lo specchio del degrado della presenza politica italiana in Europa; una sala piena con la presenza di parlamentari europei di tutti i paesi Ue e la totale assenza di parlamentari italiani.
Venendo al dunque, il prossimo parlamento europeo dovrà decidere due questioni, la cui importanza è tale da cambiare il senso dell’accesso ai diritti fondamentali. Il primo è il Blueprint, il «Piano europeo sullo stato delle risorse idriche e le sfide inerenti la politica». Quelli che l’hanno ispirato riconoscono il disastro idrico, ma non per riflettere sull’idea della crescita illimitata che l’ha prodotto.
Un quinto del territorio europeo è a rischio di carenza d’acqua, il 57% delle acque di superficie in pessimo stato, la preoccupante condizione delle acque sotterranee, il fallimento dell’obiettivo di migliorarle entro il 2015 e la previsione di un peggioramento generale a partire dal 2030. Il 70% della popolazione che nel 2050 vivrà nelle città con il conseguente problema dei servizi essenziali, a partire dall’acqua, e i problemi principali si ammette derivano dal settore agricolo e dai cambiamenti climatici, questa è la realtà descritta per sostenere la filosofia di fondo del Blueprint che parte dalla considerazione che se l’acqua buona scarseggia occorre innovazione tecnologica per riprodurla e garantire la crescita produttiva alle imprese.
Tecnologie, quindi, di depurazione/purificazione e rimessa in ciclo (dovrà essere chiaro che berremo acqua più volte depurata), di trasferimento da un posto all’altro, di risparmio per unità di prodotto, di desalinizzazione del mare. Occorrono perciò finanziamenti di cui solo i privati e il mercato finanziario dispongono. L’acqua non può che essere un bene economico industriale, con un prezzo mondiale da definirne secondo la logica del mercato e del full recovery cost . Non solo la privatizzazione della gestione del servizio idrico, ma la monetizzazione/privatizzazione di tutte le acque. La corsa a mettere i picchetti come nella febbre dell’oro e la fine della naturalità dell’acqua, del suo essere elemento fondante della vita. Infine, la rinuncia alla sovranità da parte delle istituzioni verso la nuova governance dei portatori di interessi, in cui chi domina sono le multinazionali e la politica è subordinata a far leggi a loro salvaguardia. Da questa politica europea si può leggere lo svuotamento di tutte le architravi della democrazia in atto, dai partiti ai parlamenti, dalle amministrazioni locali alle Costituzioni.
Il secondo punto è il Trattato di libero commercio Usa/Ue, ovvero la riedizione più feroce della direttiva Bolkestein da ratificare entro il 2015: le leggi di un paese, le delibere di un comune, le vittorie dei movimenti sociali, gli accordi sindacali, i referendum dei cittadini, dovranno essere compatibili con gli interessi delle aziende e la libera concorrenza e come tali verranno giudicati e sanzionati da Tribunali arbitrali privati e da avvocati aziendali. E le privatizzazioni rese obbligatorie. Il trattato è la privatizzazione dichiarata della politica.
Pensate, si raccomanda che tutto ciò debba avvenire in silenzio, «per non creare ansia e senso di minaccia da parte dei cittadini». Non sarà quindi marginale parlare di acqua nella campagna elettorale europea e chi verrà eletto sarà bene che si impegni su questi argomenti. Il movimento dell’acqua ha regalato al pensiero di sinistra e alternativo una incredibile vittoria, ha creato un linguaggio, la cultura dei beni comuni, della partecipazione e dei diritti, ha rinnovato i richiami alla democrazia e alla Costituzione. Ha ricordato a coloro che si richiamano alla spiritualità oppure al materialismo, che nulla è più spirituale e nulla è più materialista delle materie: quelle naturali, quella degli elementi universali su cui si basa la vita di tutti. E che nulla come il loro possesso privato, la loro conquista, genera guerre, miseria e sofferenza umana.