Tra i paesi più colpiti dal Covid-19 vi sono proprio quelli con un ruolo centrale lungo le catene globali del valore, che si trasformano ora in catene globali del contagio economico tramite cui si diffonde la recessione. Uno studio analizza le dinamiche della crisi. Riscoprendo il ruolo dell’attore pubblico.
Quali, e quanto profonde, saranno le conseguenze economiche del COVID-19? Quanto durerà la crisi economica e quanto sarà grave? Quali sono i meccanismi del contagio economico? E, soprattutto, cosa possono fare i governi?
Sono queste le domande al centro dell’e-book Economics in the Time of COVID-19 a cura di Richard Baldwin e Beatrice Weder di Mauro (CEPR Press, 2020), entrambi Professori di Economia Internazionale presso il Graduate Institute di Ginevra. L’e-book è stato pubblicato da CEPR Press per VoxEU in tempi record: era già on-line il 6 marzo (scaricabile gratuitamente qui).
Il COVID-19 si sta diffondendo rapidamente a livello globale ed è ormai chiaro – sostengono gli autori – che abbia il potenziale per far deragliare l’economia mondiale. Tuttavia, sebbene le passate pandemie (dall’influenza asiatica nel 1957-58 all’influenza di Hong Kong nel 1968, dalla SARS nel 2002 fino alla più recente influenza aviaria nel 2009 e MERS nel 2012) possano fornire una bussola per tentare di prevederne gli esiti, la moderna configurazione dell’economia globale e le peculiarità del COVID-19 rendono al momento estremamente difficile produrre stime attendibili in merito al suo impatto economico.
Infatti, come enfatizzato dagli autori, la natura del COVID-19 è caratterizzata da elementi di forte incertezza che, al contrario del rischio, non è modellizzabile (nella misura in cui non permette di conoscere gli scenari possibili a cui potrebbe dare luogo e la probabilità di questi ultimi di verificarsi). Inoltre, il COVID-19 è uno shock di offerta non paragonabile a precedenti eventi catastrofici quali le crisi petrolifere degli anni Settanta o i terremoti – si pensi a quello avvenuto in Giappone nel 2011. A differenza dei terremoti, ad esempio, la diffusione del virus non è determinata dalla distanza “dall’epicentro” – come dimostra l’esplosione di contagi in Lombardia quando l’epicentro era la città di Wuhan nella provincia di Hubei in Cina.
Inizialmente vi era chi aveva ipotizzato che il COVID-19 avrebbe determinato un improvviso crollo della produzione cinese, seguito da una sua rapida ripresa non appena il contagio si fosse arrestato. Si prevedeva, dunque, un effetto a “V”, ovvero una crisi profonda, tagliente, ma breve e circoscritta alla Cina. Tale scenario appare però al momento ben poco probabile a causa della rapida diffusione del virus a livello internazionale.
In particolare, Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia e Italia sono tutti nella top ten dei paesi più colpiti e sono anche le economie leader a livello mondiale, rappresentando da sole oltre il 60% del PIL globale, il 65% della produzione manifatturiera e il 41% delle esportazioni manifatturiere mondiali. “Quando queste economie starnutiscono, il resto del mondo prenderà un raffreddore” – sostengono gli autori parafrasando un noto aforisma.
Catene globali del valore e canali di trasmissione del contagio
Non è tuttavia solo una questione di dimensioni delle economie coinvolte. Ancor più importante è il fatto che nell’arco degli ultimi tre decenni l’estensione delle filiere produttive su scala globale ha reso i destini di queste economie – in particolare di Cina, Corea del Sud, Giappone, Germania e Stati Uniti – strettamente legati tra loro. In altri termini, una serie di fattori di stampo tecnologico, politico ed istituzionale ha incoraggiato le imprese a frammentare a livello internazionale la loro filiera produttiva, promuovendo la delocalizzazione di impianti industriali (si pensi alla crescita degli investimenti diretti all’estero), l’esternalizzazione di ampie fasi della produzione dei prodotti e il ricorso a fornitori indipendenti localizzati all’estero per l’approvvigionamento di beni intermedi necessari al processo produttivo.[1]
Tra i paesi maggiormente colpiti dal COVID-19 vi sono proprio gran parte delle economie, Cina in testa, che svolgono un ruolo di enorme rilevanza lungo le catene globali del valore, le quali si trasformano in questo contesto pandemico in vere e proprie catene globali del contagio economico. In altri termini, la sofisticata interconnessione delle strutture produttive dei diversi paesi a livello internazionale fa sì che le catene globali del valore rappresentino i canali privilegiati lungo cui si propaga il virus della recessione. Ne consegue che i contraccolpi che stanno subendo in primis Cina, Corea del Sud e Italia intaccano le catene di approvvigionamento di gran parte dei paesi del mondo, producendo un rallentamento sincronizzato della produzione e, dunque, una probabile recessione.
La manifattura mondiale sarà scossa da un triplice colpo – tanto sul lato dell’offerta quanto sul lato della domanda.
In primo luogo, l’impatto del COVID-19 si manifesterà nell’interruzione diretta della fornitura di beni. Si consideri ancora una volta che la pandemia ha colpito profondamente il cuore produttivo del mondo, ossia l’Asia orientale e in particolare la Cina, la cui produzione industriale è precipitata tra gennaio e febbraio 2020 del 13,5% su base annua – si tratta del più grande calo della produzione in Cina dall’inizio dell’era post-Deng Xiaoping, ossia degli ultimi 30 anni. La pandemia si sta inoltre diffondendo rapidamente negli Stati Uniti e in Germania, due delle maggiori potenze industriali al mondo.
In secondo luogo, vi sarà un effetto di amplificazione del contagio tramite le catene di subforniture globali di beni intermedi, poiché anche i settori manifatturieri dei paesi meno colpiti avranno difficoltà nell’acquisire (importare) gli input intermedi necessari alla produzione domestica. La Cina, ad esempio, svolge diverse fasi della produzione – in primis attività manifatturiera e di assemblaggio – di una molteplicità di prodotti per ben noti brand appartenenti a imprese multinazionali (come Apple) e grandi rivenditori (come Walmart) operanti nei settori più disparati (dall’agricoltura al tessile, dal settore automobilistico all’ICT, ecc.), importando ed esportando un’enorme quantità di beni intermedi e semilavorati.
Ne segue che la durata dell’interruzione delle filiere produttive transnazionali dipenderà anche dalla capacità di diversificazione delle imprese importatrici, oltre che dalla capacità di recupero della Cina stessa quale hub di produzione su scala mondiale. Secondo gli autori, infatti, gli effetti sulla supply-chain globale costituiranno la principale fonte di trasmissione e propagazione della crisi a livello europeo e statunitense, seppur con le dovute eterogeneità settoriali.[2]
Il rischio di un crollo della domanda effettiva
Agli shock dal lato dell’offerta si affiancherà uno shock dal lato della domanda. Alcuni dei fattori capaci di innescare un crollo della domanda effettiva sono i seguenti.
In prima istanza, le misure intraprese allo scopo di contenere il virus, quali la drastica riduzione della mobilità delle persone (la “quarantena”) e la chiusura di svariati esercizi commerciali, oltre che di teatri, biblioteche, musei et similia, comportano un’immediata riduzione dei consumi da parte delle famiglie. Tali consumi verranno in parte posticipati e in parte, probabilmente, mai più effettuati. Gli effetti più pesanti riguarderanno il settore dei servizi, in particolare quello dei trasporti, del turismo e della ristorazione; ciò a ragione del fatto che, ad esempio, è difficile immaginare che un viaggio o una cena al ristorante vengano rimandati da parte delle famiglie.[3]
In seconda istanza, ci si può attendere che il forte rallentamento della produzione generi un aumento del tasso di disoccupazione, il quale si tradurrà in una riduzione del reddito disponibile di molti/e lavoratori e lavoratrici, a partire da coloro che sono occupati su base temporanea, i cui contratti potranno non essere rinnovati (aspetto questo non sufficientemente enfatizzato nell’e-book).
A tal proposito, se la riduzione del reddito disponibile dovesse interessare prevalentemente le fasce meno abbienti della popolazione – quelle con una più elevata propensione marginale al consumo – le conseguenze sui consumi aggregati saranno ancora più rilevanti. Inoltre, quale conseguenza dell’incertezza dovuta alla velocità e alla diffusione del contagio, è ragionevole attendersi da parte delle famiglie un aumento della propensione al risparmio per fini precauzionali, quale forma di tutela per un futuro a tinte fosche.
In terza istanza, un minor utilizzo della capacità produttiva da parte delle imprese potrebbe rendere più difficile per queste ultime ammortizzare i costi fissi (un esempio banale è dato dalle spese di locazione degli immobili in cui si svolge l’attività produttiva). Questo potrebbe comportare a sua volta un aumento del costo per unità di prodotto e una riduzione del saggio di profitto e quindi della spesa per investimenti da parte delle imprese.
Infine, è ragionevole attendersi che la riduzione sincronizzata a livello globale di consumi e investimenti porterà ad amplificare la contrazione del valore aggiunto delle diverse economie, restringendo ulteriormente i mercati di sbocco esteri e rallentando dunque la dinamica delle esportazioni nette.
Peggioramento delle aspettative degli operatori finanziari e conseguenti ondate speculative sui mercati dei titoli di borsa, interconnessione dei bilanci bancari a livello transnazionale e, soprattutto, elevato indebitamento privato – soprattutto delle imprese non finanziarie – possono rappresentare ulteriori meccanismi di contagio economico in seguito a COVID-19. Meccanismi che potrebbero innescare una violenta recessione su scala internazionale, ripetendo in parte quanto avvenuto con la crisi economica globale esplosa nel 2008.
Infatti, come dimostrato dalla Grande Recessione innescatasi nel 2007 negli Stati Uniti e da lì propagatasi in tutto l’Occidente (e non solo), si tratta di meccanismi che rendono la moderna struttura del capitalismo globale notevolmente interconnessa e hanno dunque la capacità di amplificare gli effetti recessivi della crisi.
Meglio tardi che mai
Le conseguenze economiche della pandemia potrebbero generare un crollo globale della produzione e mettere a dura prova i processi di globalizzazione in atto negli ultimi decenni. Baldwin e Weder di Mauro sollecitano un deciso intervento da parte dei governi e in particolare delle autorità di politica monetaria e fiscale al fine di elaborare in tempi brevi piani di azione coordinati a livello internazionale. A detta degli autori, lo scenario economico che si presenta potrebbe in effetti configurarsi come una sorta di banco di prova per testare la capacità di elaborare strategie comuni di azione in risposta a problemi eminentemente globali.
Oggi coronavirus, domani per esempio il cambiamento climatico. In particolare, riguardo all’Europa, secondo gli autori la crisi richiederà flessibilità nell’applicazione del Patto di Stabilità e Crescita e la necessità di prepararsi per un eventuale piano di espansione fiscale concertato a livello europeo. Infine, un rafforzamento del Fondo di solidarietà dell’Unione Europea viene contemplato come una valida opzione.[4]
In questa fase, sembra dunque riconosciuto il ruolo strategico dell’attore pubblico. Un ruolo importante nella gestione delle conseguenze socio-economiche e, in primis, sanitarie della diffusione del COVID-19.
Nonostante l’implementazione delle politiche di austerità abbia portato in Europa e in particolare in Italia a un profondo depotenziamento dell’attore pubblico – si vedano gli incoraggiamenti verso il ricorso alla sanità privata e alla riduzione del peso dello Stato in economia (Alesina, A. e Giavazzi, F., “Troppo Stato in quell’agenda”, Corriere della Sera, 27 dicembre 2012) –, emerge oggi la consapevolezza rispetto al ruolo strategico di quell’attore e di quei servizi pubblici che si era pronti a “liberalizzare”.
Anche fra economisti più “ortodossi” – quali gli autori dell’e-book – sembra insomma farsi spazio l’idea che talvolta l’attore pubblico sia necessario e non solo in virtù dei cosiddetti “fallimenti del mercato”, bensì per ragioni strategiche e di benessere collettivo. Diremmo, dunque, meglio tardi che mai.
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Note
[1] Tra i fattori più rilevanti che hanno dato luogo alla cosiddetta “terza ondata” della globalizzazione possiamo annoverare i seguenti: la riduzione dei costi di trasporto delle merci su scala mondiale; le innovazioni nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, a cui ha fatto seguito una drastica riduzione dei costi di trasmissione delle conoscenze e di monitoraggio della produzione; l’ingresso di Cina, India e altri paesi emergenti nel mercato capitalistico globale, con il loro enorme bacino di manodopera a basso costo, una spesso bassa imposizione fiscale sugli utili di impresa e una blanda regolamentazione ambientale; last but not least, aggressive politiche di liberalizzazione del commercio e dei flussi di capitale a livello globale. Si veda, tra gli altri, Palley, T. I. (2018), “Three Globalizations, not two: rethinking the history and economics of trade and globalization”, FMM Working Paper No. 18.
[2] Segnali preoccupanti riguardo alla propagazione della recessione lungo le catene globali del valore per il settore automobilistico sono recentemente stati evidenziati dalla stampa: si veda l’articolo “Coronavirus, Fca si ferma in Europa, stop anche di Psa e Renault”, Il Sole 24 Ore, 16 marzo 2020.
[3] Rispetto alle conseguenze drammatiche della crisi nel settore dei trasporti, del turismo e della ristorazione, in Italia e non solo, vi sono diversi articoli di cronaca degli ultimi giorni: “Il virus attacca i cieli: fallita l’inglese Flybe, Alitalia sul mercato”, La Stampa, 6 marzo 2020; “Coronavirus, per il turismo perdite stimate di 7,4 miliardi”, La Stampa, 4 marzo 2020; “Coronavirus. La ristorazione è il settore più colpito”, FIPE-ConfCommercio.
[4] Sulla necessità di una politica di espansione fiscale coordinata a livello europeo si vedano i seguenti appelli: Brancaccio, E., Realfonzo, R., Gallegati, M. e Stirati, A., “With or without Europe: Italian Economists for an ‘anti-virus’ plan”, Financial Times, 13 marzo 2020; Appello di oltre 150 economisti italiani a Conte, Gualtieri e Gentiloni, 13 marzo 2020; Bénassy-Quéré, A., Marimon, R., Pisani-Ferry, J., Reichlin, L., Schoenmaker, D., Weder di Mauro, B., “COVID-19: Europe needs a catastrophe relief plan”, VoxEU, 11 marzo 2020.
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Valeria Cirillo – Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Andrea Coveri – Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”