Il terzo rapporto annuale del Transnational Institute smaschera e analizza la cosiddetta “classe di Davos”, responsabile di gran parte delle crisi finanziarie e sociali che ci troviamo ad affrontare
Poco più di una settimana fa, proprio mentre i potenti della Terra si riunivano a Davos, il Transnational Institute – il celebre think tank che vede tra i suoi fellows personaggi del calibro di Susan George, Walden Bello e Phyllis Bennis – ha pubblicato State of Power 2014, il suo terzo rapporto annuale sullo “stato del potere” nel mondo. Lo scopo dell’antologia, come si legge nell’introduzione, è “smascherare e analizzare i membri della più potente delle classi, la cosiddetta ‘classe di Davos’, che è responsabile di gran parte delle crisi finanziarie, sociali ed ecologiche che ci troviamo ad affrontare”. I temi trattati sono innumerevoli: dalla maniera in cui le corporation esercitano il loro potere per mezzo delle lobby (come, per esempio, la Tavola rotonda degli industriali europei) ai moderni programmi di sorveglianza di massa portati alla luce da Edward Snowden, dal nuovo volto dell’imperialismo militare statunitense nell’era post-Iraq alla capacità (o meno) dei Brics di offrire una reale alternativa alle varie crisi globali, dal crescente potere esercitato dai fondi sovrani di paesi come il Qatar e la Norvegia al fenomeno del “land grabbing”. Ampio spazio è poi dedicato alla speranza di cambiamento rappresentata, secondo gli autori, dai movimenti anti-austerità in Grecia, Spagna e altrove, che non si sono limitati a mettere in discussione il neoliberismo ma hanno dimostrato che è possibile costruire pratiche e modelli alternativi ispirati ai valori della solidarietà, della giustizia sociale, della cooperazione e della democrazia. Come sempre, il rapporto è arricchito da ottime infografiche (vedi sotto). Particolarmente illuminanti sono quelle dedicate al tema delle crescenti disuguaglianze globali, da cui si evince chiaramente che la crisi economica non è poi crisi per tutti: l’anno scorso, per esempio, il patrimonio dei milionari – o quello che viene definito nel rapporto lo 0.001% della popolazione mondiale – è cresciuto dell’11%.
Allo stesso modo, il patrimonio dei 25 miliardari più ricchi al mondo è cresciuto di 85 miliardi di dollari nel 2013.
Questo non dovrebbe sorprenderci. Come dice David Harvey, citato in uno degli articoli del rapporto, “effetti redistributivi e crescenti disuguaglianze sociali sono da sempre una caratteristica così persistente del neoliberismo da poterli considerare elementi strutturali dell’intero progetto”. Questa è la stessa conclusione raggiunta da un recente rapporto di Oxfam, che evidenza che gli 85 uomini più ricchi del pianeta detengono una ricchezza pari a quella di metà della popolazione mondiale (circa 3,5 miliardi di persone). Secondo l’ong britannica, questa non è conseguenza accidentale dell’economia di mercato ma il risultato di un disegno preciso da parte delle élite mondiali, che hanno cooptato il processo politico per “truccare le regole del gioco” a loro favore, per esempio facendo abbassare drasticamente le tassi sui patrimoni e i redditi alti. E non è neanche un caso che dal 2008 ad oggi la percentuale della ricchezza nazionale catturata dall’1% più ricco della popolazione sia aumentata in quasi tutti i paesi avanzati.
Come ha ricordato Chomsky, che la settimana scorsa era a Roma per presentare il suo ultimo libro, “le nostre società stanno andando verso la plutocrazia. Questo è sempre stato l’obiettivo del neoliberismo, che rappresenta il più grande attacco alle popolazioni mondiali da quarant’anni a questa parte”.