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Prendiamocela con l’Europa

Il “Manifesto dei 15”, l’appello promosso da 15 intellettuali sugli effetti delle politiche di austerità nella crisi, è non solo utile ma anche educativo. La stretta sociale dell’austerity rende urgente e opportuno “prendersela con l’Europa”. Una replica alle critiche espresse da Michele Salvati sul Corriere della Sera

Nel valutare sul Corriere della sera la critica del “Manifesto dei 15” (il numero dei firmatari elencati) alla politiche europee di austerità, non si può dar torto a Michele Salvati quando osserva che il superamento della “crisi” e il rilancio della crescita richiede di aver ben presenti le “condizioni dell’offerta” (nel suo elenco, competitività delle nostre imprese, l’inefficienza della pubblica amministrazione, il “disordine politico”) e che quindi non si debba trascurare l’incidenza degli squilibri interni accanto ai vincoli internazionali (nel caso, quelli europei) che ci condizionano.

Tuttavia parlare di “mezza verità” – cosa che permette al quotidiano di affermare redazionalmente che è “inutile prendersela così con l’Europa” – finisce con l’essere altamente fuorviante poiché, come Salvati stesso può convenire, è difficile ritenere che vi sia una politica della domanda disgiunta da una politica dell’offerta, quando la politica economica è inevitabilmente e sempre unica, anche se articolata sui due versanti a seconda degli aspetti strategici individuati per la loro maggiore rilevanza e urgenza.

Parlare di mezze verità e spostare il discorso sulle condizioni di offerta può favorire una contrapposizione che rischia di oscurare la vera questione, ovvero quale politica di domanda deve associarsi alla politica di offerta. Non prendersela con la politica europea di austerità come invita il Corsera significa accettare “una” politica dell’offerta, ovvero quella delle “riforme strutturali” dirette a forzare quella ristrutturazione delle relazioni di lavoro e del welfare che intendono porre le relazioni sociali in subordine a quelle di mercato. Non so se questa prospettiva di ridimensionamento dei diritti sociali è quella di Salvati, ma certamente non sembra essere quella dei 15 la cui evidente preoccupazione è che la politica (di domanda) recessiva di Bruxelles non crei condizioni economiche e sociali irrimediabili per possibili successive politiche (di offerta) che abbiano come obiettivo un rafforzamento produttivo compatibile con coesione sociale e progresso civile. È la stretta sociale che la politica di austerità sta provocando nella società europea per una sua profonda trasformazione che rende “urgente” e opportuno “prendersela con l’Europa”.

D’altra parte, leggere il Manifesto dei 15 nella maniera riduttiva di Salvati rafforza quell’opera di oscuramento sulle riflessioni di politica economica che offrono una visione alternativa non solo agli imperativi di Bruxelles, ma anche alle varie non-politiche adottate dai nostri governi degli ultimi decenni. Proposte di politiche alternative ci sono – da ultimo quella della Controfinanziaria di Sbilanciamoci! – e tali da intrecciare la visione di breve e quella di medio periodo, le condizioni di domanda e quelle di offerta; purtroppo si deve constatare che esse vengono ampiamente ignorate dalla pubblicistica quotidiana e quindi sistematicamente trascurate nel dibattito economico-politico che conta nei media.

D’altra parte, se può essere scontato che non ci si debba dimenticare del carattere “interno” delle nostre difficoltà, non va sottovalutato che le politiche di austerità hanno l’effetto di strutturare, attraverso le politiche interne, i diversi territori europei per posizionarli all’interno della gerarchia produttiva dell’Unione. La struttura dei redditi e delle condizioni di welfare interna a ciascuna area è sottoposta a una pressione che la riadegui al grado di competitività espressa dalle sue istituzioni; ma ciò prospetta un’Europa contrassegnata da profonde e persistenti differenze tra territori e all’interno degli stessi. Una realtà assoggettata a una assillante competizione istituzionale tra le diverse aree – a livello fiscale, dei diritti del lavoro, delle garanzie sociali e così via, comunque tutte al ribasso – che non può che evolversi in un ridimensionamento per tutti di quell’Europa sociale che è stata una delle motivazioni peculiari del pensiero europeista.

L’intervento di Salvati è quindi importante per capire quale visione di società europea ha l’area intellettuale che si riconosce nel Corriere della sera. È importante per comprendere che non condivide i pericoli che le attuali politiche europee possono avere nel lungo periodo su povertà, disuguaglianza e diffusione del non-lavoro; che il ridimensionamento radicale dello stato sociale e lo smantellamento dei diritti del lavoro non è in contraddizione con il futuro delle prossime generazioni; che tutto ciò non comporti una regressione “intellettuale e morale” e le essenziali condizioni di democrazia; che, nonostante il tranchant commento di Salvati sulla “Costituzione più bella del mondo”, non si traduca una sostanziale revisione dei valori costituzionali dei diritti sociali e personali a favore dei diritti (o meglio dei doveri) economici.

Su questi temi le poche battute del Corriere della sera non hanno alcuna utilità se non avviano una più approfondita riflessione e un confronto più puntuale su base più estesa. Esigenza particolarmente sentita se si considera che la definizione della combinazione di politiche di domanda e politiche di offerta sollevano la questione cruciale di quale soggetto politico è investito di questa scelta decisiva: se esso deve essere una semplice estensione delle decisioni di Bruxelles (come sembra essere la visione del Corriere della Sera e dei nostri ultimi premier) o possa esprimere una visione diversa di cosa fare in Italia e di come stare in Europa (come mi sembra intendano gli estensori del Manifesto dei 15).

È qui la differenza sostanziale, se comprendo bene. Il soggetto portatore della politica di Salvati non mi sembra essere quello auspicato dai 15; la prospettiva di un soggetto coerentemente liberal-conservatore che vuole ricondurre la socialità all’economico (l’economia sociale di mercato?) non può essere la stessa di coloro che vedono la dimensione economica come necessario sostegno alla diffusione del benessere e al progresso della civiltà europea. Va, paradossalmente, riconosciuto che il soggetto politico effettivamente emergente nell’attuale concreta situazione non ha i connotati né dell’uno né dell’altro, ma è proprio per questo che alla domanda retorica che pone Salvati (è utile, è educativo, un appello basato su una così evidente omissione, così lontano dai problemi di riforma sui quali il governo e le forze politiche effettivamente si battono?) non ho dubbi a rispondere affermativamente. Le riforme per le quali il governo e le forze politiche – e l’informazione nel suo complesso e i suoi maitres à penser – si battono non sono quelle di una civiltà europea che è stata e può essere un riferimento di qualità per il resto del mondo; per questo ritengo che siano urgenti e necessari gli appelli perché si possa diffusamente e opportunamente discutere di quale futuro questa classe intellettuale oggi egemonica nei media ci sta operosamente e ciecamente approntando.

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• Appello degli economisti “Urgente per l’Europa” il manifesto 22 dicembre 2013

• La replica di Michele Salvati sul Corriere della sera del 29 dicembre 2013:

• Giovanni Dosi su il manifesto del 31 dicembre 2013:

• Lettera al Corriere della sera del 31 dicembre 2013 di Burgio, de Cecco e Lunghini: