Con i 14 miliardi che servono all’acquisto e allo sviluppo dei cacciabombardieri si potrebbe fare fronte alle emergenze del paese. A partire da quelle legate a welfare e occupazione
La domanda è molto semplice: gli F-35 sono una priorità per il paese? C’è qualcuno dei deputati del centro-sinistra in Parlamento che lo pensa davvero? O che pensa che confermare la partecipazione italiana al programma di acquisto di 90 cacciabombardieri di attacco sia una scelta “popolare”? Non credo.
Governare significa scegliere. Anche e soprattutto in tempi di forte crisi come questi. I 14 miliardi per l’acquisto e lo sviluppo dei cacciabombardieri (52 per l’intera gestione del programma, almeno secondo le stime della campagna “Taglia le ali alle armi”), potrebbero essere spesi molto meglio. Non tutte le decisioni sbagliate possono essere corrette, ma in questo caso si è in tempo a tornare indietro e lunedì prossimo si presenta un’occasione che non va persa. Inizierà infatti la discussione di una mozione firmata da 158 (centocinquantotto) deputati di Sel, M5S e PD che chiede al Governo la cancellazione della partecipazione italiana al programma. Se quella mozione venisse votata, il governo difficilmente potrebbe andare avanti sulla sua strada senza tenerne conto.
Non si tratta di una delle tappe parlamentari che riguardano solo chi ha firmato quella mozione né solo i pacifisti. È una mozione che ci riguarda tutte e tutti. Perché ciascun pezzo acquistato di un F-35 sottrae le risorse necessarie per affrontare le vere priorità del paese, quelle con le quali ci confrontiamo tutti i giorni.
Il Ministro Mauro che ha definito, senza pudore, quello per gli F-35 “un investimento di pace” dovrebbe camminare per le strade delle nostre città. Provi ad andare in una scuola, in un ospedale, in un centro per anziani, in un centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati oppure in un centro anti-violenza. Provi a chiedere a chi gestisce servizi sempre più ridotti all’osso se l’ala di un cacciabombardiere vale la messa in sicurezza di una scuola o una riduzione dei ticket sanitari o il rafforzamento di quella rete di centri messi su dalle donne che combattono quotidianamente contro la violenza.
Oppure provi ad andare presso un qualsiasi sportello vertenze di un sindacato e chieda alle migliaia di lavoratori in cassa integrazione se un F-35 è più importante di un serio piano nazionale per l’occupazione possibilmente pulita, dignitosa e disarmata.
Questo è in gioco lunedì, non altro. E se proprio è necessario occuparsi di spending review che si identifichi e si elimini la spesa pubblica che non serve. E quella per gli F-35 non serve.
E per questo è fondamentale che al sit-in organizzato a Montecitorio (lunedì 24 giugno, ore 18-20) non ci siano solo i “soliti” pacifisti radicali e incapaci di rassegnarsi di fronte alle scelte sbagliate. Se quella piazza si riempisse di mamme e bambini, di anziani e studenti, di disoccupati, operai e “liberi professionisti” per forza, di pacifisti e antirazzisti, di operatori sociali e sindacalisti, di militanti dei partiti democratici dentro e fuori il Parlamento, daremmo un segnale forte. Perché non basta prendere le distanze dalla politica che non ci piace con un post su Facebook o un cinguettio, serve fare tutto il possibile per impedire che si perseveri nell’errore, mettendosi in gioco, in prima persona.