Punti di forza e debolezza del Commercio equo e solidale italiano. Quali prospettive? I risultati di un’indagine qualitativa
L’esistenza di una rete di BdM diffusa sul territorio nazionale e il suo ruolo di informazione/azione, l’essere espressione della società civile e dei movimenti dal “basso” e il maggiore valore aggiunto del bene/servizio prodotto nel rispetto dei diritti umani e ambientali: sono questi gli elementi che emergono come punti di forza del commercio equo italiano e che risultano da un’indagine qualitativa effettuata nell’ambito della pubblicazione “Tutti i numeri dell’equo” di Elena Viganò, Michela Glorio e Anna Villa, in uscita nelle librerie in questi giorni per le Edizioni dell’Asino.
L’analisi svolta, condotta mediante rilevazione diretta su un campione di 14 organizzazioni di commercio equo a livello nazionale, mira a conoscere le strategie di mercato utilizzate nella promozione e nella commercializzazione dei prodotti equosolidali, le attività di comunicazione e advocacy promosse verso la società civile e gli interlocutori politici e gli elementi che costituiscono le solidità e le criticità del movimento, con l’obiettivo di delinearne le strategie e le prospettive future.Le risposte fornite dalle organizzazioni intervistate evidenziano una sostanziale convergenza su alcune questioni (come, ad esempio, su l’identificazione degli obiettivi di fondo del Ces, l’analisi dei suoi fattori vincenti o su alcuni strumenti utilizzati, come le schede informative sul prezzo o le strategie promozionali tradizionali), accanto a una forte eterogeneità, soprattutto in relazione a i criteri di gestione dell’assortimento, l’uso di strumenti di gestione economica e finanziaria, le strategie di commercializzazione dei prodotti, l’individuazione dei canali distributivi. In particolare, tra gli elementi maggiormente dibattuti, emergono le questioni dell’ampliamento della gamma dei prodotti (che si contrappone alla proposta di una razionalizzazione dell’offerta che mira a valorizzare la qualità del prodotto), delle strategie di promozione dei prodotti e del punto vendita (di “Marketing Sociale” o di “Retail Marketing”) e della strategia di distribuzione. Negli ultimi anni, infatti, le organizzazioni di commercio equo hanno fortemente diversificato la vendita dei loro prodotti nei circuiti dell’economia solidale, degli Acquisti Pubblici e, in alcuni casi, nel canale tradizionale del piccolo dettaglio (alimentari, bar e ristoranti, erboristerie etc) e della Grande Distribuzione Organizzata. Tra le criticità o i punti di debolezza del movimento, invece, emergono la domanda insufficiente di prodotti equi e solidali da parte dei consumatori, la percezione di questi prodotti come prodotti “da bancarella” e a bassa qualità intrinseca, la scarsa disponibilità di risorse da destinare alla promozione di attività sul territorio e, in alcuni casi, la mancanza di solidità finanziaria delle organizzazioni di Ces. Anche la difficoltà di reperire personale qualificato e la congiuntura economica negativa sono percepite da alcune organizzazioni come punti di debolezza del movimento.
Il lavoro ha considerato anche le attività di comunicazione e advocacy, che tutte le organizzaioni intervistate, anche quelle di piccolissime dimensioni, svolgono sia attraverso il sostegno di campagne promosse a livello nazionale che con proprie iniziative a livello locale. Questa azione politica di comunicazione viene realizzata verso la società civile, attraverso le attività di educazione allo sviluppo (promozione di campagne di informazione e di sensibilizzazione), e verso i consumatori, realizzando interventi nelle scuole o corsi di formazione, con lo scopo di evidenziare le cause che portano alla distorsione delle relazioni economiche tra Nord-Sud, promuovere una maggiore giustizia commerciale tra paesi e sviluppare un modello di consumo responsabile. Sebbene sia difficile misurare l’efficacia delle attività di comunicazione nel contribuire ad aumentare la diffusione di un modello di “consumo responsabile” nei confronti dei cittadini, dall’analisi emerge che, a seguito di una maggiore attività di comunicazione sul territorio, si assiste ad un aumento delle richieste di informazioni sui produttori e sui prodotti, delle vendite e del numero di scontrini (e, quindi, delle persone che frequentano la Bottega) e, in alcuni casi, delle persone presenti agli eventi e ai convegni organizzati a livello locale.
L’attività di lobbying verso le istituzioni pubbliche, portata avanti dalle singole organizzazioni a livello locale, ha affiancato quella condotta a livello europeo, dal Fair Trade Advocacy office a Bruxelles, e a livello nazionale dall’Associazione di Categoria del Commercio Equo e Solidale (Agices) e dall’Associazione di marchio “Fairtrade Italia”, contribuendo, negli ultimi anni, al riconoscimento dei principi del commercio equo nella legislazione europea, nazionale e regionale e al finanziamento (e rifinanziamento) di campagne e di iniziative volte ad accrescere la diffusione del Ces presso le istituzioni pubbliche.
Concludendo, è possibile affermare che le attività di informazione e di formazione svolte dalle BdM negli ultimi anni sono state determinanti per la promozione di un consumo di tipo “etico”, anche se il Ces non riesce ancora a sviluppare l’intero potenziale di domanda e, più in generale, a configurarsi come una pratica di consumo quotidiano; l’analisi condotta evidenzia la consapevolezza, da parte delle organizzazioni di Ces, di dover promuovere la riduzione della distanza tra la domanda potenziale e la domanda reale, posizionando sul mercato prodotti in grado di soddisfare le aspettative del consumatore (ovvero che rispondano a requisiti di prodotti di eccellenza e garantiti), anche attraverso una crescente professionalizzazione degli addetti, l’adozione di strumenti di analisi e di gestione economica, il potenziamento della rete distributiva. Un altro aspetto di estrema rilevanza è rappresentato dalla ricerca di sinergie di tipo economico e politico con altre realtà che ne condividono gli stessi valori e principi, nonché con quelle aziende dell’economia tradizionale attente ai valori della solidarietà e della giustizia. Ciò consentirebbe di far conoscere il Commercio Equo sul territorio, di sviluppare comportamenti di produzione e di consumo responsabile e di raggiungere il mercato mainstream dei consumatori tradizionali, uscendo dalla tendenza all’autoreferenzialità che caratterizza, a volte, il movimento.