Se la crescita è “misurabile”, stagnazione e recessione si prestano a diverse interpretazioni. Ma a prendere sul serio le previsioni Bankitalia 2019 sarebbe da suonare un allarme rosso. Perché non scatta?
Preambolo
La discussione relativa alle prospettive economiche del Paese e dell’Europa, con tutte le implicazioni dal lato della sostenibilità dei conti pubblici, è viziata da un approccio ragionieristico dei conti pubblici. Sebbene i conti pubblici siano legati all’andamento del reddito1, i compiti dell’economia pubblica non possono essere piegati alla sola sostenibilità dei conti pubblici. Se questa è poi vincolata ai così detti vincoli del Fiscal Compact, l’economia pubblica rinuncia al suo ruolo storico di governo dello sviluppo. Le recenti stime della crescita del PIL, particolarmente severe per il 2019, dovrebbero suggerire più di una cautela. Infatti, se la dinamica del PIL per il 2019 è caduta in soli due mesi da una prospettiva di crescita dell’1% a 0,6% (Banca Italia), più che di sostenibilità economica dei conti pubblici, la politica (economica) dovrebbe predisporre delle misure tese a sostenere la crescita per evitare l’avvitamento di tutto il sistema produttivo, industriale e del lavoro. In altri termini, le proiezioni di crescita per il 2019 così basse sono un allarme per il sistema economico e non per i conti pubblici. Sebbene Banca Italia e Commissione Europea abbiano segnalato un significativo rallentamento del PIL, l’esito di questa proiezione non può essere quella di prefigurare delle manovre correttive per garantire i saldi finanziari. Se le Istituzioni del Capitale europee e nazionali registrano un avvitamento del sistema economico così veloce, con dei sospetti rispetto alla tempistica2, dovrebbero essere le prime a prefigurare e suggerire delle misure espansive. Il 2007 e il 2011 dovrebbero aver ben insegnato qualcosa circa gli effetti negativi dell’austerità espansiva. Sebbene caduta nel dimenticatoio la lezione di R. A. Musgrave, padre di tutti gli economisti pubblici, i compiti della pubblica amministrazione sono ancora validi. Si consideri il campo d’azione della “stabilizzazione”, il cui compito è di garantire la piena occupazione e prezzi stabili; della “allocazione”, in cui lo Stato interviene su come il sistema economico alloca le risorse in via diretta e indiretta; della “distribuzione”, ovvero di come i beni prodotti sono distribuiti tra i membri della collettività3.
Il governo, inoltre, dovrebbe prendere sul serio questi ammonimenti e modificare le priorità della manovra e, possibilmente, concordare con l’Europa un Piano d’azione sovranazionale. Diversamente sono tutti colpevoli di un attacco all’economia pubblica come strumento per risolvere i nodi dello sviluppo capitalistico che è, per definizione, soggetto a forti oscillazioni.
La congiuntura e l’immaginario
La congiuntura è un esercizio che sonda i terreni inesplorati del futuro incerto, ancorché ammantati da matematica e metrica. Facendo una sintesi della discussione attuale che ha per oggetto “crescita e recessione”, si potrebbe affermare che: la distanza tra previsioni economiche e realtà è diventa nel tempo così profonda negli ultimi anni (in peggio e/o in meglio), che dovrebbe far sorgere molti sospetti sull’uso anche politico delle stesse previsioni economiche. Se consideriamo il contenuto delle misure di politica economica del governo Renzi e/o Gentiloni e quelle per il 2019 adottate dall’attuale governo, ovvero il peso preponderante della spesa corrente rispetto agli investimenti, come dobbiamo interpretare la generosità delle aspettative di crescita durante il governo Renzi e così negative rispetto a questa compagine governativa? Eppure il contenuto delle misure, il peso specifico della spesa corrente, non è poi così tanto diversa. Che cosa è il reddito di cittadinanza se non un nuovo Jobs Act modello Lega-5 stelle? Persino la famigerata quota 100 non è poi così tanto diversa dagli interventi previdenziali del governo Renzi prima e Gentiloni dopo. La verità è, purtroppo, molto più semplice e disarmante: la crescita del reddito mondiale è da molto tempo rallentata, così come il commercio mondiale di beni e servizi. La guerra valutaria e commerciale ha esacerbato la tendenza, ma non l’ha determinata. Semmai è sorprendente come le istituzioni internazionali non abbiano ancora preso atto del rischio4 che, in ultima analisi, potrebbe diventare incontrollato se dovesse esplodere la bolla finanziaria dei derivati; quest’ultimi valgono 2,2 milioni di miliardi, cioè 33 volte il Pil mondiale.
Chi si occupa di congiuntura e fornisce previsioni su crescita, stagnazione, recessione e depressione, ma perdono per strada la prospettiva storica. Infatti, l’economia capitalistica da sempre oscilla tra crescita, stagnazione e recessione. Storicamente sono intervenute anche delle vere e proprie depressioni come quella del Ventinove e quella del 2007. Con una battuta, un po’ caustica, possiamo dire che la recessione è quando il tuo vicino perde il lavoro, la depressione è quando tu perdi il lavoro. Se la crescita economica è “misurabile”, la stagnazione e la recessione si prestano a diverse interpretazioni. Quindi, qual è la differenza tra recessione e stagnazione? Con stagnazione o economia stagnante si intende una situazione economica caratterizzata dal persistere di modeste variazioni del PIL e del reddito pro-capite, mentre il calo e/o variazione negativa – 1 per cento – del PIL rispetto all’anno precedente è generalmente associata alla recessione. La depressione, invece, è legata ad una caduta del PIL di almeno dieci punti. Nella definizione economica di recessione, stagnazione e depressione, però, non compaiono altre variabili e queste non sono meno importanti: per esempio ignora completamente ogni cambiamento del tasso di disoccupazione. Quindi la prospettiva e il luogo di osservazione della così detta crescita, stagnazione, recessione e depressione è importante quanto e come il fenomeno indagato.
Inoltre, l’analisi dei fenomeni economici, in questo caso di crescita-stagnazione-recessione-depressione, dovrebbe essere misurata allargando il paniere di riferimento. La comparazione della dinamica del PIL e di altre variabili economiche dovrebbe entrare nella valutazione dei fenomeni oggetto della riflessione. Restando al caso italiano, come dobbiamo interpretare la minore crescita di 7,5 punti di PIL rispetto alla media europea tra il 2000 e il 2007, cioè da ben prima che sopraggiungesse la depressione del 2007? Sebbene nel periodo non vi sia stata una recessione tecnica, semmai un rallentamento economico a cavallo della fine del millennio, il ritardo del Paese rispetto all’Europa, che con il tempo aumenta, dobbiamo intenderlo come stagnazione, recessione e/o depressione?
Ragionare dell’andamento congiunturale dell’economia è da sempre una attività particolarmente rischiosa, soprattutto se vogliamo estrarre dalla congiuntura delle presunte tendenze. Questa attività è diventata ancor più rischiosa dopo la crisi del 2007; tutta la modellistica è precipitata perché è cambiata la natura quali-quantitativa dei fenomeni che si utilizzano per costruire l’analisi congiunturale. I comportamenti delle imprese, dei consumatori, della pubblica amministrazione e le “guerre” commerciali e valutarie, per non parlare della incipiente bolla finanziaria, registrano delle variazioni anche violente e spesso inaspettate. Anche i moltiplicatori utilizzati per comprendere l’impatto dei provvedimenti governativi sulla crescita economica sono discutibili perché dal 2007 è cambiato il paradigma. Crescita, stagnazione, recessione e depressione, quindi, sono diventate delle “narrazioni” che prestano il fianco a delle analisi più puntuali sulle reali trasformazioni tecno-economiche che la società nel suo insieme deve affrontare. La crescita economica senza occupazione non è una recessione, ma ritornando alla prima definizione (la recessione è quando il tuo vicino perde il lavoro, la depressione è quando tu perdi il lavoro) possiamo ben sostenere che la piena e buona occupazione rimane l’indicatore più appropriato per valutare il livello di benessere della popolazione e di un sistema economico.
Abbiamo anche un altro e non banale fenomeno circa le previsioni economiche: le stime di crescita della Commissione Europea tra il 2015 e 2018 (autunno) sono sistematicamente più basse rispetto alla crescita del PIL che effettivamente si realizza. Perché sono sempre così basse quando nella storia le previsioni economiche sono quasi sempre più alte dei risultati reali? Non è che la Commissione Europea sottostimi la crescita per imporre delle misure economiche più restrittive? Dall’altra parte, le stime del governo italiano, di qualsiasi governo italiano, sono sempre più alte di quella che sarebbe plausibile, con un errore medio in termini di PIL reale di 0,25% per lo stesso anno5, di 1,15% per l’anno successivo e di 1,45% per quello ancora successivo6.
Rimane sorprendente la stima di crescita di Banca Italia per il 2019 che passa dall’1% (autunno) a 0,6% del corrente mese di gennaio. Molti altri istituti hanno rivisto al ribasso le stime di crescita, ma quella di banca Italia sono quelle più accentuate. Questa distanza nell’arco di pochissimi mesi vale per molti istituti. Per esempio la Reuters passa da 1,1% di ottobre a 0,7%, mentre Confindustria stima una crescita per il 2019 dello 0,9%. L’Istat perverrà a risultati simili, ma rimane sospetta la paura della sostenibilità dei conti pubblici se la crisi incombente avesse i tratti di delineati dalle stesse previsioni.
Siamo mai usciti dalla crisi?
La domanda non deve suonare retorica, piuttosto una occasione per comprendere la natura del fenomeno del rallentamento. A livello mondiale la crescita del PIL è molto lenta e, peggio ancora, gli investimenti non hanno dato nessun contributo reale. Quest’ultimi sono calati in rapporto al PIL e non è un buon segnale. Anche il commercio mondiale di beni e servizi è calato in rapporto al Pil, ma molti paesi si ostinano a consegnare la propria crescita sul saldo attivo di esportazioni-importazioni, compresa l’Italia. In realtà il mondo non è mai veramente uscito dalla crisi. Il Pil conseguito è significativamente più basso di quello potenziale o, almeno, rispetto alle aspettative dei primi anni 2000. Qualcosa è cambiato e chiamiamo crescita la variazione di decimali e/ recessione sempre la variazione di decimali.
È tutta l’economia internazionale a ristagnare. Qualche Paese è certamente più avvantaggiato e vive sulle spalle dei Paesi più deboli, ma senza una politica economica coerente la Stagnazione Secolare da facile battuta per colpire l’attenzione degli uditori, il riferimento obbligato e per Summers che continua a utilizzare le curve IS-LM, diventerà lo spettro dei Paesi a capitalismo maturo.
1 Quando il PIL rallenta è lecito aspettarsi una contrazione delle entrate fiscali e una crescita del rapporto debito-PIL in ragione della caduta del denominatore.
2 Relativamente a questa osservazione mi assumo tutte le responsabilità del caso.
3 R. A. Musgrave, 1995, Finanza pubblica, equità, democrazia, “Collezione di testi e studi”, ed. Il Mulino.
4 Questa affermazione non è così vera. In effetti le banche centrali di tutto il mondo si sono incontrate ufficiosamente chiedendosi cosa avrebbero potuto fare se fosse accaduta un’altra tempesta modello 2007 e 2011.
5 Solo per comprendere il fenomeno: il DEF economico di aprile stima una certa crescita per l’anno in corso.
6 R. Zenti, 2016, le previsioni sistematicamente errate del Governo, www.adviseonly.com/capire-la-finanza/abc-finanza/numeriacaso-fantasy-pil-ovvero-le-previsioni-sistematicamente-errate-del-governo/