La corruzione è un nemico, una minaccia globale paragonabile a quella del terrorismo fondamentalista, anche in termini economici. Circa il dieci per cento dei costi per gli affari nel pianeta è legato a mazzette, tangenti e frodi. Cifre inquietanti e parole forti che hanno fatto da cornice al primo summit internazionale contro la corruzione.
La corruzione è un nemico, una minaccia globale paragonabile a quella del terrorismo fondamentalista, anche in termini economici. In media il dieci per cento dei costi per gli affari nel pianeta è legato a mazzette, tangenti e frodi. Cifre inquietanti e parole forti che hanno fatto da cornice al primo summit internazionale contro la corruzione, voluto e ospitato a metà maggio a Londra dal premier inglese David Cameron.
Più di quaranta i paesi rappresentati ad altissimo livello che hanno preso parte al vertice: economie avanzate, emergenti, così come paesi in via di sviluppo. Per l’Italia c’erano il Guardasigilli Andrea Orlando, con al seguito il presidente dell’anti-corruzione Raffaele Cantone. L’evento è stato un unicum, anche per le nuove dinamiche politiche che hanno visto per la prima volta i governi delle economie avanzate finire sul banco degli imputati, nonostante abbiano messo sul tavolo importanti misure nella lotta alla corruzione a livello internazionale.
La credibilità del padrone di casa Cameron era già stata minata dai Panama Papers, che avevano costretto il primo ministro inglese ad ammettere che una parte della ricchezza di famiglia, soprattutto del padre, era transitata per la giurisdizione centro-americana con oscure pratiche fiscali e bassa tassazione. Come se non bastasse, proprio alla viglia del vertice lo stesso Cameron è stato sorpreso con un fuori onda a parlare con la Regina Elisabetta di come al vertice ci sarebbe stati anche due paesi “fantasticamente corrotti”, quali la Nigeria e l’Afghanistan.
Parole che hanno sollevato lo sdegno della delegazione del paese africano appena arrivata in città. Proprio il nuovo presidente della Nigeria, Muhammad Buhari, eletto a furor di popolo un anno fa, è diventato un insolito campione della lotta alla corruzione in Africa. Le cifre parlano chiaro: 3,2 miliardi di dollari confiscati e più di 400 pubblici ufficiali arrestati in meno di dodici mesi, nonché indagini aperte senza timore contro multinazionali del petrolio del calibro di Shell ed Eni, dalle cui operazioni il governo di Abuja dipende per gran parte delle sue entrate.
All’evento aperto alla società civile e al mondo del business alla vigilia del vertice, Buhari ha risposto a Cameron affermando che non servivano scuse per quanto detto, ma semplicemente che il governo inglese restituisse tutte le “refurtive” attualmente a Londra. Migliaia di proprietà intestate segretamente ad ex boiardi di stato nigeriani, oggi scappati per paura delle indagini dell’amministrazione Buhari. Tra le tante ricchezze, anche 84 milioni di dollari pagati nel 2011 dall’ENI al governo nigeriano su un conto londinese per l’acquisto della licenza del mega giacimento offshore Opl245. Soldi confiscati cautelativamente dalla procura di Milano nel 2014.
Cameron ha risposto con un impegno forte, almeno sulla carta, quale la creazione di un registro pubblico dei beneficiari ultimi delle proprietà oggi intestate ad imprese, trust o singoli. Si stima che si tratti di circa 100mila beni immobili, di cui 40mila nella sola Londra, che dietro i prestanome e le società di comodo potrebbero appartenere in realtà a soggetti che li hanno acquisiti per riciclare lauti proventi della corruzione. Tanti gli indiziati nigeriani, con in primis l’ex ministro nigeriano del petrolio, Diezani Alison-Madueke, la quale secondo la Banca centrale di Abuja avrebbe in soli 18 mesi portato fuori dal paese ben 20 miliardi di dollari!
Il registro pubblico delle proprietà fa il pari con l’impegno del governo a rendere operativo da giugno un elenco pubblico delle imprese presenti nel Regno Unito, che finalmente renderà noti i beneficiari ultimi di tante società. Un meccanismo però non semplice da realizzare, dal momento che lo stesso governo ha ammesso di avere mezzi limitati per verificare la veridicità delle informazioni fornite, anche se a dirla tutta potrebbero essere adottate delle misure sanzionatorie come deterrente per ulteriori frodi. Si badi bene però, solo le quote societarie superiori al 25 per cento saranno pubblicate, quasi come se andasse bene riciclare “da azionisti di minoranza”. Il governo italiano, che ha già un elenco delle imprese, tentenna ancora a creare un registro effettivamente pubblico e aperto a tutti i cittadini indistintamente.
La trasparenza è senza dubbio il punto di partenza, e non il fine in sé, ma vari attori nella società civile ne potrebbero beneficiare per verificare ed esporre chi continua a barare per nascondere le proprie ricchezze. Nello stesso giorno del vertice, l’Ong inglese Global Witness organizzava il “cleptocracy tour” in giro per Londra. Una visita turistica con tanto di pullman a due piani alle principali proprietà che si sono scoperte appartenere a dubbi personaggi dalle losche fortune, quali oligarchi russi o i figli di Mubarak.
Ad accendere ancora di più gli animi ci hanno pensato, a sorpresa, alcuni rappresentanti di ben noti paradisi fiscali lamentando due pesi e due misure imposti a loro svantaggio dai paesi che contano. Secondo il governo dell’Isola di Man, protettorato inglese, è ridicolo che tutti si accaniscano con le isolette e alcune giurisdizioni simbolo, quando in Delaware, stato degli Usa a fiscalità agevolata e solida segretezza, in un solo palazzo sono registrate dieci volte il numero di tutte le società stabilitesi a Man. Lo stesso Cameron ha dovuto ammettere che oggi le famigerate isole Cayman collaborano sulla trasparenza di più di altri paesi. Insomma, da che pulpito viene la predica, rinfacciano i paradisi fiscali più esotici, su cui sta in qualche modo avvenendo un maggior controllo, dopo l’imposizione di uno scambio automatico di informazioni tra paesi.
Parole che hanno un fondo di verità. Lasciando il vertice un investigatore nigeriano di alto livello mi ha raccontato come Londra rimanga la capitale del riciclaggio e tutte le azioni giudiziarie africane portano alla fine sempre nella ricca City. Entrambi ci siamo chiesti se questa volta alle parole seguiranno finalmente i fatti, oppure i cleptocrati l’avranno ancora vinta.
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