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Torino Mirafiori, 1969. C’era una volta la lotta operaia (3/3)

Terza e ultima parte. Dopo un anno di conflitto durissimo viene siglato nel dicembre ’69 il contratto nazionale dei metalmeccanici, conquistando molti diritti presto codificati dallo Statuto dei Lavoratori. Una grande lezione dal movimento operaio.

Tre cose importanti avvengono nel luglio 1969. La prima è la riunione di tutti i nostri iscritti e delegati che abbiamo fatto per l’approvazione dell’ipotesi di piattaforma contrattuale, decidendo l’impostazione che corrispondeva all’orientamento dei lavoratori della Mirafiori.

La seconda è l’assemblea nazionale dei delegati Fim, Fiom e Uilm che approva la piattaforma contrattuale. Se ben ricordo questa si è tenuta alla sede dell’Umanitaria di Milano. Straordinaria esperienza: per il clima, di unità, di entusiasmo e di fiducia, di grande consapevolezza per le decisioni che stavamo prendendo e per le modalità democratiche, mai viste prima da nessuno di noi, che stavamo applicando.

Oltre a questo in noi di Torino la nuova coscienza di non essere più una palla al piede del movimento sindacale e dei metalmeccanici. E questo poteva sicuramente portarci a un grande risultato. Votammo con puntiglio su ogni dettaglio, senza ordini di schieramento ma fedeli alle consultazioni fatte con i lavoratori, dagli aumenti eguali per tutti, agli scatti da abolire, alla parità con gli impiegati sulla carenza, all’impegno a non sospendere gli scioperi durante le trattative.

Per spiegare il clima ricordo solo che, sugli aumenti eguali per tutti, uno dei punti più discussi, Bruno Trentin mantenne sino al voto finale la sua posizione contraria, assieme a tutta Sesto San Giovanni, che aveva votato al 65% per avere aumenti parametrati. Dopo quel voto, la piattaforma è stata di tutti, proprio a cominciare da Trentin.

La terza cosa importante avvenuta nel luglio 1969 è un comitato centrale della Fiom, che si tenne a Firenze, con un caldo soffocante e con estenuanti riunioni notturne, nel quale, con una formula che non ricordo, in qualche modo ci si impegnava a una battaglia a tutti i livelli perché delegati e Consigli fossero considerate strutture di base del sindacato unitario. Una spinta ulteriore verso l’unità e verso quella che poi divenne la Federazione Lavoratori Metalmeccanici.

 

Arriviamo così alla vertenza contrattuale vera e propria. E anche questa comincia da fatti che avvengono a Mirafiori. Nell’ultima settimana di agosto, mentre ancora si stava tornando dalle meritate ferie, senza nessun preavviso e senza nessuna discussione preventiva nel sindacato e nelle leghe, parte con sciopero a oltranza l’officina 32 della meccanica: un’officina senza linee di montaggio, dove si facevano particolari di piccole dimensioni. Volevano la seconda categoria per tutti. Uno dei delegati di riferimento era Tonino Regazzi, che poi sarebbe diventato segretario della Uilm. Un altro era di Lotta continua, ma non ricordo il nome. Per noi erano come i giapponesi persi nella giungla che non erano stati informati che quella guerra era finita e ne stava per cominciare una diversa.

La Fiat, avendo ancora in mente la logica vallettiana di governo delle fabbriche con la paura, decide di sfruttare i mesi che dividono dall’inizio della vertenza per il contratto per intimidire i suoi dipendenti e far vedere chi comanda. Così, quasi senza preavviso, nella prima settimana di settembre arriva a sospendere 30.000 lavoratori, accampando il motivo della mancanza di componenti.

La reazione è immediata a Torino. Ma la reazione è soprattutto immediata dal nazionale. La segreteria nazionale, infatti, decide l’anticipazione della lotta per il contratto. Decide cioè di cominciare subito gli scioperi per il contratto anche se non erano nemmeno cominciati gli incontri. Più precisamente, 8 ore di sciopero nazionale il 12 settembre 1969 e manifestazione nazionale a Torino il 25 settembre.

Successo straordinario dello sciopero e della manifestazione. Cambia il look. Si inaugurano i bracciali del nutrito servizio d’ordine, anche per dimostrare a tutta la città e a tutto il paese che i metalmeccanici erano in grado di mantenere ordine e disciplina nelle loro manifestazioni. Per la prima volta, con il corteo da Mirafiori, si vedono gli striscioni a raso davanti ai cortei, forse non sempre visibili, ma certo più comodi da portare tutti insieme e con la rapidità necessaria.

Prosegue un’articolazione spinta per tutto il mese di ottobre, con manifestazioni nella città che stabiliscono un rapporto positivo con i torinesi, con una manifestazione al Salone dell’auto, e con azioni diverse dentro la fabbrica compresa un’assemblea alla porta 5, nella quale noi dirigenti delle leghe Mirafiori fummo portati di forza dentro il piazzale della fabbrica. Per questa assembla fui rimproverato da Roma, perché le prime assemblee interne erano previste in altre fabbriche per due giorni dopo, con i segretari generali.

Nella prima settimana di novembre le trattative erano a un passo dalla conclusione. E proprio in quel momento la Fiat, nella solita logica intimidatoria, decide la nuova provocazione: sospensione, ovvero licenziamento, di 200 delegati e attivisti sindacali, con i motivi più assurdi. Per marcare il territorio. Far capire chi comanda.

La reazione a Torino è immediata. Con scioperi ovunque e con la convocazione di una grandissima assemblea di tutte le fabbriche e di tutta la città al Palazzo dello Sport di Parco Ruffini, per il 18 novembre 1969. Per quello che chiamammo “Processo alla Fiat”.

Ma la mossa risolutiva anche questa volta arriva dal nazionale. La segreteria nazionale, infatti, decide di ritirarsi dal tavolo delle trattative. E comunica a Donat Cattin, ministro del Lavoro che aveva gestito tutta la fase dei colloqui e delle trattative, che gli scioperi sarebbero continuati fino a che la Fiat non avesse ritirato i provvedimenti.

Tutti i padroni, Assolombarda in testa, sono furibondi con la Fiat. Non solo avevano dovuto subire un anticipo in corsa del contratto, ma ora dovevano subire un’ondata di scioperi pesanti, a vertenza praticamente conclusa. Si sviluppano pressioni fortissime sul ministro, che sicuramente ne approfitta e convoca Agnelli a Roma per convincerlo a ritirare i provvedimenti. E contemporaneamente chiede all’assessore al Lavoro del Comune (o della Provincia?) di Torino, On. Valente (della sua componente), di partecipare all’assemblea del Palasport.

Agnelli cede proprio nella mattinata del 18 novembre. E Pugno lo annuncia nel suo intervento di apertura all’assemblea del Palasport. Avvengono in quell’occasione sciocche contestazioni al Palasport, perché i rientri dei 200 sono scaglionati nell’arco di 10 giorni e per la presenza di Valente. Ma sono cose di poco conto. Il risultato è comunque di altissimo valore e tutti lo capiscono.

La vertenza del contratto in qualche modo si allunga. In primo luogo per le grandi pressioni volte a costringere i metalmeccanici a sospendere la manifestazione nazionale prevista per il 28 novembre a Roma, a causa degli incidenti milanesi nei quali è morto Antonio Annarumma, un carabiniere ucciso da uno spezzone di tubo lanciato da un corteo di estremisti: ma le pressioni non sortiscono effetto, e la manifestazione di Roma riesce nel massimo di ordine e di partecipazione, con una città incuriosita e attenta a un corteo di lavoratori che non si era ancora mai visto così compatto e determinato. E in secondo luogo per ciò che accade il 12 dicembre a piazza Fontana, con il tragico inizio dell’infame stagione del terrorismo che tanti danni ha portato al movimento dei lavoratori e alla democrazia italiana.

Il contratto viene firmato il 21 dicembre 1969. Un grande risultato. Da 48 a 40 ore settimanali, 65 lire ora di aumento eguale per tutti (circa +13% nella media), parità con gli impiegati per la carenza (i 3 giorni di malattia che non pagavano agli operai), 10 ore di assemblea interna retribuita all’anno, diritti per il sindacato in fabbrica, con riconoscimenti e ore di permesso. E altre cose. Avevamo conquistato sul campo molti dei diritti che pochi mesi dopo sarebbero stati codificati dallo Statuto dei Lavoratori.

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Voglio chiudere con un episodio indicativo del cambiamento, anche simbolico, che è avvenuto allora nel sindacato.

Quello di Torino era un sindacato molto “torinese”. Si parlava in dialetto. Sovente la lingua era usata come un’arma, non dico intimidatoria, ma quasi. Ho assistito alcune vote a discussioni animate nelle quali Pugno e Pace parlavano appositamente in dialetto stretto con Bruno Trentin, perché erano incazzati su qualche problema. Gli volevano bene e lo stimavano molto, ma era comunque “romano”.

L’episodio avviene proprio nel “Consiglione” che prepara la manifestazione del 18 novembre 1969 al Palasport, quando ancora non sapevamo che la Fiat avrebbe ritirato i licenziamenti. Quindi una riunione difficile con un Consiglione di 700 delegati. Un nostro bravissimo compagno, Giovanni Longo, operaio specializzato di quelli che fanno i baffi alle mosche, licenziato Fiat e dirigente nella lega di Mirafiori, conclude il suo intervento scivolando sul dialetto… “perché a custa situazion si a venta buteie el manic”. Cioè: “perché a questa situazione occorre mettere il manico, trovare la soluzione”. Una cosa di buon senso, del tutto condivisibile.

Scoppia un finimondo. Tutti in piedi sulle panche che urlano e si sbracciano contro la presidenza. Non riusciamo a capire che cosa fosse successo. Dieci minuti di casino indicibile. Serafino e io eravamo addirittura saliti in piedi sul tavolo per tentare di calmare le acque. Riusciamo finalmente a convincere uno dei delegati più agitati, Norcia, ricordo ancora benissimo, a venire al microfono e spiegare cosa fosse successo. E lui dice: “Se il sindagato vuole mettere il manico nel gulo degli operai, si ricordi che saranno gli operai a mettere il manigo nel gulo del sindagato!!”. Grandi applausi e poi ovvie spiegazioni.

Da allora, quando in una qualsiasi assemblea si levava il grido “taliano!”, immediatamente si cambiava registro. Così anche il sindacato a Torino divenne più “nazionale”. E così i giovani immigrati meridionali, indubbi protagonisti di quei mesi infuocati sono divenuti a pieno titolo dirigenti del sindacato.

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Paolo Franco, dal 1964 in Fiom nazionale e dal 1967 alla Fiom di Torino, è stato Responsabile Fiom alla 5° Lega Mirafiori dal 1968 al 1972, segretario della Fiom di Torino dal 1972 al 1977 e membro della Segreteria nazionale Fiom dal 1980 al 1988. L’autore, assieme a Cesare Cosi, Toni Ferigo, Gianni Marchetto, Piero Pessa, ha costruito un sito sulla storia della Mirafiori, dal 1939 ad oggi, suddivisa per decenni, con tutti gli accordi (anche quelli di officina), commentati, e poi foto, video, materiali diversi, testimonianze, bibliografia vastissima e molti libri integrali e molti altri materiali. Alla realizzazione tecnica del sito ha collaborato Cristina Povoledo. Il sito www.mirafiori-accordielotte.org è attualmente gestito da Ismel, centro studi unitario con sede a Torino.