A fine novembre il Parlamento europeo ha bocciato l’assunzione del Fiscal compact nel diritto comunitario e la discussione a Strasburgo (Lega e 5 stelle erano assenti) è stata prolifica ma in Italia nessuno ne parla. E la disputa tra governo e Commissione resta spiaggiata sul deficit eccessivo.
Dal 27 novembre, nella discussione europea sulla sostenibilità dei bilanci degli Stati membri c’è qualcosa di inedito e inaspettato: il Parlamento europeo ha bocciato l’assunzione del Fiscal compact nel diritto comunitario. In teoria il Fiscal compact, essendo un accordo intergovernativo, potrebbe vivere indipendentemente dai Trattati europei, tuttavia, essendone scaduta nel 2017 la vigenza, attendeva la certificazione legislativa prevista dalla Roadmap di Juncker “Further steps towards completing Europe’s Economic and Monetary Union” che, attribuendogli lo status di Trattato, ne avrebbe assicurato la durata sine die. La Commissione Economia e finanza di Strasburgo ha invece bocciato la proposta, evitando di recepire nell’ordinamento giuridico dell’Unione le regole di bilancio da osservare e i meccanismi automatici di correzione da attivare in caso di deviazione dagli obiettivi stabiliti per gli Stati membri.
La Commissione parlamentare europea, peraltro, non ha solo bocciato l’introduzione del Fiscal compact nel diritto comunitario, ma ha anche delineato la necessità di una politica fiscale che rimetta al centro della discussione europea lo sviluppo, il lavoro e la crescita. Un aspetto rimosso dalla Commissione, che continua a reclamare il rispetto dei Trattati nonostante essi o almeno la loro interpretazione, come argomenta il piano Savona, siano compromessi dalle fondamenta.
La disputa tra governo gialloverde italiano e Commissione europea, così come quelle tra gli altri Stati europei e la Commissione (le raccomandazioni interessano infatti diversi Stati) appare perciò priva della lungimiranza che dovrebbe guidare le istituzioni comunitarie, soprattutto in un momento di difficoltà politiche tanto continentali quanto globali.
In Italia la discussione di politica economica è ripiegata sul deficit pubblico (potenziale) del 2,4%, che diventa il 2% se consideriamo il rinvio di “reddito di cittadinanza” e “quota 100”. Dalla discussione esce il cosiddetto output gap (differenza tra PIL reale e potenziale) calcolato dalla Commissione che è inferiore a quello calcolato dal FMI di ben 1,1 punti percentuali, con effetti sul deficit pubblico rilevantissimi (con il calcolo FMI l’Italia avrebbe da tempo un bilancio strutturale in attivo). Sostanzialmente la Commissione europea e gli Stati membri sanno che il Fiscal compact si trova ormai in una sorta di limbo in attesa di revisione, ma nonostante ciò tutte le istituzioni e con loro tutta l’informazione nazionale – in questo caso non si salva proprio nessuno – rimuovono il vero oggetto del contendere.
A suo tempo (7 dicembre 2017), con diversi altri economisti proponemmo, anche grazie a Sbilanciamoci, l’appello al Parlamento europeo Overcoming the Fiscal Compact for a new European development, teso a riscrivere le regole comunitarie in tema di politica economica. Qualcosa sembra finalmente muoversi nella riflessione politica europea e l’esito della votazione nella Commissione Bilancio del Parlamento europeo è un ottimo segnale, anche perché sostenuto da tutta le sinistra (Lega e 5 stelle erano assenti). Dobbiamo però sottolineare che chi vorrebbe la Trojka piuttosto che l’attuale governo, o chi reclama la difesa del risparmio compromesso dallo spread cresciuto per le scellerate politiche gialloverdi – ma quanti sanno che il debito pubblico è posseduto dagli italiani è in misura ben maggiore che negli altri Stati? –, profila un conflitto tra ragione e ignoranza (P. Leon). Discutiamo di decimali quando il bilancio nazionale, in attesa della riforma del Fiscal Compact, dovrebbe essere quanto meno transitorio. Sembra quasi che Commissione europea e Governo nazionale facciano a pugni per sostenersi a vicenda. Se invece guardassimo al dibattito corrente partendo dallo sforamento del deficit di quasi tutti i paesi europei, potremmo giocare un ruolo ben più propositivo nella riforma delle politiche di bilancio.