Il No del 4 dicembre è anche una richiesta chiarissima di un rapido e netto cambiamento. Che può avvenire solo se la sorprendente partecipazione al voto si espande in un protagonismo sociale, diffuso e organizzato 65: sono secondo Openpolis le questioni di fiducia richieste al Parlamento dal Governo Renzi nel corso del suo mandato, in […]
Il No del 4 dicembre è anche una richiesta chiarissima di un rapido e netto cambiamento. Che può avvenire solo se la sorprendente partecipazione al voto si espande in un protagonismo sociale, diffuso e organizzato
65: sono secondo Openpolis le questioni di fiducia richieste al Parlamento dal Governo Renzi nel corso del suo mandato, in media 2 al mese. Alcuni esempi non proprio secondari: a colpi di fiducia sono stati approvati il Jobs Act, lo Sblocca Italia, la Buona Scuola, l’Italicum e il decreto fiscale 2016. L’ultima è quella richiesta e ottenuta sulla Legge di Bilancio 2017, licenziata in aula al Senato in 24 ore con 166 voti contro 70 no e un’astensione il 7 dicembre.
La partecipazione popolare sorprendente al voto del 4 dicembre e lo scarto di ben 18 punti tra il sì e il no, probabilmente raccontano anche questo: la prassi consolidata (ben prima dell’ultimo esecutivo) di approvare a colpi di fiducia norme e riforme che incidono pesantemente sulla vita quotidiana di tutti noi è divenuta insopportabile. Esprime infatti molto bene, così come l’altrettanto frequente ricorso ai decreti legge, il progressivo svuotamento del ruolo del Parlamento a favore di quello dell’esecutivo effettuato nel corso degli ultimi anni. E tra gli elementi distintivi sostanziali della riforma Costituzionale voluta e imposta al Parlamento dal Governo, per fortuna rinviata al mittente, vi era proprio quello di sancire in modo definitivo la subordinazione dei rappresentanti dei cittadini democraticamente eletti al potere dell’esecutivo.
È naturalmente difficile fornire un’interpretazione univoca del significato di quel 70% di partecipazione al voto e di quel 60% di elettori che hanno rigettato la riforma. Tuttavia alcuni segnali sembrano emergere chiaramente.
La protezione della Costituzione
Gli elettori hanno rifiutato in modo netto il tentativo di stravolgere la Costituzione ben comprendendo la portata antidemocratica della riforma che, con la riduzione del numero di Senatori, trasformati in nominati, una confusa ripartizione della funzione legislativa tra le due Camere e una profonda lesione dell’autonomia delle regioni, avrebbe ridotto ulteriormente la possibilità dei cittadini di condizionare e controllare l’operato di chi li governa. Il No del 4 dicembre è anche, sicuramente, un no all’arroganza del potere di uno solo o di una minoranza potente.
La decostruzione della retorica renziana
Il voto è un no al renzismo. Il cerchio magico che ha miscelato i rapporti con i grandi poteri economici e finanziari con la retorica della rottamazione, della velocità e del nuovismo, l’ostentazione di una ribellione all’austerità dell’Europa e con riforme pesantissime a danno dei lavoratori, della tutela dei beni comuni, della garanzia pubblica dei diritti sociali e a favore dei privilegi, si è quanto meno infranto.
Un no squisitamente politico
Ad essere bocciate sono infatti soprattutto le politiche neoliberiste operate in questi anni. Le condizioni materiali di gran parte dei protagonisti del no, giovani, disoccupati e persone con redditi bassi, lo esplicitano molto bene. Le analisi del voto sembrano indicare che le favolose aspettative create con l’introduzione degli 80 euro in busta paga, l’approvazione del Jobs Act, del Salvaitalia e della Buona scuola si sono liquefatte di fronte ai più di 4,5 milioni di persone che si trovano in condizione di povertà assoluta, all’11,6 % di disoccupati, al 34,6% di disoccupati giovani e (un po’ meno) ai pensionati beffati con l’Ape “volontaria”. Si vedano in tal senso l’articolo di Roberta Carlini qui: www.internazionale.it e i dati proposti da Ilvo Diamanti qui: www.repubblica.it
La macchina della propaganda non ha funzionato
Il voto del 4 dicembre ci racconta anche un’altra cosa. Nonostante l’incredibile dispiegamento di mezzi e risorse, l’onnipresenza del Presidente del Consiglio sui grandi media, l’utilizzo spregiudicato, anche a pagamento, dei social network, di Youtube, del mass-mailing e via dicendo, la maggioranza degli elettori ha dimostrato di sapere pensare con la propria testa.
Una delegittimazione della politica
Sarebbe un errore non scorgere nel No anche una dirompente protesta nei confronti dell’inefficacia e dell’impotenza della politica. Una protesta che è stato possibile far convergere nel no anche grazie alla pluralità delle forze politiche contrarie alla riforma, ma che è molto più difficile tenere insieme su un progetto di cambiamento comune, condiviso e di sinistra. La vittoria del 4 dicembre è stata sicuramente popolare; sta anche a noi evitare che costituisca il prodromo di una deriva populista (e magari, xenofoba e razzista), grazie alla capitalizzazione del risultato da parte delle destre, avallata dalla campagna di demonizzazione nei confronti degli elettori del No proseguita sui media anche dopo il voto.
Partecipazione e protagonismo sociale: l’unica risposta possibile
Il fallimento dei numerosi tentativi, politicisti e pensati a tavolino, di ricostruire una “forza politica di sinistra” dovrebbe suggerire la strada da seguire. Se il No del 4 dicembre è una bocciatura clamorosa delle politiche economiche, sul lavoro, sociali e fortemente diseguali adottate sino ad oggi, è anche una richiesta chiarissima di un rapido e netto cambiamento. Che può avvenire solo se la sorprendente partecipazione al voto sul referendum si espande in un protagonismo sociale, diffuso e organizzato capace di pretendere la cancellazione delle principali riforme renziane. A partire dal Jobs Act, dalla Buona scuola e dallo SbloccaItalia, passando per la rivendicazione di una rinuncia definitiva alle politiche di austerità e di provvedimenti immediati per contrastare la povertà e le diseguaglianze.
Oltre a quella del 4 dicembre un’altra “marea” si è espressa nel nostro paese, pressochè ignorata (non solo dai media): quella delle 200mila donne della manifestazione Nonunadimeno del 26 novembre e delle oltre mille che hanno partecipato all’assemblea del giorno successivo. Due giornate che dicono molto su quale potrebbe essere la buona strada per praticare una buona politica.