Il 2 giugno sfileranno ancora soldati e mezzi bellici in occasione della festa della Repubblica. Una festa che dovrebbe essere di tutti, strumentalizzata e ridotta ad uso militare. Una dimostrazione di forza non richiesta e uno spreco di soldi. E nel frattempo prosegue la politica di riarmo con l’acquisto di altri caccia F-35.
Il prossimo 2 giugno, per festeggiare la festa della Repubblica, si terrà l’ennesima parata militare, appena stemperata dalla modesta presenza di una piccola componente civile: un gruppetto di sindaci, un po’ di personale non armato, qualche ragazza e ragazzo del servizio civile. E nonostante la buona volontà della ministra Elisabetta Trenta – che dedica la sfilata di quest’anno al tema dell’inclusione – la parata militare, la fa da padrona: 2-3 milioni di euro spesi per far marciare i soldati armati, far volare le frecce tricolori, far sfilare i mezzi militari con cannoncini e mitragliatrici.
Il 2 giugno è una festa bellissima: ricorda la vittoria al referendum del 1946 della Repubblica sulla monarchia. Le forze armate hanno già la loro giornata, il 4 novembre. La festa del 2 giugno dovrebbe essere celebrata in modo diverso, non con l’esibizione, anacronistica e retorica, di carri armati, autoblindo e soldati in uniforme. Dovrebbe essere una festa di popolo, civile, democratica, in cui si aprono molto di più le porte di tutte le istituzioni, delle scuole, dei musei. Facendo sfilare – se proprio si deve – quelli che ogni giorno portano sulle spalle il peso di questa repubblica: oltre ai militari, le infermiere degli ospedali, le maestre delle scuole, gli operai delle fabbriche, i vigili del fuoco, gli studenti, i volontari delle associazioni…
Cambiano i governi, ma la parata militare rimane. Rimangono alte anche le spese militari e si continuano ad acquistare e a produrre i cacciabombardieri F-35. Proprio lo scorso 30 maggio la ministra Trenta ha confermato che l’Italia è impegnata a prenderne altri 15 (passando da 13 a 28) da qui fino al 2022. Poi si vedrà. La retorica militare della parata si accompagna a scelte molto concrete a difesa degli interessi dell’industria militare e di una politica di riarmo, che da tempo avrebbe dovuto essere archiviata.
Le parate militari si fanno certamente nei Paesi democratici, ma molto più spesso nel tempo ne abbiamo associata l’immagine alla tronfia esibizione muscolare di Paesi autoritari, nazionalisti, talvolta di dittature. Come quella fascista – con tutto il suo portato di retorica militarista e bellica – cui il referendum del 1946 chiuse la porta per sempre, archiviando la complice e pusillanime monarchia. E un anno dopo, con una Costituzione che all’art. 11 recita: “L’Italia ripudia la guerra”.
Ricordiamocelo, sempre, il 2 giugno.