2000-2015: quindici anni separano il primo rapporto di Sbilanciamoci! sulla legge finanziaria 2001 da quello che oggi presentiamo a Roma sulla legge di stabilità 2016. Sembra passato un secolo. In mezzo ci sono stati dieci governi, sette Presidenti del Consiglio – D’Alema, Amato, Berlusconi, Prodi, ancora Berlusconi fino ad arrivare a Monti, Letta e infine […]
2000-2015: quindici anni separano il primo rapporto di Sbilanciamoci! sulla legge finanziaria 2001 da quello che oggi presentiamo a Roma sulla legge di stabilità 2016.
Sembra passato un secolo.
In mezzo ci sono stati dieci governi, sette Presidenti del Consiglio – D’Alema, Amato, Berlusconi, Prodi, ancora Berlusconi fino ad arrivare a Monti, Letta e infine Renzi –, il passaggio all’euro e la crisi economico finanziaria globale più grave dopo quella del ’29.
La globalizzazione neoliberista ha sconvolto il funzionamento del sistema economico globale, la distribuzione della produzione e l’organizzazione del mercato del lavoro allargando in modo vertiginoso le diseguaglianze tra i paesi del pianeta e, all’interno dei singoli paesi, quelle tra ricchi e poveri.
Nel frattempo il sistema di relazioni internazionali, dopo la caduta del muro di Berlino, è divenuto tutt’altro che stabile. Dopo l’attentato del settembre 2001, gli interventi militari in Afganistan, Iraq, Libia, Mali e in Siria non sono certo serviti ad assicurare maggiore stabilità nei paesi coinvolti e a sconfiggere il terrorismo. E proprio da questi paesi proviene la maggior parte delle persone che tentando di entrare in Europa trovano di fronte a loro nuovi muri.
Il lavoro di Sbilanciamoci! può sembrare molto più aleatorio rispetto a quindici anni fa: le decisioni che condizionano la nostra vita quotidiana sono oggi molto più dipendenti da sistemi di potere internazionali fuori controllo che non siamo assolutamente in grado di influenzare.
Oggi l’Unione Europea vive una crisi politica e democratica senza precedenti e una delegittimazione popolare crescente. Così come vive una crisi profonda di democrazia il sistema istituzionale e politico italiano: lo svuotamento dei poteri del Parlamento, la politica fatta a colpi di leaderismo telematico, la frammentazione dei partiti e l’evanescenza della loro base sociale di riferimento ne sono i principali indicatori.
Nel 2000 nel nostro rapporto definivamo la legge finanziaria rinunciataria: si proseguiva la strada delle politiche economiche fondate sulla crescita indiscriminata, sulla competitività senza qualità, sul contenimento della spesa pubblica. Ma allora potevamo rivendicare di un’estensione del reddito minimo di inserimento, introdotto in via sperimentale nel 1998, su tutto il territorio nazionale. Ci preoccupava già la crescita della spesa sanitaria privata: ma in quell’anno il Governo decideva di diminuire i ticket sanitari, di stanziare 3.800 miliardi di lire per l’edilizia sanitaria e 750 miliardi di lire in più per il Fondo per le politiche sociali. E stanziava 50 miliardi di lire per un Fondo per lo Sviluppo sostenibile.
Scelte molto diverse da quelle di oggi.
Scuola, lavoro, controllo della spesa pubblica e riforma della pubblica amministrazione, riforme costituzionali e, naturalmente, rispetto dei vincoli europei sul raggiungimento del pareggio di bilancio. Il “passo dopo passo” del Governo Renzi presentato all’inizio del suo insediamento si è articolato in un programma che ha previsto praticamente tutto. E tra tweet e siti dedicati 3.0, la comunicazione smart del Presidente del Consiglio propone l’aggiornamento periodico dei provvedimenti adottati, riuscendo a venderli come oro.
In effetti di danni ne sono stati fatti molti: dal Jobs Act, allo Sblocca Italia e alla Buona Scuola fino alla riforma delle legge elettorale e del Senato, l’impronta è chiara. Sul piano politico, il progressivo svuotamento dei poteri di indirizzo e legislativi del Parlamento, l’accentramento delle decisioni nella Presidenza del Consiglio, lo svuotamento del ruolo degli enti locali. Sul piano economico, la riduzione progressiva del ruolo dello Stato in ambito economico e l’allentamento di qualsiasi vincolo che pretenda di limitare il potere delle imprese. Sul piano sociale provvedimenti di indubbio consenso popolare, come gli 80 euro in busta paga e l’abolizione della Tasi, che implicano però necessariamente il progressivo smantellamento dei servizi pubblici, lo slittamento verso un modello di welfare privatistico-aziendale e l’ampliamento delle diseguaglianze economiche, di reddito e sociali.
Sullo sfondo, l’affidamento all’andamento spontaneo del mercato delle magnifiche sorti e progressive del Bel Paese.
Allora perché ostinarsi ad analizzare ogni anno scelte economico-finanziarie che vanno nella direzione sbagliata?
Perché pensiamo che solo la partecipazione dal basso può riservarci tempi migliori. Il Rapporto di Sbilanciamoci! è un esercizio di democrazia dal basso. È fondamentalmente un messaggio: di metodo e, certo, nei contenuti.
Di metodo perché è il frutto di un lavoro collettivo di molte persone e di 46 realtà associative che continuano a lavorare in rete per elaborare una visione alternativa complessiva delle politiche pubbliche che ci sono e di quelle che servirebbero.
Di contenuti perché le proposte che Sbilanciamoci! avanza vanno in una direzione completamente diversa da quella scelta da chi ci governa. Occupazione buona e utile al paese; lotta contro le diseguaglianze sociali, la xenofobia e il razzismo; garanzia dei diritti sociali universali e di un reddito dignitoso per tutti; equità e progressività fiscale; lotta ai cambiamenti climatici, energie pulite e salvaguardia del territorio; cooperazione tra i popoli e politiche di pace; saperi, ricerca, cultura, nuovi stili di vita e di consumo per una nuova economia e una società più umana, non competitiva, solidale, libera dalla paura. Un messaggio visionario? Forse.
Ma a maggior ragione oggi una società che oltre ad essere in balia dei grandi poteri economici e finanziari rischia di diventare ostaggio degli imprenditori della paura, forse proprio di visionari ha bisogno.