Verdetti volubili e imperscrutabili, come le divinità pagane. Però stavolta c’è una verità tra le ragioni del declassamento: le reticenze della politica
Ma come si permettono I Mercati di rivoltarsi contro l’Italia, con tutto quello che stiamo facendo per loro? A ogni downgrade delle agenzie di rating, e a ogni crollo di borsa o aumento dello spread, gli italiani offesi dimenticano forse che tra le caratteristiche proprie delle divinità pagane, come I Mercati, ci sono la volubilità e l’imperscrutabilità.
Oggi, il doppio declassamento inferto da Moody’s ai titoli pubblici italiani si basa sulle stesse due considerazioni che mossero cinque mesi fa Standard & Poor’s: 1) l’economia italiana (e europea) va male, e con essa si riducono le capacità della repubblica Italiana di ripagare il proprio debito; 2) lo scenario politico italiano presenta troppe incognite, e ogni volta che il governo ‘starnutisce’ o sembra indebolito, gli investitori mettono mano al mouse.
Sul primo punto la questione è semplice e ormai abbastanza chiara ai più: fintanto che a livello europeo proseguiremo – addirittura anche nei paesi in surplus della bilancia dei pagamenti – con la follia dell’austerità, l’economia peggiorerà, e con essa la capacità dello Stato di ripagare il debito negli anni a venire. È noto infatti che il debito si misura in rapporto al Pil (e quindi cresce se il Pil si riduce) e che le entrate fiscali dipendono dall’andamento dei redditi di famiglie e imprese.1
Ma d’altro lato, l’austerità è la maniera migliore per garantire la solvibilità dello stato nell’immediato. Un alto surplus primario, cioè entrate pubbliche molto superiori alle spese pubbliche – il massimo dell’austerità – è la strada più sicura per garantire che piano piano si riesca a ripagare gli interessi e, auspicabilmente, a rimborsare un po’ di titoli in scadenza. È la politica che più tutela i creditori nell’immediato, e per questo è tanto invocata.
Dunque I Mercati vogliono la botte piena (l’austerità) e la moglie ubriaca (l’economia che cresce)? Certo. Chi ha mai detto che I Mercati fossero composti di una sola persona, o rappresentativi di un solo interesse? Questo è solo uno, e neanche il principale, degli argomenti in favore dell’ipotesi di piantarla con il tentativo di vaticinare le volontà dei mercati, e soprattutto di applicarle poi nelle politiche economiche.
Inoltre, i più accaniti fan dell’austerità possono sempre invocare l’argomento che “non stiamo facendo abbastanza” e che, se il paziente sta morendo, la cura non è sbagliata ma insufficiente.
Ma la certificazione da parte di Moody’s del fatto che l’economia peggiora, e quindi forse l’austerità non è l’idea migliore, non è la parte che più ha infastidito molti commentatori italiani. È il secondo punto, la valutazione sullo scenario politico, a essere percepito come un’indebita interferenza negli affari nostri.
Mi permetto di notare che su questo aspetto in Italia si è davvero guardato al dito e non alla luna.
Secondo l’economia mainstream, l’assetto democratico di un paese ne incentiva la crescita economica. Due le ragioni più spesso apportate da quella che, senza autoironia, si definisce Nuova Economia Istituzionale (corsivo mio):
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la democrazia garantisce un migliore sistema di pesi e contrappesi, e controlli sui governanti, e quindi riduce gli sprechi e le inefficienze;
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la libertà politica e quella economica si integrano a vicenda, e quindi la democrazia favorisce la creazione d’impresa, l’innovazione, la concorrenza.
L’impetuosa crescita di diversi paesi emergenti e di alcuni paesi in via di sviluppo, caratterizzati da “democrazie autoritarie”, è sembrata mettere in discussione questa tesi. Con democrazia autoritaria si intende un regime politico formalmente democratico (o almeno parzialmente tale) ma di fatto dominato da un’élite di partito (come in Cina), di clan (come in Russia), o personale (come in Venezuela). Questo dominio di fatto si fonda sul controllo monopolistico di alcuni centri di potere necessari per governare un paese, come la stampa, le industrie, le banche, i corpi intermedi.
Ora, a parte che anche questi paesi stanno oggi rallentando la loro corsa, frenati dalla recessione strisciante nei paesi sviluppati, in molti paesi autoritari la crescita sembra per lo più fondata sullo sfruttamento di risorse naturali o sulla compressione dei diritti civili e sociali, e quindi non sembrerebbe sostenibile nel lungo periodo. Dunque, rimarrebbe salva l’ipotesi che la democrazia fa bene all’economia.
Per questo tendenzialmente (sebbene non sempre) i paesi democratici godono di rating più alti.
Oggi è difficile collocare l’Italia in questo quadro. Tutti o quasi i centri di potere necessari per governare, cui ho accennato sopra, hanno puntato su un unico “cavallo”. Nessuno può oggi porsi come una credibile alternativa al governo attuale, perché nessuno può vantare il supporto di una parte minimamente consistente di quelli che vengono volgarmente definiti ‘i poteri forti’. Questa è la ragione per cui I Mercati tanto temono una caduta del governo Monti: non perché nessuno al di fuori dell’attuale presidente del consiglio saprebbe governare la pur difficile congiuntura attuale, ma perché non esistono alternative credibili e possibili.
Perché ci sia democrazia, sostanziale e non solo formale, è necessario che i cittadini abbiano una vera scelta tra proposte alternative, tutte credibili e possibili. L’attuale situazione di monopolio, invece, si dimostra non solo una limitazione del dibattito, ma anche un rischio per chi (come gli investitori) guarda qualche giorno oltre la mera sopravvivenza dell’oggi e, non vedendo alternative organizzate e credibili, trema di fronte a ipotesi di modifica dello status quo.
Paradossalmente, mantenendo l’incertezza sulle alleanze con cui si presenteranno alle prossime elezioni, e più in generale sugli obiettivi e le politiche auspicate nel medio periodo, sono proprio le forze che “responsabilmente” sostengono il governo Monti ad essere destabilizzanti per l’Italia e il suo rating.
1 Si veda ad esempio il recente contributo di Alessandro Roncaglia su www.monetaecredito.info