I prezzi delle case sono saliti del 15 percento in un anno. Una salita vertiginosa, anche se non estemporanea, che alimenta i timori di una nuova bolla immobiliare
Sono ormai mesi che a Londra si parla di una nuova bolla immobiliare, ed in effetti i dati lasciano pochi dubbi: mese su mese, l’aumento dei prezzi delle case è stato dell’1.1% a Londra, mentre quello annuale è di oltre il 15% (9.4% a livello nazionale), il tutto mentre i salari crescono circa dell’1% annuo. Una salita vertiginosa ma non certo estemporanea – ed anzi in linea con la storia degli ultimi trent’anni.
Tutto cominciò con la privatizzazione delle council house – le case popolari – avvenuta sotto il governo Thatcher e che pose le basi per un decisivo cambiamento della struttura sociale ed economica del paese: le case si trasformavano da bene di prima necessità in bene d’investimento, la società si commodificava, trasformando i cittadini in proprietari. Dal punto di vista politico fu un successo: vendendo, con un forte sconto, le case agli inquilini, il governo conservatore si assicurò i decisivi voti di parte della working class. Dal punto di vista prettamente economico, quella privatizzazione fu però un disastro: è vero che la vendita della case popolari portò 40 miliardi di sterline nelle casse dello Stato; si creò però, allo stesso tempo, una posizione di rendita, per i grandi immobiliaristi che, comprate le case dagli inquilini divenuti proprietari, le affittarono a prezzo rialzato. Ed a pagare il conto, salato, è proprio lo Stato che finanzia gli affitti delle ex-case popolari sotto forma di housing benefits per le fasce più disagiate della popolazione. Vendere basso, per poi ri-affittare alto, non proprio un modello di buona politica. Soprattutto, si posero le basi per una nuova struttura sociale ed economica: in contemporanea con le privatizzazioni, il governo impedì alle autorità locali di utilizzare i proventi delle vendite per rimpiazzare gli immobili venduti, diminuendo fortemente l’offerta – che il mercato privato non ha mai provveduto ad aumentare – e creando quindi le condizioni per un colossale aumento dei prezzi delle abitazioni, da cui appunto scaturì anche il rincaro degli affitti.
L’aumento vertiginoso dei prezzi non sarebbe però potuto accadere senza la spinta del credito, che facilitava l’indebitamento delle famiglie per comprare le abitazioni. La casa divenne la base dell’economia del debito, e finanza e costruzioni furono la vera spina dorsale del boom economico del New Labour, generando profitti costruiti su bolle: più si prestava, più il prezzo delle case aumentava, creando di conseguenza più domanda di denaro per mutui. Il risultato, oltre ad una consistente redistribuzione di ricchezza a favore dei possessori di case, fu quella che possiamo definire illusione monetaria: come nel caso dell’inflazione che può portare ad un aumento dei livelli nominali dei salari, si tratta di un effetto ottico della moneta che aumentando artificialmente la ricchezza grazie alla costante crescita dal valore immobiliare, finanzia livelli di consumo indipendenti dal reddito.
Nemmeno la crisi dei subprime– nata per altro in Inghilterra dove fu Northern Rock, uno dei principali fornitori di mutui, ad andare a gambe all’aria ancora prima di Lehman – riuscì a bloccare questa perenne rincorsa verso l’alto. Poco importa che, durante il picco della crisi, gli inglesi riducessero i loro acquisti di case; c’era, e c’è, un mondo intero disposto a rimpiazzarli. Prima arabi e russi, con tanto cash a disposizione. Poi, man mano, greci impazienti di trasferire all’estero i loro instabili euro, italiani e spagnoli impauriti dalla crisi e francesi attratti dalle favorevoli condizioni fiscali. E poi ancora, altri arabi in fuga dalle primavere che mettevano a rischio i loro conti in banca, turchi preoccupati dall’instabilità politica; e naturalmente frotte di cinesi, che comprano a scatola chiusa, pur di mettere in circolazione un po’ dei loro denari – specialmente se di provenienza dubbia.
Con i prezzi delle case in aumento nel pieno della recessione, il governo inglese decise di aumentare la posta con l’introduzione del famoso schema Help to Buy, grazie al quale anche coloro che intendono acquistare per la prima volta ma si ritrovano privi di un capitale sufficiente per accedere ai mutui, possono farlo grazie ad una garanzia governativa. Come dire, una nuova spinta verso i subprime, accesso al credito sempre più facilitato e senza nessun legame reale con il reddito. Un aiuto per chi non può permettersi la casa? In realtà è una spinta, a indebitarsi sopra le proprie possibilità; non a caso nel report sull’inflazione di Febbraio della Banca d’Inghilterra, il governatore Carney ha sottolineato che “le famiglie risparmiano meno e spendono di più e questo ha portato ad un rafforzamento del mercato immobiliare”. I veri beneficiari dello schema governativo sono i soliti noti: banche che possono mettere più denaro in circolazione (l’80% dei prestiti bancari, se si escludono quelli interni al settore finanziario, vanno in mutui per case o attività commerciali), grandi costruttori che dominano il mercato, possessori di case contro affittuari.
Insomma, la riproposizione pressoché identica di quelle ricette che hanno portato al collasso di qualche anno fa.