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Lo Stato inutile nel Dpb del governo Meloni

Non abbiamo ancora la legge di bilancio ma la direzione del governo con il Dpb è abbastanza chiara: via i progetti di riforma, fisco categoriale a vantaggio degli elettori del centrodestra e riduzione del perimetro dello Stato in economia. Investimenti consistenti alla voce “sicurezza” con contorni fumosi.

Premessa

Non abbiamo ancora la Legge di Bilancio in senso stretto, ma il quadro generale degli interventi che il governo intende adottare è abbastanza chiaro. Spariscono dall’orizzonte i grandi progetti relativi alla flat tax e/o la riforma delle pensioni, ma i provvedimenti delineati nel Documento Programmatico di Bilancio soddisfano gli interessi di chi li ha votati, prefigurando un fisco categoriale che fa a pugni con l’art. 53 della Costituzione: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Ma potrebbe andare anche peggio. Se l’impianto della manovra configura un fisco categoriale e particolare, l’anticipo al 2025 delle imposte dovute dal sistema assicurativo e bancario nel 2026 e 2027 sono un esempio illuminate e fantasioso, il taglio delle tasse per 22 mld di euro se comprendiamo anche i bonus fiscali, assieme la taglio delle spese di alcuni miliardi di euro dei ministeri, prefigurano una riduzione del perimetro pubblico nel sistema economico; affamano la bestia affiché nessuno possa più far affidamento sullo Stato.

Non tutto e non subito; alla sanità e al contratto pubblico del denaro viene anche stanziato, ma la riduzione delle tasse, pericolosamente reclamato da tutte le categorie sociali, inconsapevoli del danno storico che alimentano in quanto i “padroni” dell’economia diventano solo capitale e lavoro senza l’intermediazione della pubblica amministrazione, e delinea un orizzonte in cui finanza, capitale e lavoro diventano i regolatori del mercato. È un inedito che richiama una nuova idea di austerità espansiva: “Dato il suo alto debito, l’Italia si trova in una situazione quasi da “austerità espansiva”: manovre espansive ma non considerate credibili dai mercati rischiano di far aumentare la percezione di rischio del paese, dunque lo spread, e tramite questo, gli interessi pagati sia dal settore pubblico che da quello privato. Viceversa, manovre restrittive, come l’attuale, che però rafforzano la credibilità del paese, tramite gli effetti positivi sui tassi di interesse possono avere anche effetti espansivi. Il fatto che lo spread si stia riducendo mostra come i mercati (e le agenzie di rating) abbiano accolto con favore gli impegni assunti dal governo1. Non si parla più di riforme che fanno crescere il PIL potenziale, bruttissimo termine e sostanzialmente vuoto, ma di tagli necessari per trovare uno spazio finanziario determinato dal corso dei tassi e dello spread. 

Quadro macroeconomico

La DPB (Documento Programmatico di Bilancio), che deve essere inviata alla Commissione Europea, delinea la Manovra economica per il 2025. Le più importanti misure sono riportate come rapporto sul PIL nominale, ma è possibile ricostruire con una certa semplicità l’effettivo valore in milioni di euro. Una parte della manovra viene anticipa al 2024; si tratta di interventi minori, mentre la parte più consistente riguarda il 2025 e gli anni successivi. 

Il quadro programmatico delinea una crescita economica reale dell’1% nel 2024, dell’1,2% nel 2025 e dell’1,1% nel 2026. Difficile capire se si tratta di previsioni realistiche, ma l’UPB (Ufficio Parlamentare di Bilancio), ha comunque ritenuto credibili queste stime. Il PIL nominale, che incorpora l’inflazione ed è fondamentale per l’andamento del debito pubblico, segue lo stesso percorso: 2,9 nel 2024, 3,3 nel 2025 e 3,1% nel 2026. 

L’indebitamento netto (deficit pubblico) sembra proseguire il suo lento percorso di riduzione al di sotto della soglia del 3% indicato come benchmark nel nuovo Patto di Stabilità e Crescita europeo; passa dal 3,8% del PIL nel 2024, al 3,3% del 2025 e al 2,8% del 2026.

In generale i conti pubblici sembrano sotto controllo, sebbene sussistano delle incertezze legate alle caratteristiche tecniche della manovra economica legate alle minori entrate (quasi 18 mld di euro) sostanzialmente finanziate per quasi 10 mld da maggiore deficit.

La manovra lorda è di poco inferiore a 29 mld di euro, di cui 18 mld di euro relative a minori entrate fiscali (cuneo, Irpef e tax expenditure), pari a poco meno del 60% del totale della manovra, a cui potrebbero essere associate, teoricamente, anche le agevolazioni a famiglie e imprese che, assieme, valgono poco meno di 5 mld di euro. In altri termini, il 75% della manovra agisce sul “portafoglio” di imprese e famiglie, lasciando libere le stesse famiglie e imprese l’utilizzo del denaro disponibile nel mercato. La manovra, quindi, libera il mercato dalla presenza pubblica per un valore di quasi 22 mld di euro, mentre gli investimenti pubblici sono sostanzialmente attribuibili alle risorse del PNRR. In effetti, gli investimenti pubblici crescono di poco meno di 700 mln nel 2025, di 230 mln nel 2026. Solo a partire dal 2027 si osserva un aumento degli investimenti pubblici (2,5 mld nel 2027), in qualche modo legati alla fine temporale del PNRR. In aggiunta dobbiamo considerare anche i tagli ai ministeri, di cui 1 mld nel 2024, 2,5 mld nel 2025 e 813 mln nel 2026, a cui è giusto ricordare il taglio agli Enti Locali pari a 830 mln nel 2025, 1 mld nel 2026 e 450 mln nel 2027. In generale si registra un vero e proprio impoverimento dell’azione pubblica, riducendo i confini finanziari e sociali della Pubblica Amministrazione in rapporto al PIL. 

Guardando al quadro programmatico della DPB, abbiamo trasformato in valori correnti le percentuali sul PIL indicati nella DPB, troviamo anche degli stanziamenti per Sanità e contratti pubblici; alla sanità saranno assegnati 900 mln nel 2025, 3,5 mld nel 2026 e 190 mln nel 2026, mentre per gli aumenti contrattuali sono stanziati 744 mln nel 2025, 766 mln nel 2026 e 880 mln nel 2027. Certamente le risorse destinate a queste due voci sono in controtendenza rispetto alle politiche del governo, forse hanno inciso le tante denunce delle istituzioni internazionali e nazionali, ma rimangono ancora insufficienti per raggiungere i livelli dei paesi europei e, soprattutto, per recuperare l’inflazione cumulata negli ultimi tre anni. 

Più complicata è l’analisi della voce di spesa Sicurezza, emergenza e protezione civile. Infatti, la misura è illustrata nel seguente modo: rifinanziamento delle missioni di pace e delle operazioni Strade e Stazioni sicure, incremento del Fondo per le emergenze nazionali; istituzione di un Fondo per gli interventi di ricostruzione. Le risorse impegnate per il 2025 sono importanti, poco più di 2 mld di euro, che diventano 465 nel 2026; si tratta di un impegno finanziario superiore agli investimenti pubblici stanziati per il 2025 (700 mln). Non si tratta solo di un fondo che interessa le spese improrogabili, utilizzato proprio per le missioni di pace, ma di un fondo che abbraccia molte materie, forse anche troppe. Indiscutibilmente il paese avrebbe bisogno di una reingegnerizzazione di quasi tutte le infrastrutture, ma la dizione “fondo per la ricostruzione” forse nasconde qualcosa di più: il contributo italiano alla ricostruzione dell’Ucraina? 

Prime considerazioni

La manovra economica che si delinea con la DPB (Documento Programmatico di Bilancio) è centrata sulle minori entrate fiscali e sui crediti di imposta per un valore complessivo di quasi 22 mld di euro, un indebitamento netto pari a 9 mld di euro, alcuni tagli dei Ministeri ed Enti Locali, con alcune misure di “sollievo” rispetto a Sanità e contratti pubblici, comunque inferiori alla crescita dell’inflazione. Il dettaglio della Manovra sarà disponibile con la Legge di Bilancio vera e propria, ma il segno (contenuto) politico è chiarissimo: da un lato si riducono le tasse e i contributi previdenziali, più precisamente diventa strutturale la proroga a regime della riduzione da quattro a tre degli scaglioni di reddito e delle corrispondenti aliquote progressive di tassazione del reddito delle persone fisiche, da un altro lato sono confermati gli effetti delle misure di riduzione del carico fiscale a favore dei lavoratori dipendenti e, infine, si delinea un riordino delle tax expenditures, che terrà conto del numero dei familiari a carico nel computo delle detrazioni (quoziente familiare). Sostanzialmente il governo soddisfa le istanze dei propri elettori, utilizzando ancora un po’ di deficit e riducendo il perimetro dello Stato nel sistema economico via minori entrate fiscali e tagliando le spese dei Ministeri e degli Enti Locali. In qualche misura è possibile affermare che il governo è fedele alla sua linea programmatica e risponde a degli interessi specifici. 

Sebbene la maggior parte delle misure fiscali abbia un effetto nullo sulla crescita economica, le stime del governo sono estremamente contenute, crescita del PIL dello 0,1% a partire dal 2029, l’ideologia del meno tasse rimane l’alfa e l’omega di questo governo; una linea che purtroppo ha annoverato troppi discepoli anche in soggetti sociali insospettabili. 

Possiamo discutere e riflettere sui singoli provvedimenti, ma il segno politico è quello di accontentare alcune categorie di famiglie e imprese, e considerare lo Stato e le tasse un problema e non la soluzione. Certamente sarebbe possibile introdurre anche delle patrimoniali o riscrivere il sistema fiscale, ma senza uscire dalla logica che la politica economica è la politica fiscale, anche queste interessanti soluzioni non avrebbero la forza di riscrivere il senso e il ruolo dello Stato nei fenomeni economici.

NOTE:

1 Massimo Bordignon e Leonzio Rizzo, 2024, Una manovra ben poco strutturale, Lavoce.info, https://lavoce.info/archives/106137/una-manovra-ben-poco-strutturale/