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Le debolezze del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Grazie ai fondi Next Generation EU l’Italia potrà impiegare oltre 200 miliardi fino al 2026 per uscire dalla crisi e avviare una rotta di crescita sostenibile. Ma dalle linee strategiche del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza emergono incoerenze che rischiano di compromettere questa storica occasione.

La riflessione economica circa l’uso delle risorse finanziarie europee legate al NGEU (Next Generation EU) solleva molte discussioni e non sempre pertinenti con l’oggetto. Si tratta di risorse straordinarie, sebbene limitate nel tempo e probabilmente anche insufficienti, ma che concorrono comunque a delineare una occasione di crescita e sviluppo nella misura in cui queste risorse “rimuovono” i vincoli di struttura che il Paese ha maturato nel corso degli ultimi 30 anni. Se il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha un problema è proprio nella sua impostazione, e non nelle “missioni” che intercettano i settori emergenti di un potenziale nuovo paradigma tecno-economico[1]. Probabilmente, la latente (in)soddisfazione nelle considerazioni sul PNRR nazionale risiede proprio nella difficoltà di rappresentare il come e il che cosa deve cambiare nel Paese per avere un domani migliore rispetto a quello di oggi.

Il PNRR manifesta certamente un substrato del vecchio modello di governo della domanda, d’altra parte: 1) “finché un nuovo orizzonte politico e intellettuale, di principi, di governo della società, di creazione della ricchezza, di concezione dei rapporti sociali rimarrà inarticolato e non riuscirà a generare una mobilitazione di massa, l’imprinting farà riapparire le idee neo liberali come unica saggezza convenzionale che l’opinione pubblica ha più facilità a percepire e a cui finisce per aggrapparsi”[2]; 2) “l’esito finale della crisi non sarà la riproposizione corretta delle politiche rooseveltiane; aiuterebbero l’uscita dalla crisi, ma l’aumento della domanda interna in un mercato integrato non avrebbe lo stesso esito: nella migliore delle ipotesi si verificherebbe solo una frazione dell’effetto espansivo atteso tenendo conto dei valori riferiti al precedente regime di accumulazione, sempre che il sistema economico interessato sia sufficientemente solido”[3].

Unitamente ai vincoli ricordati, dobbiamo anche considerare gli intervalli temporali dell’azione pubblica[4]. Questa riflessione nasce da una sollecitazione di Federico Caffè, convinto assertore della necessità dell’intervento pubblico nell’economia per rimediare ai vari “fallimenti del mercato”[5], al fine di metterci in guardia rispetto ai possibili fallimenti dello Stato nei suoi tentativi correttivi. Infatti, dobbiamo considerare il ritardo che intercorre tra il momento in cui si percepisce l’esistenza di un problema e il momento in cui le misure predisposte, da una o più istituzioni pubbliche, sono in grado di produrre i risultati desiderati. Infatti, questi ritardi possono essere di tale lunghezza da produrre il disastroso risultato di arrivare in un momento sbagliato, al punto da rendere controproducenti le misure adottate.

L’orizzonte europeo

Per farsi una idea delle priorità europee è sempre opportuno indagare il bilancio pubblico comunitario. In qualche misura, l’allocazione delle risorse manifesta il quanto e il come la politica economica intende fare, al netto di una serie di misure e interventi che non sono direttamente legate al bilancio europeo (QFP 2021-2027). Si pensi alle politiche della BCE (Banca Centrale Europea) che ha rafforzato il così detto QE (Quantitative Easing)[6]. Al netto dell’entità delle risorse mobilitate dal bilancio europeo legate al QFP 2021-2027 (1.074,3 mld) e dal NGEU (750 mld), per un importo complessivo di 1.824,3 mld, pari a poco più dell’1,11% del Pil europeo, l’allocazione delle risorse sembra coerente con le grandi sfide di struttura che l’Europa nel suo insieme dovrebbe affrontare: 1) coesione, resilienza e valori; 2) risorse naturali e ambiente; 3) mercato unico, innovazione e agenda digitale.

Di seguito proponiamo una rappresentazione integrata del QFP e di NGEU per verificare il quanto e il come è allocato per obiettivi europei.

Tab. 1. Quadro finanziario pluriennale europeo e Next Generation EU

Come è facilmente intuibile dalla tabella 1 sopra, non solo l’ambiente e la digitalizzazione sono prevalenti, ma la voce Coesione, resilienza e valori intercetta il grosso dei fondi NGEU. Queste risorse sono finalizzate per più obiettivi, ma tutti sembrano abbastanza coerenti con i problemi innescati dalla pandemia e con le sfide di struttura che l’Europa tutta deve affrontare.

NGEU finanzierebbe, via prestiti e sovvenzioni, riforme e investimenti intrapresi dagli Stati membri. L’obiettivo principale è quello di attenuare l’impatto economico e sociale della pandemia e rendere le economie e le società dei paesi europei più sostenibili, resilienti e preparate alle sfide e alle opportunità della transizione ecologica e di quella digitale. In particolare, tale macro-obiettivo EU contempla: 1) ricerca e innovazione, portate avanti con il programma Orizzonte Europa; 2) transizioni climatiche e digitali eque, attraverso il Fondo per una transizione giusta e il programma Europa digitale; 3) la preparazione, la ripresa e la resilienza, attraverso il dispositivo per la ripresa e la resilienza, RescEU e un nuovo programma per la salute, EU4Health; 4) la politica di coesione e la politica agricola comune, per garantire la stabilità e la modernizzazione; 5) la protezione della biodiversità e la parità di genere.

Un punto rilevante legato a NGEU e al QFP 2021-2027 è relativo alle modalità di finanziamento. Per finanziare NGEU l’Unione Europea assumerà prestiti sui mercati finanziari a costi più favorevoli rispetto a molti Stati membri e ridistribuirà tali importi, mentre la retrocessione degli stessi saranno legati all’introduzione di proprie e autonome entrate fiscali. Se leggiamo con cura questa particolare e non banale informazione, possiamo intravvedere i prodomi di un’economia pubblica che da anni è stata sollecitata e invocata.

Sebbene via sia un manifesto fraintendimento circa il “dare e l’avere” di ogni Stato, troppi opinionisti sottovalutano questa novità, derubricandola a spiccioli, oppure a cosmesi. Senza scomodare i grandi maestri dell’economia pubblica, ricordo che le tasse e l’istituzione di un istituto statistico riconosciuto, ovviamente assieme alla moneta, sono l’alfa e l’omega dell’economia pubblica. In particolare, la Commissione Europea si è impegnata entro il 2021 a presentare alcune proposte relative a un meccanismo di adeguamento delle emissioni di CO2 alle frontiere, un prelievo sul digitale, un sistema di scambio delle quote di emissione dell’UE; mentre per il 2024 dovrebbe delineare nuove e autonome entrate attraverso un’imposta sulle transazioni finanziarie, un contributo finanziario collegato al settore societario, una nuova base imponibile comune per l’imposta sulle società.

Tab. 2. Ripartizione di Next Generation EU in mld di euro

Una avvertenza: i piani dovrebbero affrontare efficacemente le sfide individuate nel semestre europeo, in particolare le raccomandazioni specifiche per paese adottate dal Consiglio. I piani dovrebbero includere anche misure per affrontare le sfide e raccogliere i benefici delle transizioni verdi e digitali. Ciascun piano dovrebbe contribuire alle quattro dimensioni delineate nella strategia annuale per la crescita sostenibile 2021, che ha avviato il ciclo del semestre europeo di quest’anno. Queste sono: Sostenibilità ambientale, Produttività, Equità, Stabilità macroeconomica. Gli obiettivi della EU legati a NGEU sono rappresentati nella figura sottostante.

L’approccio nazionale a NGEU

Le linee strategiche delineate dal Governo per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Next Generation Italia ha 4 grandi aree di intervento: modernizzazione del Paese, transizione ecologica, inclusione sociale e territoriale, parità di genere. Esse sono comprensive di 6 missioni: 1) digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; 2) rivoluzione verde e transizione ecologica; 3) infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4) istruzione e ricerca; 5) parità di genere, coesione sociale e territoriale; 6) salute. In termini di risorse le priorità sono in questo modo identificate:

  • 74,3 mld su rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • 48,7 mld su digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura;
  • 27,7 mld su infrastrutture per la mobilità sostenibile;
  • 19,2 su istruzione e ricerca;
  • 17,1 mld su parità di genere, coesione sociale e territoriale;
  • 9 mld su salute.

Il quadro complessivo degli impegni nazionali rispetto al QFP e NGEU possiamo ricostruirlo attraverso la bozza del PNRR del governo. Tra il 2021 e il 2026 l’Italia dovrebbe utilizzare circa 208 mld, mentre il dispositivo di Ripresa e Resilienza, pari a 193 mld, è composto da 65 mld di sovvenzioni e 127 mld di prestiti che, inevitabilmente, andranno a incrementare il debito, ma non è detto anche il rapporto debito/Pil, in ragione dell’output (moltiplicatore) atteso da questi investimenti.

Dato a Cesare quel che è di Cesare, il PNRR nazionale mostra limiti proprio negli obiettivi. Sebbene le misure siano più o meno coincidenti con quelle europee, e pur partendo da alcune evidenze indiscutibili come quella relativa alla “all’insoddisfacente crescita italiana dovuta non solo a fattori strutturali, quali la ridotta dimensione media delle imprese e l’insufficiente competitività del sistema-Paese, o macro finanziari, quali l’elevato debito pubblico, ma anche ad una incompleta transizione verso un’economia basata sulla conoscenza”[7], l’articolazione del piano non affronta proprio la principale questione sollevata e, per alcuni versi, introduce temi e oggetti un po’ avulsi dal piano europeo.

Da un lato i finanziamenti europei potrebbero finanziare progetti già in essere e tra le altre cose per spese correnti (PNRR, p. 15) – si comprenderà su questo l’imbarazzo di alcuni interlocutori europei –, a cui si dovrebbe aggiungere la proposta governativa di destinare “una quota rilevante dei fondi ReactEU per finanziare la fiscalità di vantaggio al Sud (PNRR, p. 17). Inoltre, nel PNRR sono illustrate le misure del governo veicolate nella Legge di Bilancio, ma la leva prevalente è quella fiscale, cioè incentivi e agevolazioni fiscali. Certamente i consumi incomprimibili delle famiglie necessitano di sostegni finanziari importanti anche per adeguarsi ai livelli europei per i vincoli ambientali e il gap legato alla digitalizzazione, ma lasciare all’attuale struttura economica la valorizzazione di NGEU è più che un azzardo.

Le questioni non discusse e/o trattate

L’incoerenza metodologica del PNRR lascia un senso di incertezza: da un lato abbiamo la percezione che NGEU sia una occasione storica, dall’altro lato le misure del governo, almeno per le missioni coincidenti con quelle europee, ci sembrano deboli. Il nostro paese è cresciuto, ma non è bastato. Siamo rimasti più piccoli e la convergenza fra i dati di valore aggiunto e produzione ci racconta di un processo produttivo più simile a un processo inerziale, la cui vitalità è stata primariamente dettata dal sostenimento di costi insopprimibili. In questo spaccato, per ritornare al tema delle “narrazioni”, appare difficile collocare come chiave di competitività l’argomento della riduzione del “cuneo fiscale”. E, d’altra parte, è per certi versi un “miracolo” essere riusciti a crescere, nonostante l’occupazione sia rimasta pressoché invariata dal 2002 e gli investimenti fissi siano caduti del 7,98%. Un miracolo che la spesa in R&S sia cresciuta del 32% e i salari del 19,75%. Ma nel mentre, i paesi di confronto (Germania, Francia e Spagna) aumentavano l’occupazione del 5,24%, gli investimenti del 20,33%, la spesa in R&S del 56,69% e i salari del 32,40%.

Ciò che sarebbe utile è una osservazione del tessuto economico nazionale comparato ai principali paesi di riferimento (Francia, Germania e Spagna) per valore aggiunto, produzione, investimenti, intensità tecnologica e all’innovazione tecnologica, salario, offrendo una cartina (griglia) delle criticità e/o forza del sistema economico nazionale che il PNRR dovrebbe aggredire. Riprendendo uno studio apparso su Moneta e Credito[8] possiamo osservare come nel tempo i vincoli di struttura siano aumentati.

Alcuni settori offrono delle performance più o meno coerenti, ma la dinamica di struttura rilevabile dall’intensità tecnologica e dagli investimenti racconta di un Paese in difficoltà. Se le misure del PNRR sono sensate, quello che manca è l’approccio sistemico. L’Istat, nel Dossier del 2 settembre 2020 “Elementi conoscitivi a supporto di politiche rivolte a settori e imprese” (p. 3), osserva che “l’efficacia con cui uno stimolo rivolto ad un determinato settore attiva un’espansione del sistema economico dipende infatti, oltre che dalla rilevanza e capacità di reazione del settore stesso, anche dalla possibilità di trasmettere tale stimolo al resto del sistema produttivo”. Questa riflessione porta in campo esplicitamente un tema che non è stato approfondito, ovvero la frammentazione caratteristica del tessuto economico nazionale.

In questa frammentazione è insito il rischio di una maggiore “lentezza nella diffusione degli stimoli settoriali all’interno del sistema produttivo, sia in termini di scambi economici di beni intermedi e di investimento, sia, in termini più generali, di trasmissione di tecnologia, innovazione e competitività” (ibidem). Inoltre, i cosiddetti “arcipelaghi” sono per lo più posizionati in attività a basso valore aggiunto (ivi, pp. 4-5).[9]

Conclusioni

La storia economica non si presenta mai allo stesso modo, ma le domande alle quali la politica e gli economisti devono rispondere sono sempre le stesse. Sono le risposte della politica che segnano un cambiamento di schema. Altrettanto paradigmatica è la portata della trasformazione potenziale insita nel piano europeo. Per essere all’altezza del cambiamento occorrono nuovi comportamenti degli imprenditori, nuove azioni di politica economica, nuove strategie. Tutto ciò passa attraverso la costruzione di una nuova consapevolezza: una sfida sul piano delle idee che attende anche gli economisti del nostro tempo.

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Note

[1] Tali missioni, come si vedrà meglio più avanti, sono: 1) digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; 2) rivoluzione verde e transizione ecologica; 3) infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4) istruzione e ricerca; 5) parità di genere, coesione sociale e territoriale; 6) salute.

[2] Salvatore Biasco (2016), Regole, Stato, Uguaglianza, LUISS University Press, pp. 240-241.

[3] Roberto Romano e Stefano Lucarelli (2017), Squilibrio, Ediesse, p. 171.

[4] Mario Tiberi (2020), “La lezione del Recovery Fund: semplificare i processi decisionali”, 17 dicembre 2020, https://www.pagina21.eu/la-lezione-del-recovery-fund-semplificare-i-processi-decisionali/mario-tiberi/

[5] Mancanza di concorrenza, esternalità, diseguaglianze, asimmetrie informative, esistenza di beni pubblici.

[6] Solo il programma di acquisto di emergenza pandemico (PEPP) ha triplicato la sua gittata in appena 9 mesi: era partito con 600 mld in marzo, a giugno sono stati stanziati ulteriori 700 mld e nel mese di dicembre il Consiglio direttivo della BCE ha aumentato la dotazione di ulteriori 500 mld, per un totale di 1.850 mld, con operazioni garantite fino al marzo del 2022 e con reinvestimenti fino a fine 2023 del capitale in scadenza dei titoli acquistati.

[7] Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (bozza), 2020, p. 11.

[8] Anna Maria Variato, Paolo Maranzano e Roberto Romano (2020), “Rotta Next Generation: tra narrazioni ed evidenza empirica, le sfide del possibile orizzonte della politica economica italiana”, in Moneta e Credito, vol. 73, n. 291 (settembre 2020).

[9] Si tratta: 1) dell’industria tradizionale (agroalimentare, tessile, abbigliamenti, etc.); 2) dell’industria pesante (metallurgia, macchinari, autoveicoli, etc.); 3) del trasporto e della logistica (trasporto terrestre e marittimo, magazzinaggio, etc.); 4) del market (ICT, servizi finanziari, servizi professionali e alle imprese, etc.); 5) dei servizi alla persona (sanità, istruzione e amministrazione pubblica, etc.).