Oggi la finanza privata crea oltre il 90 per cento della moneta circolante. Un gigantesco buco al cuore delle nostre economie di mercato
“Tutto quello che avete imparato sulla moneta dai libri di testo di economia è sbagliato”. Parola della Banca Centrale d’Inghilterra (1) che rimette in discussione le teorie classiche riconoscendo che, all’opposto di quanto solitamente considerato, non sono le banche centrali ma quelle commerciali a creare moneta ogni volta che concedono un prestito e a determinare la quantità di moneta circolante. In pratica i prestiti concessi dalle banche non sono legati alla massa di depositi a disposizione, ma è il contrario. Quando una banca concede un prestito non preleva la somma dai conti dei correntisti ma “crea” del denaro. Tale denaro scompare successivamente dal sistema con il ripagamento del prestito (come avviene con il pagamento delle rate di un mutuo). Alla fine ci sarà un saldo pari agli interessi pagati.
Con il diffondersi delle cartolarizzazioni tale quantità di denaro creata può crescere a dismisura. Semplificando, una cartolarizzazione permette di trasformare un credito in un titolo finanziario da rivendere sui mercati. In pratica la banca concede un mutuo, ma non aspetta mese dopo mese il rimborso delle rate. Costruisce invece un’obbligazione che dipende dal pagamento di queste rate. I vantaggi per la banca sono diversi: da un lato si disfa del rischio che il mutuatario smetta di pagare (sono ora gli acquirenti delle obbligazioni a farsi carico di tale rischio), dall’altro toglie dai propri bilanci il mutuo, e rientra immediatamente dei capitali corrispondenti, potendoli utilizzare per un nuovo prestito, e quindi per nuova creazione di moneta.
Chiaramente le banche centrali continuano a mantenere un ruolo di primo piano, e la quantità di denaro creata dipende dalle politiche monetarie, sia fissando i tassi di interesse (il cosiddetto “costo del denaro”) sia tramite operazioni di quantative easing (ovvero l’emissione di moneta da parte di una banca centrale per acquistare titoli). Di fatto, però, oggi oltre il 90% della moneta circolante viene creato dalla finanza privata, non da quella pubblica.
Il “Chicago Plan”
Partendo da tali considerazioni già negli anni ’30 dello scorso secolo alcuni economisti pubblicarono un “Programma per la riforma monetaria” e un memorandum successivamente conosciuto come “Chicago Plan” che proponeva tra le altre cose di abolire la riserva frazionaria e di obbligare le banche ad avere il 100% di riserve sui depositi. Di fatto, obbligare le banche ad avere 100 di depositi per potere prestare 100 equivaleva a rimettere in questione la possibilità che le banche private possano creare denaro, restituendo tale prerogativa delle banche centrali.
Alla luce dei disastri degli ultimi anni e dell’evidente ipertrofia della finanza, proposte analoghe sono ora tornate prepotentemente in primo piano. Sono quelle portate avanti dal movimento Positive Money (2), e addirittura recentemente riprese dal FMI.(3) È però ancora più clamoroso che le stesse idee siano state rilanciate nei giorni scorsi dal Financial Times, in un articolo intitolato “togliete alle banche private il loro potere di creare moneta” a firma di Martin Wolf, uno dei suoi giornalisti più importanti. (4)
Già dall’attacco la posizione è chiara: “stampare banconote false è illegale, ma creare moneta privata no. L’interdipendenza tra lo Stato e il privato che rende ciò possibile è la fonte di gran parte dell’attuale instabilità delle nostre economie. Potrebbe – e dovrebbe – essere terminata”. Secondo Wolf addirittura il 97% della moneta viene oggi creata dalla finanza privata. La soluzione più forte sarebbe come accennato quella di obbligare le banche ad avere il 100% di riserve sui depositi. Già gli estensori dell’originale “Chicago Plan” degli anni ’30 segnalavano come questo avrebbe enormemente ridotto i problemi associati ai cicli economici, le crisi bancarie e il debito pubblico.
Danno o vantaggio per l’economia?
Se sono diversi i vantaggi che potrebbero derivare da un tale cambiamento, la critica che viene più spesso ripetuta riguarda i presunti impatti sull’economia a seguito di un crollo nell’erogazione di credito. Se le banche private per concedere un prestito devono interamente dipendere dalla moneta messa in circolazione dalle banche centrali e dai depositi dei correntisti, non si rischia un drastico taglio, se non una vera e propria paralisi, nel finanziamento alle imprese e ai cittadini?
In realtà la mancanza di credito per le imprese e l’economia esiste ed è drammatica anche con l’attuale sistema, che si dimostra del tutto incapace di operare nell’interesse generale. Da un lato abbiamo una sterminata massa di denaro alla continua ed esasperata ricerca del massimo profitto nel minore tempo possibile, dall’altra parte moltissime imprese e attività sono escluse dai servizi finanziari. Il problema nell’erogazione del credito non è quindi quanta moneta venga creata e da chi, ma più propriamente come assicurarsi che il denaro messo in circolo finisca alla “economia reale”.
Tale evidenza sembra rafforzare la considerazione che creazione di moneta ed erogazione di credito sono due cose separate. La prima non ha ricadute positive sulla seconda, mentre la crescita a dismisura della moneta circolante esaspera instabilità e crisi, e sottrae strumenti di politica monetaria e finanziaria a Stati e banche centrali.
Riguardo l’accesso al credito, la questione è quindi come riportare la finanza a essere uno strumento al servizio dell’economia e delle persone, e non un fine in sé stesso per fare soldi dai soldi e come incanalare il denaro verso i bisogni dell’economia e non verso finalità speculative. In questa direzione sono diverse le proposte sul tavolo, sia per tenere distinte le diverse attività, come avverrebbe con la separazione tra banche commerciali e banche di investimento, sia disincentivando e rendendo meno convenienti le operazioni speculative, per indirizzare il denaro verso l’intermediazione creditizia e l’economia produttiva (vanno in questa direzione una tassa sulle transazioni finanziarie, dei limiti sui derivati, la chiusura del sistema bancario ombra e altre proposte analoghe).
Quali politiche monetarie
Un problema del tutto simile si pone anche per le banche centrali e l’efficacia delle attuali politiche monetarie, posta l’ipertrofia e l’instabilità intrinseca di una finanza che assorbe sempre più capitali. Come fare si che la liquidità arrivi all’economia e non rimanga “incastrata” in una finanza autoreferenziale? Per riprendere le parole con cui Keynes illustrava la trappola della liquidità, “puoi portare un cavallo al fiume ma non puoi obbligarlo a bere”. Dal 2008 le banche centrali hanno inondato di liquidità i mercati nel tentativo prima di salvare il sistema finanziario dalla crisi che aveva provocato, e poi di fare ripartire l’economia. Il primo obiettivo è stato raggiunto, il secondo molto meno. Basta vedere la situazione in Italia, dove le banche hanno ottenuto 250 miliardi all’1% tramite il LTRO della BCE (5) ma prosegue il credit crunch.
In altre parole, le attuali politiche monetarie delle banche centrali sembrano inefficaci per fare ripartire il credito e l’economia, e addirittura all’opposto rischiano di porre le basi per un’ulteriore espansione della sfera finanziaria, fino all’inevitabile formazione di bolle.
Per superare il problema sono stati fatti diversi tentativi di “fare bere il cavallo”. La Banca d’Inghilterra ha vincolato alcuni prestiti a tassi bassissimi alle banche all’erogazione di crediti, altre banche centrali hanno imboccato percorsi diversi, in particolare accettando in garanzia titoli frutto di cartolarizzazioni per fornire liquidità al sistema bancario, sperando così di incentivare quest’ultimo ad aumentare i crediti erogati. (6)
Una sorta di quantitative easing in cui la banca centrale emette liquidità non per comprare titoli di Stato, ma obbligazioni frutto di operazioni di cartolarizzazione (in gergo Asset Backed Securities o ABS). È in questa direzione, o in quella di un nuovo LTRO per le banche, che sembrerebbe oggi volersi muovere la BCE di fronte a una Europa sull’orlo della deflazione.(7) Il rischio evidente è quello di aumentare ulteriormente la massa di denaro in circolazione, e di replicare e amplificare gli attuali problemi e instabilità finanziaria, senza che il denaro immesso vada dove serve.
Oltre alla creazione di moneta, quindi, è centrale anche esaminare i meccanismi con cui la stessa moneta creata viene poi immessa nel sistema economico. Oggi è evidentemente fallimentare l’idea dello “sgocciolamento” o trickle down, per cui i soldi immessi nel sistema bancario o finanziario finiranno poi a imprese e cittadini. In questo senso – dati per assodati i disastri provocati dalle politiche di austerità – appare decisamente pericolosa l’idea che sembra oggi circolare in Europa di un intervento espansivo della BCE tramite un quantitative easing inteso come strumento meramente monetario. In direzione opposta sarebbe necessario mettere in campo tali operazioni come strumenti fiscali. Non aumentare tout court la massa di moneta circolante, ma permettere agli Stati di operare in deficit per un rilancio degli investimenti e dell’occupazione, nella direzione di una riconversione ecologica dell’economia.(8)
Cambiare strada
Da qui bisogna ripartire per un cambiamento di rotta radicale, nel senso etimologico del termine: rimettendo in questione le stesse radici su cui poggia l’attuale sistema monetario e finanziario, a partire dalla considerazione che le banche e il sistema finanziario privato controllano la fornitura di due beni essenziali ma molto diversi. Da un lato la funzione di creazione di moneta, dall’altro quella di intermediazione finanziaria. Le banche sono nate per raccogliere denaro ed erogarlo, facendosi carico di gestire tempi e rischi. Solo successivamente a questa funzione si è affiancata quella di creare moneta “dal nulla”. Non ci sono motivi per cui le due funzioni debbano coesistere e non debbano essere tenute ben separate, lasciando in particolare la creazione di moneta unicamente al pubblico.
Oggi è lo stesso Financial Times a ricordarci che l’attuale situazione in cui la finanza privata crea oltre il 90% della moneta circolante è niente di meno che “un gigantesco buco al cuore delle nostre economie di mercato. Potrebbe essere chiuso separando l’offerta di denaro, una funzione propriamente dello Stato, dall’offerta finanziaria, una funzione del settore privato”.
In altri termini, uno dei problemi centrali, se non il principale, è un eccesso di denaro nel sistema finanziario e una sua carenza in quello economico. La crisi non è dovuta al fatto che non ci sono soldi, ma che ce ne sono troppi. Solo che sono (quasi) tutti dalla parte sbagliata. Una finanza che non solo non è in grado di svolgere il proprio compito di strumento al servizio delle attività economiche, ma che all’opposto è diventata un insostenibile fardello che condiziona le vite di tutti noi.
Argomenti che andrebbero esaminati anche alla luce delle tesi riportate nel libro probabilmente più discusso nelle ultime settimane, ovvero “Capital in the Twenty-First Century” di Thomas Piketty, secondo il quale il capitale, e il denaro che produce, si accumulano più velocemente della crescita dell’economia. Un andamento che è diventato ancora più predominante dagli anni ’80 del secolo scorso in poi. La tendenza dell’attuale modello è quindi un accumulo sempre maggiore delle ricchezze in sempre meno mani e una crescita delle disuguaglianze, a un ritmo sempre più veloce. Secondo l’autore per invertire la rotta è necessaria “una tassazione progressiva e globale, fondata sulla tassazione della proprietà privata. È l’unica soluzione civile. Le altre soluzioni, credo, sono molto più barbare – con questo intendo l’istituzione di un sistema oligarchico quale quello russo, nel quale non credo, o l’inflazione, che in realtà è unicamente una tassa sui poveri”.(9)
Queste considerazioni dovrebbero essere alla base dell’attuale dibattito: chi crea moneta, come questa viene immessa nel sistema, quanto rimane in circuiti meramente finanziari rispetto a quella a disposizione delle imprese e dei cittadini, quali sono gli impatti sulle nostre vite e sulla distribuzione della ricchezza. Non è detto che le proposte di tassazione avanzate da Piketty siano praticabili, cosi come non è detto che quelle monetarie sostenute da movimenti come Positive Money e riprese dal Financial Times siano le uniche, ne le migliori possibili. La domanda è però se per cambiare rotta rispetto ad un sistema monetario e finanziario inefficace quanto inefficiente sia davvero necessario aspettare nuove bolle e nuove inevitabili crisi.
(2)Positive Money: http://www.positivemoney.org
(3)“The Chicago Plan Revisited”, J. Benes e M. Kumhof, IMF Working Paper, WP/12/202 – https://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2012/wp12202.pdf
(4)“Strip private banks of their power to create money”, Martin Wolf, Financial Times, 24 aprile 2014.
(5)LTRO o Long Term Refinancing Operation è un prestito triennale all’1% di oltre 1.000 miliardi di euro erogato dalla BCE alle banche europee tra fine 2011 e inizio 2012.
(6)Leonardo Becchetti, “Il primato della semplicità: keynesiani “pane e salame” e keynesiani sofisticati”, repubblica.it, 7 maggio 2013. http://felicita-sostenibile.blogautore.repubblica.it/2013/05/07/il-primato-della-semplicita-keynesiani-“pane-e-salame”-e-keynesiani-sofisticati/
(7)“vi è poi un’ulteriore disfunzione nella trasmissione dell’orientamento di politica monetaria, in particolare attraverso il canale del credito bancario, alla quale si potrebbe adeguatamente rispondere con un’operazione di rifinanziamento a più lungo termine (Ltro) mirata, oppure attraverso un programma di acquisti di attività cartolarizzate (asset-backed securities, Abs)”. Dichiarazione di Mario Draghi riportata da Repubblica – Economia e Finanza il 24 aprile 2014.
(8)Sui diversi modi di intendere il quantitavie easing, vedi Thomas Fazi, “Perché il quantative easing non è la soluzione”, Sbilanciamoci.info, 8 aprile 2014. http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/Perche-il-quantitative-easing-non-e-la-soluzione-23701
(9)Dic iarazione tratta dall’intervista riportata in “Occupy was right: capitalism has failed the world”, Andrew Hussey, The Observer, 13 aprile 2014.