Il PIL non è più sufficiente a misurare il benessere di un Paese. Servono strumenti nuovi: dall’impronta ecologica all’indice di felicità, dall’ecosistema urbano alla qualità regionale dello sviluppo di Sbilanciamoci! Ma il BES rischia di diventare un gadget delle politiche di bilancio, uno strumento di marketing con il quale avvalorare una retorica di governo della […]
Il 7 marzo scorso il governo ha promosso una iniziativa sugli indicatori del BES (Benessere equo e sostenibile). Dal 2016 – con la riforma della legge di bilancio – il governo è obbligato a presentare entro il 15 febbraio di ogni anno una relazione sull’effetto delle misure contenute nella legge di bilancio sugli indicatori individuati: reddito, lavoro, diseguaglianze, emissioni di CO2, ecc. Una riforma e una iniziativa meritorie: il PIL non è più sufficiente a misurare (se mai lo misura) il benessere di un Paese. Servono strumenti nuovi.
È una iniziativa che arriva dopo decenni di mobilitazione e di progetti della società civile, delle campagne, delle associazioni: dall’impronta ecologica all’indice di felicità, dall’ecosistema urbano alla qualità regionale dello sviluppo (QUARS) di Sbilanciamoci! Tutto bene? Non proprio. Sette cose non vanno.
- Per come si stanno mettendo le cose, il BES rischia di diventare un gadget delle politiche di bilancio, uno strumento di marketing con il quale avvalorare una retorica di governo della quale possiamo volentieri fare a meno.
- La valutazione sugli effetti delle politiche sugli indicatori non è indipendente. La fa il MEF (Ministero di Economia e Finanza): il governo che valuta se stesso. Così nell’ultima relazione sugli indicatori il MEF afferma che le diseguaglianze si ridurranno anche grazie alla flat tax… Così si scredita un lavoro importante. Servirebbe un’autorità indipendente, ad esempio l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), incaricata di valutare gli effetti delle politiche.
- Gli indicatori sono eterogenei e, nell’analisi del governo, hanno tutti lo stesso valore. Ma nella realtà l’indice di obesità ha veramente lo stesso valore dell’indicatore sulla diseguaglianza? Quello della criminalità predatoria ha lo stesso peso del lavoro? E come dimostrare che le politiche della legge di bilancio fanno diminuire il numero di obesi o il tasso di criminalità? Un pasticcio.
- Gli indicatori di benessere così come formulati dal governo non ci raccontano le differenze di un paese. L’indicatore di diseguaglianza o quello della mancata partecipazione al lavoro significano la stessa cosa a Reggio Emilia o a Reggio Calabria? Dalla relazione del governo sugli indicatori non si capisce. Sembra che il Nord e il Sud non esistano.
- Gli indicatori valutati in ordine sparso non ci danno il senso di marcia di dove va il Paese. Servirebbe una misura di sintesi: una sorta di PIL aggiustatto e depurato, includendo altri dati: ad esempio quelli del lavoro e delle diseguaglianze. In questi anni c’è stato un lavoro di ricerca e di proposta in questa direzione. Pensiamo ad iniziative come l’ ISEW (Index of Sustainable Economic Welfare), il GPI (Fenuine Progress Indicator e il SWI (Sustainable Welfare Index)
- La legge 163 del 2016, prevedeva anche il Bilancio di genere, cioè una valutazione delle politiche di bilancio e della spesa pubblica: cioè una valutazione delle impatto delle misure economiche sugli uomini e sulle donne. Che fine ha fatto? Una sperimentazione molto modesta che è anche difficile recuperare tra i link delle pagine nascoste del MEF.
- La società civile? Esclusa, non coinvolta, senza una funzione. Il suo ruolo non valorizzato, diremmo inesistente. È un film già visto: la riduzione fino alla cancellazione dei corpi intermedi e del loro ruolo dentro una democrazia partecipata. Eppure sarebbe fondamentale per gli indicatori di benessere. Che fine ha fatto la sussidiarietà di cui si parla all’articolo 118 della Costituzione?
Nonostante tutti questi limiti e contraddizioni, bisogna ancora puntare sul BES e sull’utilizzo degli indicatori di benessere. Sono fondamentali per orientare in modo diverso le politiche pubbliche. Bisogna investire un’autorità indipendente della valutazione, è ncessario rivedere e riorganizzare il set degli indicatori e soprattutto cambiare il paradigma delle politiche fin qui seguite. Solo in questo modo gli indicatori di benessere potranno essere efficaci e cambiare le politiche che abbiamo conosciuto in questi anni e che si sono dimostrate fallimentari.