Per uscire dalla spirale della crisi, non serve congelare il debito o fare default, ma costruire rapidamente l’unione fiscale e politica europea. In Italia, occorre puntare su ricerca, formazione, educazione
Circolano sotto varie forme proposte di congelamento del debito, una di queste è anche apparsa in questo sito. Condivido le perplessità sulla proposta contenute nell’articolo di Vincenzo Comito. Vorrei aggiungere che il problema della speculazione sui titoli del debito pubblico è legato non tanto alla dimensione del debito ma a diverse variabili e fra queste un’importanza fondamentale è costituita dai debiti verso l’estero, pubblici e privati.
L’Italia è stato uno dei paesi che meno ha accresciuto il debito pubblico nel corso dell’attuale recessione e ha mantenuto quasi costantemente un avanzo primario, ma questo non ha impedito l’aumento dello spread rispetto ai titoli tedeschi. Secondo le previsioni il debito pubblico spagnolo raggiungerà l’80% del Pil nel 2012, all’incirca come quello tedesco. Eppure la Spagna sta subendo forti attacchi speculativi. D’altra parte la Germania presenta un debito pubblico elevato e in rapida crescita, in valore assoluto uno fra i più alti del mondo, senza essere investita dalla speculazione. Lo stesso dicasi del Giappone il cui debito pubblico supera il 200% del Pil. Ma Germania e Giappone presentano consistenti attivi commerciali. Per inciso, in Giappone la situazione sta cambiando, si è registrato in tempi recenti un disavanzo commerciale e sarà interessante vedere come si evolve la situazione dei tassi di interesse, se tale deficit persiste. I casi della Spagna, della Germania e del Giappone evidenziano in ogni caso che il problema di fondo non è il debito pubblico bensì il disavanzo delle partite correnti.
La bilancia delle partite correnti rappresenta il principale indicatore di forza di un paese nei rapporti con l’estero, perché è un indicatore della sua competitività. Un avanzo di parte corrente della bilancia dei pagamenti costituisce una garanzia di solvibilità del paese. In altri termini, il paese in avanzo è un paese che vive al di sotto dei suoi mezzi, delle sue capacità produttive. Viceversa un paese in disavanzo è un paese che vive al di sopra dei suoi mezzi e ha bisogno di flussi finanziari dall’estero per pagare l’eccedenza delle importazioni sulle esportazioni.
Solo nel breve periodo lo squilibrio commerciale può essere compensato da flussi finanziari (caso a parte sono gli Stati Uniti che possono mantenere un disavanzo permanente delle partite correnti, dato che il dollaro è moneta di riserva). Nei paesi con sovranità monetaria, ovvero tutti i paesi esclusi quelli dell’Unione Monetaria, un disavanzo commerciale segnala la probabilità di una svalutazione e per questo esso porta a un aumento dei tassi di interesse. Il disavanzo commerciale all’interno dell’Unione Monetaria segnala la difficoltà competitiva del paese e, in una fase di turbolenza come quella attuale, l’eventualità, se il disavanzo persiste, di un’uscita dall’euro. Questo spiega lo spread dei tassi di interesse fra paesi con disavanzi commerciali e la Germania. La speculazione non è sempre irrazionale o isterica, come spesso è stata definita, ma generalmente si indirizza verso i paesi in difficoltà, aumentandone la vulnerabilità. I paesi più vulnerabili sono dunque quelli che utilizzano beni e servizi in quantità superiore alla produzione interna e quindi hanno bisogno di flussi finanziari esteri per il loro finanziamento.
Se in Europa ci fosse una politica fiscale comune, il disavanzo delle partite correnti non costituirebbe un problema, il disavanzo delle economie più deboli sarebbe compensato dall’avanzo di paesi in surplus, un po’ come succede per regioni che sono all’interno dello stesso paese. L’unica via ragionevole per evitare continui squilibri che potrebbero sfociare nella dissoluzione dell’euro è dunque quella della costruzione in tempi rapidi dell’unione fiscale e politica. Nel breve periodo la situazione potrebbe essere tamponata con gli eurobond e/o con la possibilità per la Bce di essere, come tutte le banche centrali del mondo, prestatore di ultima istanza.
In mancanza di una via di uscita europea è illusorio pensare che la soluzione del problema risieda in operazioni di default, congelamento del debito pubblico, haircut, o quant’altro, perché il problema di fondo non è il debito. A maggior ragione in Italia il problema non è il debito pubblico perché a un elevato debito pubblico fa da contrappeso un debito privato relativamente ridotto.
Esiste comunque un altro fattore rilevante di cui è necessario tenere conto e cioè il rapporto tra interessi sul debito pubblico e tasso di crescita del Pil. Questo fattore rimanda dunque ai problemi relativi alla crescita. L’assenza di crescita in Italia rende sempre più pesante l’onere del debito pubblico fino a prospettare il rischio di insolvenza.
Eppure il congelamento rimane una via di uscita non auspicabile. Si potrebbe affermare che il congelamento libererebbe risorse destinate ora al servizio del debito e che tali risorse potrebbero essere impiegate per il rilancio della competitività. Ma le politiche per la crescita e la competitività richiedono tempo e nel breve periodo il paese dovrebbe affrontare non solo i problemi di cui parla Comito nel suo articolo, ma anche il problema del finanziamento del disavanzo delle partite correnti.
L’impossibilità di trovare risorse finanziarie sui mercati dei capitali (chi mai sarebbe disponibile a concedere prestiti a un paese insolvente, se non a tassi elevatissimi?) costringerebbe il paese a dipendere dai finanziamenti del Fondo monetario e di altri enti sovranazionali e tali finanziamenti sono subordinati alla messa in atto delle note politiche recessive imposte da tali organizzazioni, che finirebbero col consumare le risorse rese disponibili dal congelamento. In tale contesto il tentativo di riportare in pareggio le partite correnti diventa un’operazione molto dolorosa: significa una stretta ulteriore alla domanda, un impoverimento delle famiglie, fallimenti delle imprese, taglio ai servizi pubblici, una recessione dagli effetti incalcolabili. Peraltro, come noto, tali politiche risultano quasi sempre fallimentari e aprono la strada a un nuovo massiccio indebitamento.
Siamo dunque in un vicolo cieco? Certamente la strada maestra passa per l’Europa – e il risultato delle elezioni francesi apre qualche speranza –, ma non si può essere ottimisti se l’Europa continua con le politiche miopi seguite fino ad ora. Però l’Italia può comunque portare avanti politiche di rilancio della competitività, puntando su ricerca, educazione, formazione, supporto alle imprese, riduzione dei gravami burocratici, ripristino della legalità. Nel frattempo è necessario reperire risorse attraverso un’imposta patrimoniale, aumento della progressività nell’imposizione fiscale e una seria lotta all’evasione, che non si limiti a controllare ricevute fiscali e falsi invalidi. Le risorse così ottenute devono essere finalizzate al recupero della crescita e della produttività con l’obbiettivo di una maggiore equità, ma anche di un pareggio delle partite correnti. E’ una strada ardua ma percorribile. Purtroppo le soluzioni apparentemente facili possono essere estremamente dolorose e finanche controproducenti.