Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Recovery Plan, arriva nella notte. Abbiamo 222 miliardi di euro che attengono precisamente ai fondi Next generation Eu, in totale 310 miliardi che computano anche le risorse legate alla riprogrammazione dei fondi strutturali (20 miliardi) e quelle in legge di bilancio.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, così si chiama o in sigla PNRR, alla fine è arrivato. E con i suoi obbiettivi e argomenti dobbiamo fare i conti. Ci sono state diverse versioni e allocazioni delle risorse nel tempo. Il risultato è l’esito di spinte contrapposte e spesso confliggenti, ma è il piano del governo Conte che dovrebbe traghettare il Paese dal 2021 al 2026. La tempistica non è banale. In realtà è molto sfidante; il 70% delle risorse di Next generation Eu (NGEU) dovrebbe essere impegnato entro il 2022, e il restante 30% tra il 2023 e il 2025. Se ci fosse solo uno scarto di pochi decimi sarebbe un risultato inedito per tutto il Paese e smentirebbe molte delle resistenze maturate nel corso degli ultimi 20 anni.
Pur tra tante criticità, il PNRR chiarisce quali sono i settori strategici essenziali. Si tratta di un passaggio politico ed economico che tecnicamente dovrebbe condizionare il soggetto pubblico e ancor di più il soggetto privato. Questi sono: 1) istruzione, 2) ricerca, 3) accesso alle tecnologie digitali, 4) tutela e qualità dell’ambiente, 5) infrastrutture per la mobilità sostenibile, 6) infrastrutture sociali.
Il PNRR ricorda anche i nodi di struttura del sistema economico che condizionano la crescita del Paese. In ordine troviamo: 1) debole dinamica degli investimenti; 2) demografia declinante e bassa natalità; 3) ridotta dimensione media delle imprese; 4) competitività di sistema del Paese; 5) elevato debito pubblico; 6) incompleta transizione verso una economia fondata sulla conoscenza (p.8). Sono oggetti pregnanti e in parte condivisibili che meriterebbero una indagine puntuale. Se questi siano o meno i nodi di struttura, sarebbe stato il caso di misurare il sistema economico nazionale per settore (NACE, classificazione statistica delle attività economiche nella Comunità europea dal francese Nomenclature statistique des activités économiques) con quello medio dei Paesi europei e, quindi, concentrare le risorse dove è più necessario per guidare la transizione verde e tecnologica del tessuto produttivo. Ciò che l’enorme documentazione del PNRR non tratta, per strano che possa sembrare, è proprio il posizionamento internazionale del tessuto economico per alcune variabili qualificanti, per esempio intensità tecnologica degli investimenti, che avrebbero potuto guidare meglio e con maggiore oculatezza le risorse da impiegare. Un difetto che in corso d’opera era ed è difficile da rimuovere.
Dalle risorse impiegate il governo stima un più 3% di PIL rispetto allo scenario base nel 2026, sebbene nel progetto del governo sottolinei come gli investimenti pubblici, pari al 70% del totale dei fondi, avrebbero un moltiplicatore di poco superiore a 2. Sul tema servirebbe una indagine di dettaglio migliore. Infatti, tre punti di PIL sembrano più che altro una stima prudenziale, con un moltiplicatore inferiore a 1.
Il PNRR rimane di difficile lettura anche in ragione delle variabili considerate. Non è un progetto legato direttamente alle risorse NGEU. Da un lato abbiamo 222 miliardi di euro che attengono precisamente ai fondi NGEU, da un altro lato abbiamo l’aggregato 310 miliardi che computano anche le risorse legate alla riprogrammazione dei fondi strutturali 2021-27 (poco più di 20 miliardi) e le risorse programmate con la legge di bilancio 2021. Sebbene ciò sia giustificabile per offrire un quadro coerente dell’azione di governo, in qualche misura sempre più legate alle prospettive europee, i livelli di governo delle poste considerate non sono coerenti e rispondano a più interlocutori istituzionali.
Tra le novità, in realtà nota, troviamo il FONDO DEI FONDI; nella sostanza è una garanzia pubblica degli investimenti privati che sarebbero comunque stati realizzati. Tutto bene, ma forse sarebbe il caso di utilizzare questi denari per industrializzare la ricerca pubblica. Infatti, per definizione, il moltiplicatore non è omogeneo per tutti i settori e quelli a maggior contenuto tecnologico registrano da tempo moltiplicatori più robusti. Nel PNRR emerge una visione più organica della debolezza tecnologica del Paese quando delinea il rafforzamento di filiera nel sistema della ricerca e nel sistema economico, via grandi infrastrutture di ricerca, i partenariati allargati per lo sviluppo di progetti di ricerca orientati alle sfide strategiche di innovazione, ma il Fondo dei Fondi dovrebbe intervenire per industrializzare la R&D pubblica. Diversamente non ci sarebbe nessun moltiplicatore.
Sempre rispetto al PNRR è necessario fare una puntualizzazione rispetto alle così dette diseguaglianze: “È illusorio pensare di poter conseguire una crescita economica al di fuori di un modello di sviluppo sostenibile e senza affrontare le diseguaglianze di genere, generazionali e territoriali”. Sebbene vi siano buone ragioni per giustificare le intenzioni del Governo, la principale diseguaglianza legata alla distribuzione del reddito non è mai presa in considerazione, sebbene sia la principale causa o una delle cause del rallentamento economico. Perché non è stata presa in considerazione? L’assenza di un tale proposito è legata al fatto che per ridistribuire il reddito occorre intervenire nel mercato primario, cioè nelle regole di ingaggio tra rappresentanza del lavoro e del capitale? È stato più accomodante rifugiarsi nella disputa tra diseguaglianze di genere, generazionale e territoriale? Ovviamente, NGEU non prevede questo livello di trattazione, ma inserirlo come orizzonte delle altre tre diseguaglianze non sarebbe suonato poi tanto male.
La ripartizione del denaro per missione è variata tra la prima e l’ultima versione (12 gennaio 2021). Difficile dire se in meglio o in peggio. Da un lato guadagna terreno la Sanità, la coesione sociale, l’istruzione e la ricerca, mentre perdono terreno la digitalizzazione e l’innovazione, così come la rivoluzione verde (si veda figura sottostante). Possiamo discutere dell’opportunità o meno di tale scelta, ma l’idea sottostante, probabilmente, è quella di una difficile transizione che necessita di una quantità di maggiori risorse per la coesione sociale, la sanità e l’infrastrutturazione del Paese rispetto alla transizione ecologica e tecnologica che il Paese deve affrontare.
Il PNRR non offre maggiori informazioni generali. Le missioni sono ben definite così come le 16 componenti funzionali e le 47 linee di intervento. Alcune linee di intervento sono un duplicato che rispondono, probabilmente, a principi contabili piuttosto che economici. Sarebbe il caso di sviluppare anche un bilancio economico di NGEU, anche per governare la messa a terra dei progetti. Diversamente, i moltiplicatori impliciti di NGEU sono troppo soggettivi e con esiti estremamente diversi a seconda della loro computazione. Di seguito trovate una tabella che tenta di ricostruire gli effetti economici di NGEU, ma non devono essere presi troppo alla lettera. Piuttosto suggeriscono un lavoro di migliore precisazione economica delle poste del PNR.