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Il privilegio del lavoro da casa al tempo del distanziamento sociale

I lavoratori non sono uguali di fronte alla pandemia: solo il 30% ha un’occupazione che si può svolgere da casa. E di questa opportunità godono i meglio pagati e tutelati. Servono misure su parità di accesso alle condizioni di lavoro, turni e orari, sicurezza sul lavoro. Da “Etica ed Economia”.

L’emergenza da Covid-19 è stata salutata dal Ministro italiano per l’innovazione tecnologica come “una grandissima opportunità per spingere l’Italia verso il digitale”. Il riferimento è al ruolo che il digitale può svolgere nel garantire, in tempi di pandemia, la continuità delle attività economiche nonché di servizi essenziali quali l’istruzione e, più in generale, la gran parte dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni.

Il distanziamento sociale e l’obbligo di rimanere nelle proprie abitazioni pongono la necessità di riorganizzare in tempi brevi l’attività lavorativa affinché questa possa essere svolta ‘da casa’. È lo ‘smart-work’, pratica non nuova ma diffusa in maniera limitata e in circoscritti ambiti del sistema produttivo (quali le grandi imprese e la Pubblica Amministrazione): quelli che dispongono degli accessi a infrastrutture materiali e immateriali necessarie per lo svolgimento del lavoro da remoto. Tuttavia, nella corsa al contenimento della pandemia, lo smart-work sembrerebbe essere in grado di garantire la continuità occupazionale e la futura ripartenza dell’economia.

Tralasciando per il momento le problematiche legate al “lavoro agile” ed al conflitto tra capitale e lavoro (quali per esempio l’ergonomia, la gestione dell’orario ed il controllo del lavoratore), è lecito chiedersi, in primo luogo, se sia davvero così semplice lavorare da casa e preservare occupazione e reddito. In secondo luogo, è importante approfondire quali ripercussioni può avere questa transizione verso il lavoro digitale di fronte alla grande eterogeneità nelle mansioni svolte, nei redditi percepiti e nelle garanzie contrattuali. Rispondere a queste domande è dirimente per analizzare in che misura la diffusione della pandemia, unitamente all’attuazione di misure di distanziamento sociale, stia aggravando le disuguaglianze in vari ambiti: nell’accesso a servizi come l’istruzione, nelle condizioni abitative, e anche nella possibilità di svolgere il proprio lavoro.

Metodologia. I risultati che seguono adattano ed espandono la metodologia proposta da J. Dingel,  e  B. Neiman, (“How Many Jobs Can be Done at Home? Becker Friedman Institute White Paper, 2020) per analizzare le occupazioni che possono essere svolte da casa negli Stati Uniti a partire dal dizionario delle professioni O*NET. L’analisi per l’Italia si basa su una banca dati integrata tra il dizionario delle professioni italiane, l’Indagine Campionaria sulle Professioni (ICP), e le rilevazioni delle Forze di Lavoro ISTAT – aggiornate al 2016. Per individuare le attività che non si possono svolgere da casa sono state selezionate una serie di domande appartenenti alle due sezioni dell’ICP che informano:

  • sull’intensità dell’esecuzione di attività che prevedono: i) l’uso, il controllo, la riparazione o gestione di macchine, attrezzature, veicoli; ii) il contatto sociale, il prendersi cura o assistere altri; iii) l’invio di email;
  • sul contesto di lavoro indicando quali attività si svolgono prevalentemente all’aperto, prevedono esposizioni al rischio di malattie e infezioni, prevedono di compiere movimenti esposti al rischio di lesioni, necessitano dell’utilizzo di attrezzature di protezione.

A tali domande per ciascun lavoratore intervistato per categoria occupazionale a 4-digit è assegnata dall’ICP una rilevazione di intensità con una scala che va da 0 a 100. Affinché una professione sia classificata come “non da casa” occorre che la maggior parte dei rispondenti passi una larga parte del tempo di lavoro in ambienti esterni e precipui allo svolgimento della mansione, o utilizzi mezzi di lavoro, macchinari, utensili e attrezzature o equivalentemente abbia contatto continuo con il pubblico. Ad esempio, se per una data occupazione la maggior parte dei rispondenti segnala che è molto importante controllare macchinari e usare attrezzature tale occupazione non potrà essere svolta da casa. E ciò vale anche se la maggior parte dei rispondenti segnala che svolge mansioni all’aperto per la maggior parte del suo tempo di lavoro. Al contrario, se si mandano email molto spesso tale occupazione potrà essere svolta da casa.

Dopo avere identificato le professioni a 4-digit, è possibile attribuire a ciascuna di esse una serie di informazioni provenienti dall’indagine sulle Forze Lavoro Istat su numero di occupati, retribuzioni, tipologie contrattuali e caratteristiche socio-demografiche dei lavoratori (età, sesso e livello di istruzione). Concentrando l’attenzione sugli otto grandi gruppi professionali ISCO a 1-digit, l’esercizio proposto consente di identificare le professioni che possono e che non possono essere svolte da casa sulla base delle effettive mansioni svolte e dei contesti di lavoro. Tale classificazione esclude tutte le professioni che devono essere svolte in uno spazio fisico ben definito per la relazione con i mezzi di lavoro o per il contatto sociale. In caso di obbligo di permanenza nell’abitazione, tuttavia, una professione come quella dell’insegnante di scuola primaria che non potrebbe essere svolta da casa secondo la nostra classificazione viene di fatto svolta da casa. Ci sono infatti mansioni, largamente legate alla funzione del “prendersi cura di altri” o “lavorare con il pubblico” che, riconfigurando la natura stessa della professione, potrebbero essere digitalizzate.

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