Diego Cason e Michele Nardelli, ne “Il monito della ninfea”, ricordano e riflettono sul cataclisma che ha colpito le dolomiti venete e trentine alla fine di ottobre 2018, devastando interi territori. Un evento che rischia di cadere nel dimenticatoio, ma da cui vengono molte lezioni che dovremmo imparare.
Prima dell’emergenza coronavirus è stato pubblicato il libro di Diego Cason e Michele Nardelli Il monito della ninfea di Bertelli Editori.
Il libro ha origine dal racconto del cataclisma – la tempesta di Vaia – che ha colpito l’area dolomitica (in particolare le province di Trento e di Belluno) alla fine di ottobre del 2018. Una tempesta di acqua e di fango portò allo schianto di milioni di alberi (ci ricordiamo le immagini dei TG con fiumane di tronchi a coprire intere vallate), alla devastazione di foreste e di interi territori. Il libro ricostruisce la dinamica di quella vicenda, ne stima le conseguenze economiche, ambientali e sociali, fornisce una serie di informazioni preziose sul patrimonio forestale italiano, sulla sua distribuzione nelle aree del nord-est e sulle politiche fatte e non fatte per preservarlo.
Il libro è uscito più meno nello stesso periodo in cui Venezia è stata travolta dall’acqua alta: lo ricorda Gianfranco Bettin nella sua introduzione. “Una storia che non è più soltanto di aque alte o aque grande e basta, ma è storia di un progressivo e drammatico squilibrio strutturale”. Infatti il libro, oltre a essere un utile ricordo di quella vicenda così drammatica – che rischia di scomparire dalla memoria condivisa – offre lo spunto a riflessioni sul rapporto tra ambiente ed economia, sugli effetti dello “sviluppo” sul nostro patrimonio naturale.
Ed è qui che il volume ci ricorda l’importanza della “cultura del limite” di fronte al pianeta. Il libro ripropone il “monito della ninfea” che così viene esposto dal filosofo Remo Bodei: “ninfea che raddoppia quotidianamente le sue dimensioni, di modo che il giorno che precede la copertura dell’intera superficie dello stagno, la metà ne resta ancora scoperta, per cui quasi nessuno, alla vista di tanto spazio libero, è portato a credere all’imminenza della catastrofe”.
Di fronte a questa prospettiva il testo propone la lezione di Alex Langer della conversione ecologica del suo motto lentius, profundius e suavius: bisogna rivedere non solo l’economia e ripensare il concetto di sviluppo, ma anche ripensare i comportamenti, gli stili di vita, le abitudini quotidiane. Bisogna ripensare i consumi e le produzioni: serve una diversa politica economica, ma anche una trasformazione della cultura e dell’identità collettiva sulla base di valori come la sobrietà, la moderazione, la convivialità.
Anche questa è la lezione di Vaia.