Il nostro governo festeggia miglioramenti marginali per non dover ammettere che il modello resta basato su lavoro povero e austerità: gli ultimi drammatici dati sui salari. Da Il Fatto Quotidiano
Che il potere si nutra di propaganda è un fatto assodato e che la propaganda preveda una sistematica distorsione della realtà lo è altrettanto. Negli ultimi mesi il governo Meloni ha scelto l’economia quale territorio privilegiato della sua attività propagandistica: una crescita del Pil di qualche zero-virgola sopra le attese è stata sufficiente per proporre l’Italia come una delle economie più in salute d’Europa; con la recente crisi dell’economia tedesca s’è provato a utilizzare dati congiunturali vagamente meno disastrosi del solito per occultare un declino strutturale che non accenna ad arrestarsi.
L’azione mistificatoria della propaganda si è concentrata, in modo particolare, sul mercato del lavoro. Ci si esalta perché il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni sale dal 64,8% del 2022 al 66,3 del 2023: una crescita di 1,5 punti contro un aumento medio nella Ue di 0,7 punti. Analoghe grida di giubilo accompagnano la “discesa” del tasso di disoccupazione: dall’8,1% al 7,7. È ovviamente corretto salutare positivamente miglioramenti, seppur marginali, di indicatori statistici la cui controparte reale sono persone che trovano un lavoro o che hanno minori probabilità di perderlo. La sottigliezza propagandistica sta nell’omettere una serie di non irrilevanti dettagli: l’Italia rimane ultima in classifica per tasso di occupazione (66,3% contro una media Ue del 75,3) e ha una disoccupazione sopra la media (7% contro 6). Se si guarda al dato relativo ai redditi reali delle famiglie, si scopre poi che l’Italia è riuscita a far meglio solo della Grecia: a fronte di una crescita del dato medio europeo, il reddito delle famiglie italiane nel 2023 era pari al 93,7% di quello del 2008.
Ma le omissioni non finiscono qui.