La Città del Vaticano con il suo Istituto per le Opere di Religione è ormai considerato come un impenetrabile paradiso fiscale. Riuscirà il Conclave a licenziare Mammona?
“Basta con lo Ior, sì alle banche etiche”. Oltre lo slogan, è un messaggio forte e preciso quello contenuto nel dossier pubblicato ieri da “Famiglia Cristiana” con un elenco di priorità per il prossimo Papa. Colpisce la completa bocciatura della Banca Vaticana, di fatto giudicata irriformabile. Effettivamente è quasi impossibile anche solo elencare l’impressionante serie di scandali che hanno coinvolto lo IOR. Dai tempi del Banco Ambrosiano e di Gelli e Sindona alla tangente Enimont, quando sembra che oltre cento miliardi di lire in Titoli di Stato italiani transitarono sui conti dell’istituto.
Arrivando ai tempi recenti, accuse di non rispetto delle direttive anti-riciclaggio, la stessa Città del Vaticano per molti versi assimilata a un vero e proprio paradiso fiscale. Fino alle dimissioni di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello IOR dal 2009 e sfiduciato a maggio 2012 per “non avere svolto diverse funzioni di primaria importanza per il suo ufficio”. Dietro la formula ufficiale, intrighi, l’affaire “Vatileaks” e nuove accuse di riciclaggio, molto difficili da appurare dato che lo IOR è a tutti gli effetti una banca estera, il che obbliga le autorità italiane a richiedere una rogatoria internazionale per potere procedere con le indagini.
È di fronte a questo nodo gordiano di interessi che “Famiglia Cristiana” rilancia l’idea di affidare le finanze cattoliche alle banche etiche. I principi della finanza etica sono il rifiuto della speculazione, dei paradisi fiscali, dei finanziamenti all’industria degli armamenti, e via discorrendo. Ma l’idea va molto oltre il negare alcune operazioni. La finanza etica va declinata in positivo: una completa trasparenza, la valutazione di tutte le ricadute non-economiche delle azioni economiche, la partecipazione dei soci. Modalità che stanno portando a risultati nettamente migliori non solo dal punto di vista sociale e ambientale, ma spesso anche in termini economici e finanziari. “Banca Etica” è l’unico istituto in Italia che pubblica sul proprio sito l’elenco completo dei finanziamenti concessi alle persone giuridiche, svolge un’istruttoria sociale e ambientale di ogni richiesta di finanziamento, e via discorrendo. Da quindici anni lavora con tassi di sofferenza nettamente inferiori alla media del sistema bancario.
In questa diatriba, colpisce come di fatto le prime esperienze di finanza eticamente orientata siano state promosse proprio da enti religiosi, come nel caso del Pioneer Fund di Boston, che seguendo i principi dei propri aderenti decide già nel 1928 di escludere dai propri investimenti le “azioni del peccato”, ovvero i titoli di imprese operanti nel gioco d’azzardo e nella produzione di alcolici, tabacco o armi. È il primo caso di un investitore istituzionale che introduca criteri non economici nelle proprie strategie finanziarie. Ancora oggi, molte iniziative di finanza etica sono legate a una parte del mondo religioso.
La vera discriminante è quindi differente. Troppo spesso oggi la finanza è un fine in se stesso per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile o un centro di potere per controllare settori sempre più ampi della società. La finanza etica considera la finanza semplicemente come uno strumento al servizio delle persone e dell’insieme dell’economia. Parliamo di due visioni non più conciliabili. La domanda è se la finanza debba essere una parte della soluzione oppure uno, se non il principale, problema. Molto potrebbe cambiare se solo una parte limitata delle gigantesche risorse della finanza “tradizionale” fosse indirizzata versi gli istituti che promuovono la finanza eticamente orientata, considerando che un euro di capitale sociale può trasformarsi in circa dodici euro di finanziamenti per il commercio equo, la cooperazione sociale, l’agricoltura biologica e a chilometri zero e le moltissime altre esperienze di “altra-economia”, con ricadute positive sull’ambiente e la società.
Certo, a fronte di questa visione, c’è ancora chi a fine 2010 dichiarava che “la banca etica e la finanza etica non esistono”. Testuali parole di Ettore Gotti Tedeschi, fino a pochi mesi fa presidente dello IOR.