Lo Stato dell’economia/Non è solo la recessione a spiegare la caduta del credito: gli istituti di credito hanno bassa redditività e costi fissi eccessivi
In poco più di due anni, da settembre 2011 a fine 2013, in Italia i crediti bancari sono diminuiti di oltre il 10%, ovvero di 96 miliardi di euro, una caduta ancora più rapida della contrazione del Pil. La tendenza dovrebbe proseguire almeno per tutto il 2014. Nello stesso momento, le sofferenze bancarie (ovvero la percentuale di prestiti che non vengono rimborsati) hanno superato i 160 miliardi di euro, una cifra che raddoppia se consideriamo anche i crediti deteriorati (quelli non ancora in sofferenza ma con sostanziali problemi di rientro).
Una fotografia a dire poco preoccupante delle banche italiane, e con evidenti ricadute sul sistema economico: la contrazione del credito aumenta le difficoltà delle imprese, quindi le sofferenze, il che porta le banche a chiudere ulteriormente i rubinetti, in una spirale che si auto-alimenta.
Non è unicamente la lunga recessione o il declino produttivo a causare tali difficoltà. Le banche italiane hanno una bassa redditività e costi fissi eccessivi. Su quest’ultimo dato, basti pensare al numero di sportelli e filiali aperti negli ultimi anni e che, complice la crisi da una parte e lo sviluppo di tecnologie quali l’internet banking dall’altra, porta molti istituti a essere sovra-dimensionati in termini di presenza sul territorio rispetto agli attivi. Ancora, molte banche sono chiamate a migliorare i propri coefficienti patrimoniali anche in vista dell’entrata in vigore di Basilea III (l’accordo sulle regole per limitare il rischio bancario che dovrebbe andare a regime nei prossimi anni). Aumentare i coefficienti patrimoniali significa o rafforzare il capitale sociale, cosa decisamente non facile in questo periodo, o specularmente diminuire gli attivi, ovvero andare a tagliare alcune linee di credito giudicate più rischiose o meno remunerative.
Discorsi che prescindono da comportamenti «allegri» – o peggio – tenuti da alcuni istituti negli scorsi anni, con prestiti eccessivi a settori come quello dell’edilizia oggi in profonda crisi, se non agli amici degli amici o ai «furbetti del quartierino» di turno. Dopo lo scoppio della bolla dei crisi subprime e la crisi finanziaria globale si è detto che le banche italiane «facevano le banche», finanziavano l’economia reale e non avevano raggiunto gli eccessi delle loro omologhe estere. Se questo discorso può essere condivisibile (con alcune notevoli eccezioni), paradossalmente proprio l’essere ancorate alla «economia reale» oggi in profonda recessione costituisce un ulteriore elemento di debolezza del nostro sistema bancario. Di fatto, se gli ultimi bilanci hanno chiuso per molte banche in attivo o comunque dignitosamente, questo è dovuto principalmente alla liquidità messa a disposizione dalla Banca Centrale Europea (Bce) e al suo impiego in acquisto di titoli di Stato, in particolare finché lo spread era più elevato: mi indebito all’1% e compro Btp che rendono il 5% o più. Perché dovrei rischiare erogando credito a tassi simili a famiglie e imprese?
Non che su scala europea le cose siano migliori, anzi: il settore bancario europeo è ipertrofico e estrae dall’economia per lo meno quanto apporta. A dirlo non è una qualche organizzazione movimentista ma lo European Systemic Risk Board, un’agenzia europea creata nel 2009 per la vigilanza sul sistema finanziario. In uno studio pubblicato nei giorni scorsi e intitolato Is Europe Overbanked? si legge che «secondo tutti gli indicatori, il nostro paziente ha un peso abnorme» e soprattutto che «il sistema bancario europeo ha raggiunto una dimensione tale per cui il contributo marginale alla crescita economica è probabilmente nullo o negativo». Quali sono le risposte a tali situazioni? In Italia si è parlato di una «bad bank» ovvero di una struttura nella quale fare confluire le sofferenze e i crediti deteriorati per pulire i bilanci delle banche e fare ripartire il credito. Non è però chiaro chi dovrebbe costituire tale «bad bank», con quali capitali e quali potenziali perdite. In Europa la Bce studia, tra le altre cose, la possibilità di fornire nuova liquidità a basso costo alle banche, ma vincolandola all’erogazione di prestiti a famiglie e imprese. Vedremo nel prossimo futuro se queste o altre misure riusciranno a invertire la rotta. Alcune potrebbero essere efficaci per fare ripartire il credito nel breve periodo. Allargando lo sguardo, però, parliamo di misure che sembrano pensate per mettere le toppe a un sistema inefficace quanto inefficiente e per uscire da un’emergenza, non per cambiare il sistema ed evitare che tale emergenza possa ripetersi. Mentre i burocrati europei insistono a imporre austerità e sacrifici a Stati e cittadini che hanno subito la crisi, aspettiamo ancora qualche indicazione su come fare si che la finanza privata che l’ha causata venga finalmente messa sotto controllo e torni a essere uno strumento al servizio dell’economia, una parte della soluzione e non come oggi uno se non il principale problema.