Viviamo in un tempo segnato da crisi profonde e interconnesse: l’aumento vertiginoso delle disuguaglianze, la crisi ambientale e climatica, l’instabilità politica e l’insicurezza sociale. Pubblichiamo qui l’introduzione del nuovo libro dello storico dell’economia Emanuele Felice che contiene le sue proposte per un modello di sviluppo sostenibile e giusto.
Introduzione
Umana, troppo umana. Soltanto umana. Questa è l’economia, dovrebbe essere. Le sue «leggi», che pure esistono, altro non sono che i sentieri della logica. I suoi esperimenti e le sue prove, i suoi «fatti», soltanto trame nella storia. La logica, la storia. È con questi ingredienti, o poco altro, che si diventa un buon economista. È di questi ingredienti che è fatta la disciplina che oggi domina il mondo, la scienza che si è inorgoglita fino a pervadere ogni ramo del sapere, a credere di poter spiegare la società intera e l’umana avventura; e quell’attività e dimensione del quotidiano che, simultaneamente, si è ingigantita fino a invadere ogni altra sfera della nostra vita. Fino a occupare l’etica, a presidiare la politica: le due signore da cui, ancella, germinò, ormai quasi tre secoli fa.
Ma l’ancella si è fatta padrone. E ha rovesciato l’ordine del mondo. E l’ordine del cuore. Ha stravolto il significato della vita, la direzione della storia. Economics, Economy: gli inglesi hanno due termini per indicare rispettivamente il sistema economico e la sua scienza. L’oggetto e il soggetto dello studio. Ma la loro crescita è stata parallela, nell’epoca che chiamiamo contemporanea. E anzi, a conti fatti, è proprio l’irrompere dell’economico, come un angelo della storia, in entrambi questi ambiti fra loro legati (il materiale, il culturale), uno dei due massimi sconvolgimenti che caratterizza la modernità. Quando, nel secolo dei Lumi, apparvero le prime cattedre di economia e mosse questa disciplina i primi passi – nelle isole britanniche come nella penisola italiana, o in Francia – lo «sviluppo economico moderno», non a caso, cioè la rivoluzione industriale, vedeva la luce: dopo un’incubazione durata secoli, nel ventre di quello che si definisce Occidente, una lunga gestazione che, tuttavia, era già stata capace di stravolgere il mondo, di devastare e soggiogare civiltà intere, nelle Americhe, in Africa, nelle Indie orientali. E a mano a mano che lo sviluppo decollava, letteralmente, in un turbinio di distruzione creatrice che pure ha enormemente migliorato le nostre condizioni di vita, l’economia come scienza cresceva sia in profondità e ramificazioni (dai modelli teorici agli studi d’impresa), sia nell’autorità dei suoi campioni: già nell’Ottocento, è non a caso dall’economia che muovono alcuni dei più noti, e influenti, pensatori politici del loro tempo (il liberale John Stuart Mill, il socialista Karl Marx, per citarne due).
E cresceva anche il coinvolgimento di quante più persone nel gioco economico, nei meccanismi del mercato: la libertà (reale, spesso, mai provata prima) di vendere e comprare. Come cresceva il potere, non solo economico, delle grandi imprese e dei loro magnati, che già allora sembravano dominare la politica e l’informazione (anche nelle società più progredite, più democratiche). Come cresceva lo sfruttamento che quella stessa economia generava, fino a veri e propri crimini di massa che, per dimensioni, anticipavano gli orrori del Novecento: nello «Stato libero del Congo», in realtà una gigantesca proprietà del re del Belgio, negli ultimi quindici anni dell’Ottocento milioni di persone vennero uccise, da un feroce sistema schiavistico che si proponeva di estrarre quanta più gomma possibile, al costo più basso, per smerciarla negli empori globali. L’emancipazione, la più entusiasmante, e l’oppressione, la più disperata: questo angelo o demonio ha due volti, già allora, mentre illumina i cieli del moderno.
Ma l’angelo dell’economia può fare tutto questo perché si è alleato sin dal principio con un’altra creatura, ben più potente di lui. Un dio, per molti versi. O meglio, quel che fa credere all’uomo di essere Dio. È Prometeo, libero finalmente: è la tecnologia. Una grande sfera di fuoco, come il sole, di cui l’economia appare solo l’involucro. È lei che rende possibile la Rivoluzione industriale, cioè la nascita e l’affermazione dell’economia moderna (in tutti e due i significati). È lo sviluppo tecnologico, proprio allora nel Secolo dei Lumi, dopo quella battaglia senza quartiere in Europa che era stata la Rivoluzione scientifica, che, imbevuto di conoscenza utile e volontà di potenza (e di volontà di arricchirsi), prende per la prima volta forma sistematica, nella storia umana: irreversibile, almeno fino a oggi. Vi erano stati, naturalmente, grandi avanzamenti scientifici e tecnologici in civiltà ed epoche del passato, ma non avevano mai dato luogo a un processo continuo e cumulativo: dal Settecento, invece, il ritmo del progresso scientifico e tecnologico ha accelerato e non si è fermato più. Se fino ad allora uno stesso «regime tecnologico» aveva abbracciato decine e a volte centinaia di generazioni, ora una stessa persona nell’arco di una vita può sperimentarne tre o anche quattro, di questi regimi. Mio padre, per dire, nacque alla fine della Seconda guerra mondiale in una casa in cui non c’erano né l’acqua corrente né l’elettricità, in un paese in cui era raro vedere un’automobile e nessuno aveva ancora la tv: avrebbe sperimentato tutte queste tecnologie epocali in pochi anni e poi altre ancora, fino ai personal computer e agli smartphone, alle videochiamate e ai social network. Probabilmente, l’espansione della dimensione economica ha aiutato la nascita e l’implementazione dei miglioramenti tecnologici. Ma è difficile tracciare una linea sicura, dipende da caso a caso (anche le guerre, per esempio, sono state uno stimolo decisivo per la tecnologia e queste non avevano solo motivazioni economiche; come lo sono state più in generale la politica e l’etica, ne parleremo). Quel che possiamo dare per certo, invece, è la relazione inversa: la spettacolare crescita dell’economia non sarebbe stata possibile senza questo continuo e progressivo avanzamento della tecnologia. Nel corpo dell’economia, techne è stata cuore e polmoni: il motore.
Questa alleanza fra economia e tecnologia, e fra economia e scienza, non è certo un male. Anzi, e così iniziamo a entrare nel merito del Manifesto, nell’«altra economia» che qui auspichiamo l’alleanza deve rimanere ben salda e a dire il vero, in diversi ambiti, andrebbe rinvigorita, deve trovare nuova forza. Come vedremo, vi sono motivi per ritenere che l’attuale assetto del sistema economico internazionale (le legislazioni sui brevetti e sul commercio, le regole della finanza e del fisco, le norme sulla concorrenza) freni, anziché incentivare, l’ulteriore sviluppo della scienza e della tecnologia – e con esse dell’economia – cioè la produzione e la diffusione delle innovazioni. Il problema qui è un altro. Ed è che questa alleanza non può, e di certo non deve, dominare il mondo. Economia e tecnologia devono tornare al ruolo che solo, logicamente, è compatibile con il miglioramento della condizione umana – ed è lo stesso ruolo con cui erano state pensate agli albori dell’era contemporanea, nell’età dei Lumi, quando la tecnologia ha trovato la via dell’incremento continuo e l’economia parallelamente ha iniziato a strutturarsi come scienza autonoma. Devono cioè essere indirizzate verso l’ampliamento dei diritti e delle libertà. Non devono e non possono, come invece è in questo tempo, diventare motivo di oppressione. Ma di emancipazione. Devono porsi al servizio dell’etica, che pone loro i fini. Questo è il nocciolo della questione.
Ed è una questione tanto più vitale e drammatica, ora, di quanto non fosse due o tre secoli fa, perché nel frattempo la loro forza, dell’economia e della tecnologia, è aumentata oltremisura. Pensiamoci. La tecnologia è, in fondo, quel che l’essere umano può fare, grazie alla sua intelligenza: è la potenza umana. E questa potenza è ormai cresciuta al punto da potere devastare o distruggere l’intero pianeta, in poco tempo con una guerra nucleare o lentamente con la crisi ecologica, e annientare noi con esso oltre agli altri esseri viventi. E anche al di sotto di questa scala gigantesca, che ci riguarda tutti, il potere della tecnologia è ormai tale da opprimere una singola persona con forme di controllo e coercizione prima inimmaginabili, che possono arrivare a spiare e mettere in discussione perfino la nostra coscienza. Questo enorme potere, che può soggiogare l’individuo, le società, il genere umano tutto e il pianeta, deve essere posto al servizio di un’ideale di benessere e vita buona: cioè di quelli che il pensiero etico più avanzato chiama diritti umani allargati, vale a dire i diritti civili e politici, ma anche i diritti sociali, ambientali e dei viventi non umani. Anche perché è un potere che, se bene adoperato, anziché opprimere può contribuire in modo formidabile alla felicità umana, cioè alla nostra libera realizzazione insieme alle altre persone; e senza il quale (senza la tecnologia, ad esempio, per produrre cibo), al punto in cui siamo giunti nel cammino della storia, sarebbe ormai impossibile immaginare la nostra stessa sopravvivenza.
Ma se questa è la tecnologia e questi sono i termini della sfida di fondo, l’economia che cos’è? E cosa c’entra? L’involucro, si era detto, di un sole incandescente. Un enorme involucro immateriale attraverso cui la tecnologia, oggi, scorre, cambia e prende forma. Ma l’economia è diventata anche qualcos’altro: una scienza e una pratica del potere. Che ha preso il posto della politica. E che come tale dà essa stessa, alla tecnologia, una direzione e una forma: che non è necessariamente quella dei diritti e delle libertà, non è quella posta dall’etica; ma è quella del potere economico. È questa una delle due vie per cui la tecnologia si trasforma in oppressione – sempre più terribile, ricordiamolo, a mano a mano che aumenta la sua forza. Perché guidata da un’economia totalizzante e deformata – dai tratti mostruosi, a volte, inumani – rispetto a come era stata pensata in origine. La seconda via attraverso cui la tecnologia muta in oppressione è allorquando viene comandata, invece che dall’attuale economia capitalista, dalla politica del dispotismo: la politica dei regimi autocratici o addirittura totalitari, di chi non riconosce e anzi calpesta i diritti umani (la prima legge, naturale, che il despota viola). Non si meravigli, il lettore, a questo punto: sempre più spesso troviamo l’economia trasfigurata che conosciamo e la politica del dispotismo allearsi, nel mondo in cui viviamo. Non a caso. Sono poteri che si rafforzano l’un l’altro, a scapito dei nostri diritti e delle nostre libertà. Anche nelle società occidentali.
A farne le spese è invece la politica democratica, fondata sull’equilibrio dei poteri e il riconoscimento delle libertà. È lei, la grande sconfitta di questa economia gigantesca e stravolta, assieme all’etica dei diritti. È solo la politica democratica, figlia di una società libera, quella che può guidare l’economia e la tecnologia verso l’orizzonte dei diritti, verso gli obiettivi posti dall’etica. Ma per farlo non ha che un modo: smascherare l’economia disumanizzante in cui viviamo, i suoi ingranaggi e le sue illusioni; sconfiggerla e, quindi, cambiarla. In fondo, è una lotta di potere: fra la politica dei molti e l’economia dei pochi. Che può portare alla politica dei pochi (già lo sta facendo). Oppure, al contrario, come auspichiamo, all’economia dei molti: cioè all’economia posta al servizio delle persone e dell’etica dei diritti, sorretta e guidata dalla politica democratica.
Questo libro parla quindi di economia, ma anche di etica e di politica. L’economia infatti, come disciplina, non è una scienza dotata di uno statuto separato dalle altre scienze sociali, dalla filosofia etica e politica. Allo stesso modo in cui l’economia, come insieme di attività, non può essere separata dal resto della società, dalle dimensioni culturali o dalle lotte per il potere. Ma (paradosso?) questo libro non è scritto né da un filosofo etico, né da uno scienziato politico; e forse nemmeno da un economista. Ma è scritto da uno storico (anche se, concediamocelo, uno storico dell’economia). La storia è servita e serve, nel discorso pubblico, a costruire identità o a costruire ideologie. Ma oltre a svolgere queste due funzioni – che possono rendere gli storici complici, a volte incolpevoli, di tirannie e tragedie – lo storico può assolvere anche a un altro compito, a ben vedere, ed è un compito che difficilmente agevola vecchie e nuove forme di oppressione (anzi, le ostacola): quello di decostruirle, identità o ideologie. Adoperando il pensiero critico. E rivelando le identità e le ideologie per quello che sono: invenzioni umane, legate alla lotta per il potere.
Pensare che l’economia sia un qualcosa di separato, o meglio di sovraordinato, rispetto all’etica e alla politica, e rispetto alla società, non è che un gigantesco inganno ideologico. È l’ideologia dominante del nostro tempo, funzionale agli assetti di potere oggi in vigore, che considera la sfera economica al vertice della piramide. Ed è la menzogna che questo libro vuole smascherare.
Non a caso partiremo da qui, nella prima parte: con gli occhi della storia vedremo come l’illusione di un’economia neutra e immodificabile si è affermata, nell’epoca contemporanea, in parallelo alla lotta per il potere e alle trasformazioni dell’economia reale; ma mostreremo anche, a riprova della nostra tesi, come negli ultimi due secoli una diversa economia, volta all’ampliamento dei diritti, sia riuscita ciononostante a fiorire, in alcuni contesti; vedremo gli esiti, nell’uno e nell’altro caso, che non sono solo l’aumento o la diminuzione delle disuguaglianze (ma riguardano le libertà fondamentali, la guerra e la pace, l’ambiente). Se un’altra economia è possibile, la parte due si chiede come dovrebbe essere, secondo i dettami della riflessione etica più avanzata: qual è l’economia che oggi promuove, assieme al benessere materiale, il rispetto e il rafforzamento dei diritti, la redistribuzione del potere, la tutela dell’ambiente e dei viventi non umani? E che favorisce lo sviluppo tecnologico orientandolo in questa stessa direzione, condizione indispensabile affinché tutto questo non resti solo un libro dei sogni? Infine, la terza parte è dedicata alla politica: con quali forze, in che modo trasformare l’economia da quello che oggi è a quello che vorremmo che fosse, a quello che dovrebbe diventare? Come può la politica democratica rafforzarsi e ritrovare il suo ruolo di guida, e non di servitore, pur davanti a forze così potenti?
Non troverete in questo libro formule ed equazioni, non vedrete modelli (peraltro utili, finché si limitano a farci meglio comprendere problemi puntuali): a ciascuno il suo mestiere e, il mio, non è quello dell’economista teorico, ma dello storico. Che con gli occhi della storia, e con l’arma del pensiero critico, prova a decostruire l’ideologia dominante e a capire in che modo un’altra economia, un’altra vita e un altro mondo (un’altra politica), possa prendere forma.
