Un accordo simile a quello Usa-Ue, il Ceta, sta per essere approvato. Grazie ad esso 42.000 aziende americane con filiali canadesi potranno citare per danni lo Stato nei famigerati “tribunali privati”
Mentre l’attenzione dell’opinione pubblica è puntata sulle vicende del Ttip, il famigerato trattato Usa-Ue che aumenterebbe lo strapotere delle multinazionali nei confronti non solo dei cittadini, ma anche dei governi, sta passando quasi di soppiatto un altro accordo, meno noto ma non per questo meno pericoloso, che fungerà in pratica da cavallo di Troia per le norme peggiori del Ttip, mandandole in vigore anche se quello non dovesse essere approvato. E a giocare un ruolo determinante nel facilitarne il via libera definitivo è proprio l’Italia, persino a dispetto – stando alle dichiarazioni – di vari altri governi europei, Germania e Francia compresi.
L’accordo in questione è il Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), trattato fra Unione europea e Canada. Prevede norme simili o spesso identiche al Ttip, e in particolare quei “tribunali privati” a cui possono ricorrere le imprese se ritengono che il provvedimento di uno Stato le danneggi. Se ne è già parlato abbondantemente a proposito del Ttip, quindi non stiamo qui a ripetere. Il Guardian ci ricorda per esempio che il Canada ha già perso cause contro multinazionali Usa che riguardavano la proibizione di certe sostanze chimiche cancerogene nella benzina, il reinvestimento nelle comunità locali o l’interruzione della devastazione ambientale nelle cave minerarie.
Si potrebbe magari pensare che comunque con il Canada si corrono meno rischi che con gli Usa, ma non è così. Come ricordano due interrogazioni parlamentari (a questo link, sono la F e la H) firmate da vari esponenti della sinistra, compresi alcuni del Pd, “Sono già 42 mila le aziende operanti nell’Unione che fanno capo a società statunitensi con filiali in Canada, e con l’approvazione del Ceta queste imprese potrebbero intentare cause agli Stati per conto degli Stati Uniti senza che il Ttip sia ancora entrato in vigore”. Ecco spiegata, dunque, la funzione di cavallo di Troia del Ceta.
Qualcuno magari potrebbe credere che, vista la vastissima opposizione popolare al Ttip, che ha spinto vari governi a una maggiore cautela, la Commissione Ue dovrebbe tenere conto di questi orientamenti anche a proposito del Ceta. Niente di più sbagliato. La Commissaria al Commercio Cecilia Malmström, a una domanda in proposito di un giornalista dell’Independent, ha risposto secca: “I do not take my mandate from the European people”, il mio mandato non deriva dal popolo europeo (e quindi non devo rispondere ai cittadini di quello che faccio). Quando si parla di tecnocrati di Bruxelles che se ne infischiano delle regole della democrazia non si esagera affatto.
Se poi a questi tecnocrati danno una mano anche alcuni politici, le procedure democratiche vanno a farsi friggere. E qui veniamo al ruolo che sta svolgendo l’Italia, nella persona del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, che però con ogni evidenza ha la copertura politica del governo e del suo presidente, Matteo Renzi. Calenda aveva già chiarito quale fosse la sua posizione riguardo a questi accordi: “Non si può rischiare che saltino a causa del voto negativo del Parlamento di uno dei paesi membri”, quindi a quei Parlamenti non devono essere sottoposti; la decisione dev’essere presa dal Consiglio dei capi di Stato e di governo, a maggioranza qualificata, e poi ratificata dal solo Parlamento europeo (che si sa quanto sia in grado di rovesciare le decisioni del Consiglio: mai successo).
Ora Calenda ha agito di conseguenza: ha inviato una lettera alla Commissione a nome dell’Italia sostenendo che la procedura debba essere quella. La sua iniziativa, che ha dichiarato di aver preso “in assoluta autonomia” (cosa assai poco credibile, vista la rilevanza della materia), ha provocato levate di scudi in mezza Europa: da Laura Boldrini, in difesa delle prerogative del Parlamento, al vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel, al cancelliere austriaco, al segretario al Commercio francese. Ma a causa di una singolare norma potrebbe essere decisiva.
Gli accordi commerciali sono di competenza della Commissione Ue quando riguardano solo materie che non siano anche di competenza degli Stati nazionali, come, nel caso in questione – si elenca nelle interrogazioni – “la proprietà intellettuale, i trasporti, la sicurezza sul lavoro, gli investimenti”. In questo secondo caso si definiscono “misti” e devono essere ratificati anche dai Parlamenti nazionali. Chi decide se l’accordo è “misto”? Lo decide la Commissione. Spiega Stefano Fassina, tra i firmatari di una delle interrogazioni: “Per cambiare la decisione della Commissione è necessaria l’unanimità del Consiglio. Quindi, è sufficiente il no dell’Italia per far andare avanti la posizione della Commissione”. Incredibile.
Da varie fonti arrivano voci secondo cui la posizione italiana deriverebbe da un accordo ufficioso: in cambio di questa mossa, la Commissione avrebbe chiuso un occhio e anche l’altro sui nostri conti traballanti, e avrebbe dato il via libera al Fondo di garanzia pubblica per le banche. E’ plausibile ma non abbiamo modo di verificare se sia vero. Se così fosse l’avremmo almeno fatto per averne un qualche vantaggio. Ma visti i protagonisti, forse è stato fatto solo per convinzione.
Comunque sia andata, ora così stanno le cose. La decisione della Commissione sulla natura del Ceta, european only oppure “misto”, è prevista per martedì (5 luglio).
(Articolo pubblicato su Repubblica.it il 3 lug 2016)