I “tre mesi per salvare l’euro” annunciati dalla direttrice del Fondo monetario hanno innescato reazioni scomposte, rivelando le contraddizioni europee
Ranghi scomposti e rovesciamenti di ruoli. Sono questi gli effetti che i “tre mesi per salvare l’euro” annunciati da Christine Lagarde hanno avuto sui potenti dell’economia. La direttrice (francese) del Fondo monetario internazionale ha lanciato un attacco all’attendismo della Germania, ma esprime un punto di vista tutto di Washington: l’ostilità anglosassone verso l’euro e l’esigenza di far ripartire l’economia mondiale nei tre mesi che servono a Barack Obama per vincere le elezioni di novembre. Tra Parigi e Berlino è braccio di ferro tra l’austerità tedesca del “fiscal compact” e il progetto di François Hollande per la crescita. In Europa c’è uno scontro inedito tra Banca centrale europea e Bundesbank tedesca sul progetto di “Unione bancaria”, la vigilanza comune sulle banche per evitare che a salvarle debbano essere sempre i contribuenti. La Germania schiaccia il freno, Mario Draghi preme sull’acceleratore, incalzato dalla crisi delle banche spagnole appena salvate con 100 miliardi di euro di aiuti pubblici, una promessa che non ha ridato fiducia ai mercati. E che ha invece dato il via alle proteste degli altri paesi “salvati” – Grecia, Portogallo e Irlanda – che hanno dovuto accettare condizioni più pesanti di quelle concesse alla Spagna.
La crisi è aggravata dalla fuga di capitali che procede a ritmi record da tutti i paesi della periferia: oltre 500 milioni di euro al giorno sono ritirati dalle banche in Grecia, la Svizzera è inondata di capitali italiani e il rifinanziamento della Bce fatica a compensare queste fughe che aprono enormi squilibri nei conti con l’estero. La politica insegue – in ordine sparso – i disastri della speculazione, ma non fa nulla per fermarla: di tassare la finanza si parla senza agire, le banche vengono salvate senza imporre la separazione tra attività di credito e speculazione, senza cambiarne le strategie. Di questo passo, le prossime emergenze riguarderanno i controlli sui movimenti di capitali e i tassi insostenibili sul debito pubblico. In Italia siamo al 6% sui titoli decennali, forse 15 miliardi di spesa per interessi in più, mentre peggiora il fabbisogno di finanza pubblica. E’ bene che il presidente Napolitano si sia convinto ieri dell’esigenza di eurobond e riscopra la piena occupazione come “obiettivo primario” della politica economica, ma il governo Monti insiste sulla “disciplina di bilancio” e vara nuovi tagli di spesa.
Intanto, una nuova vittima del contagio finanziario ha chiesto ieri gli stessi aiuti della Spagna. E’ Cipro, un paradiso fiscale membro dell’euro, in cui due banche hanno un buco pari – secondo Moody’s – al 20% del Pil cipriota. Dal 1 luglio sarà Cipro ad avere la presidenza di turno dell’Unione europea. La più grande area economica del mondo guidata da un centro di speculazione in bancarotta: potrebbe essere il tragico epilogo di un’Europa incapace di legare le mani alla finanza. Questo articolo è uscito anche su “il manifesto” del 14 giugno