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La crisi salariale è sintomo e causa del declino italiano

Il calo iniziato nei Novanta è proseguito col Covid. Le cause sono su tre livelli: la rivincita del capitale globale dopo gli anni 70, il modello “tedesco” dell’Ue e le politiche del lavoro dei nostri governi. Da Il Fatto

La stagnazione dei salari affligge l’Italia dall’inizio degli anni 90 ed è uno dei segni più evidenti del suo declino economico. I dati recentemente forniti dall’Ocse sono impietosi: tra il 1990 e il 2020, l’Italia è l’unica economia con una contrazione del salario medio annuo (-2,9%), mentre in tutte le altre aumenta a una (Spagna, +6,2%) o, più spesso, a due cifre (Francia +31,1%, Germania +34%). Il trend discendente è continuato anche dopo la pandemia: il salario medio italiano ha mostrato un’ulteriore contrazione (-1%).

Questi dati parlano di un’emergenza che è sociale ed economica. Sul piano sociale, la stagnazione dei salari si associa a situazioni di deprivazione diffusa, le cui conseguenze sono particolarmente acute per i soggetti più fragili: minori in famiglie a basso reddito e in contesti con inadeguati sistemi di protezione sociale, persone anziane e con disabilità, migranti. A ciò va aggiunta la ben nota penalizzazione delle donne nel mercato del lavoro: in un contesto di stipendi già molto bassi, le donne italiane guadagnano ancora meno, anche a parità di professione e contratto. Da un punto di vista economico-strutturale, i salari stagnanti sono la manifestazione della riduzione del potere contrattuale del sindacato e dell’allargamento della componente precaria del lavoro. Ma riflette anche l’involuzione della struttura produttiva del Paese, con la crescita relativa di settori a basso valore aggiunto (turismo, ristorazione e servizi alla persona), bassa innovazione e competizione basata su contenimento dei costi e intenso sfruttamento.

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