La vicenda di Industria Italiana Autobus, unica fabbrica pubblica di bus nel nostro paese, si è chiusa con la privatizzazione e la svendita di un asset strategico per la mobilità sostenibile e il trasporto pubblico locale. Ce ne parla il nuovo podcast dell’Alleanza Clima Lavoro, a cura di Massimo Alberti
C’era una volta Industria Italiana Autobus… Quello che potrebbe sembrare l’inizio di una bella favola sull’unica – e ultima – fabbrica pubblica di bus nel nostro paese è in realtà la conclusione di una storia di ordinario declino industriale italiano. Il sesto episodio del podcast “A qualcuno piace verde” dell’Alleanza Clima Lavoro, intitolato “Giù dalla corriera” e curato da Massimo Alberti ripercorre le tappe di un’ennesima occasione persa.
La parabola di Industria Italiana Autobus (IIA) è poco conosciuta. L’impresa conta 600 dipendenti e 2 stabilimenti in Campania ed Emilia-Romagna, l’ex Breda Menarini di Bologna e l’ex Irisbus a Flumeri, in provincia di Avellino. Nel 2019 il governo aveva avuto la buona idea di far entrare nel capitale di IIA due soggetti a guida pubblica, ovvero Leonardo e Invitalia, insieme ad una società privata turca.
Si intravedevano in questa scelta una visione e un indirizzo di politica industriale in un campo di fondamentale importanza – quello della mobilità e del trasporto pubblico locale – sia per soddisfare i bisogni della collettività, sia per favorire una giusta transizione capace di coniugare occupazione, sostenibilità ecologica e innovazione tecnologica, mettendo al centro la produzione di autobus a basso o nullo impatto ambientale per il trasporto di massa.
Ma l’idillio dura poco, con la produzione che procede a singhiozzo nell’assenza di un vero piano industriale e di sviluppo. Un fatto quanto mai paradossale, considerando gli innumerevoli bandi e commesse dei Comuni per il rinnovo delle flotte pubbliche del TPL grazie ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. A pesare, in particolare, è il sostanziale disimpegno dei due soggetti pubblici coinvolti in IIA, a cominciare da Leonardo, che coltiva altri e più profittevoli interessi: disinvestire nella produzione civile per puntare su quella bellica.
Una vicenda emblematica e un esempio concreto di come dal “Green Deal” si sia passati al “War Deal”. Sindacalisti, lavoratori, ricercatori e ambientalisti si sono mobilitati per mantenere a guida statale un’impresa dalle enormi potenzialità per la creazione di nuovi posti di lavoro e produzioni “verdi”. Insieme, hanno lanciato un messaggio chiaro: occupazione, giustizia sociale e sostenibilità ambientale possono e devono unirsi per i lavori di oggi e di domani legati alla transizione. E in tutto questo, la mobilità sostenibile ha un grande potenziale occupazionale con il rilancio della produzione di autobus nel nostro paese.
Tuttavia il governo, rivelando un sostanziale disinteresse e la mancanza di una visione di politica industriale, ha deciso di (s)vendere al privato – peraltro a chi non sembra avere tutte le carte in regola per assicurare un futuro alla fabbrica –, mentre il principale azionista di Industria Italiana Autobus, Leonardo, si è defilato preferendo investire sulle armi. Arriviamo così alla fine della storia: un altro pezzo di patrimonio pubblico che viene privatizzato, mentre continuiamo a importare autobus prodotti all’estero.
Massimo Alberti ci racconta questa vicenda fino al capolinea, avvalendosi dei contributi di Anna Donati di Kyoto Club, Cecilia Begal di Sbilanciamoci!, Samuele Lodi della FIOM-CGIL e dell’economista Lorenzo Cresti.
Buon ascolto!
Ascolta il sesto episodio del podcast!