Il Consiglio di Stato e la patata Basf hanno fatto ripartire la grancassa degli Ogm e le relative paure. Ma davvero l’Italia è un fortino pronto a capitolare?
Quando si parla di Italia e di Ogm sembra si evochi la battaglia di Fort Alamo: il lungo assedio, la difesa eroica e la inevitabile capitolazione. Un paese accerchiato da piante transgeniche, ormai allo stremo e dalle difese indebolite dall’assenza di un progetto forte sul suo modello di sviluppo agroalimentare e addirittura minato all’interno da un Vaticano miracolosamente tecnofilo. Così è parso quando si è pensato prossimo il varo di norme di coesistenza che ammetterebbero la coltivazione di Ogm nel nostro Paese, così sembra quando si parla del loro utilizzo nell’alimentazione del bestiame, così si crede con rassegnazione per la sentenza del Consiglio di Stato che, a seguito del ricorso di un agricoltore friulano, impone al ministero dell’Agricoltura di stabilire i termini di coltivazione transgenica, e così appare dopo l’autorizzazione di una patata transgenica che la rende lecita alla coltivazione in Europa.
Ma l’Italia è novella David Crockett o l’ultimo giapponese a difesa dell’isola libera da Ogm? Non direi. Le coltivazioni transgeniche in Europa sono estremamente contenute entro un numero di ettari che sarebbero compresi nella sola superficie del comune di Roma e arretrano nell’ultimo anno del 12%, lo stesso bacino del Mediterraneo è indenne (con la sola eccezione dell’Egitto), mentre numerosi paesi comunitari hanno rivisto le loro aperture al transgenico (Francia e Germania, tanto per citare due dei principali Stati agricoli dell’Unione) e il pro-biotech presidente della Commissione Europea Barroso si dice pronto a considerare la legittimità del divieto nazionale alla coltivazione di Ogm. Nella stessa Italia, non sembra che la questione goda di particolare considerazione governativa, tanto più finita la stagione del sodalizio con l’amministrazione Bush che tanto spingeva per convincere il buon alleato ad abbracciare le sementi geneticamente modificate. La stessa sentenza del Consiglio di Stato è stata accolta da uno strano silenzio dei tanto ciarlieri ministri, con l’eccezione delle roboanti dichiarazioni del ministro Zaia, in rampa di lancio per la presidenza del Veneto, cui dovrebbero seguire coerenti atti di interdizione della coltivazione di mais Ogm. Le forze assedianti sembrano piuttosto impalpabili, si direbbe.
Fallito l’assedio resta però il cavallo di Troia dell’agricoltore friulano proclamato vincitore dal Consiglio di Stato, al cui interno si nascondono interessi molto concreti, italiani e inter- o multi-nazionali: lo segnalava lo stesso Dipartimento dell’Agricoltura USA quando a metà gennaio licenziava un rapporto di fonte ambasciata Usa in Italia, in cui si diceva che il popolo italiano dovrebbe essere educato all’apprezzamento degli Ogm e che si rivelava già abbastanza malleabile. L’Italia è d’altronde preda simbolica ben più importante dei miseri fatturati che si realizzerebbero anche qualora si sbloccassero realmente le semine transgeniche.
La minaccia di campi coperti di mais transgenico, che il ministero dell’agricoltura dovrebbe neutralizzare con un’apposita disposizione che però tarda a materializzarsi, fa ora il paio con quella della patata Ogm della multinazionale Basf, appena approvata da una decisione autoritaria della Commissione Europea, all’alba del suo insediamento, in spregio alla volontà prevalente dei cittadini europei e del voto contrario espresso dalla maggioranza dei paesi dell’Unione. Si tratta infatti di una decisione sostanzialmente monocratica, dove neanche il collegio dei Commissari europei è stato consultato, e del primo atto del nuovo Commissario Dalli chiamato a vigilare sulla Salute e le Politiche dei Consumatori europei: il maltese Dalli evidentemente interpreta il suo mandato in una maniera bizzarra, macchiando la sua investitura con un Ogm resistente ad antibiotici in barba alle preoccupazioni manifestate dall’Agenzia Europea del Farmaco e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, una decisione che probabilmente lo accompagnerà come un’ombra per i prossimi cinque anni a Bruxelles.
Ancora una volta, l’approvazione della patata transgenica non va però colta come un’ulteriore aggressione al nostro sistema agroalimentare assediato, quanto come l’ennesima prova di forza di un’industria biotecnologica arrogante e con il fiato corto, come corta –ad esempio- è la durata residua del brevetto che tutela la patata della Basf: questa verrà seminata quest’anno su piccole superfici in due soli Paesi europei attraverso contratti di coltivazione, quel contract farming che assoggetta la libertà degli agricoltori trasformandoli in prestatori d’opera a cottimo. L’Italia, salvo improbabili smentite, ne sarà esente e anche l’invocazione della clausola di salvaguardia da parte del ministro Zaia assomiglia più a una fatwa che a una necessaria misura di precauzione a tutela del nostro sistema agroalimentare.
La vicenda della patata transgenica ha infine aiutato a fugare un ulteriore spettro: la copertura morale della Chiesa agli Ogm. Preso dall’entusiasmo per la sua approvazione nell’Ue, monsignor Sanchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, da Cuba informava le agenzie di stampa che gli Ogm rappresentano un’ottima soluzione per i problemi di insicurezza alimentare del pianeta; lo dichiarava incurante del fatto che la patata ha subito modifiche genetiche per aumentarne il contenuto in amido e renderle più efficacemente trasformabili dall’industria cartaria o tessile, ma anche trascurando le cautele Vaticane, ben illustrate da una puntuale precisazione dell’Osservatore Romano in cui si ribadiva la non-posizione in materia della Chiesa e in cui si richiamava la contraddizione tra una coltivazione ormai quindicennale di Ogm e il superamento del miliardo di affamati.
Come ad ogni assedio il fortino sembra vulnerabile, ma i colpi che partono sono al momento limitati a soli fuochi pirotecnici.