Il Reddito di Cittadinanza può avere impatti significativi. Ma c’è il rischio che possa fallire a causa di incongruenze, scelte sbagliate nell’erogazione, confusione nel funzionamento, contraddizioni organizzative.
Il Reddito di Cittadinanza di cui si discute il decreto in questi giorni alla Camera è un provvedimento atteso, di cui si sentiva il bisogno da tanto tempo. È uno strumento importante di lotta alla povertà che può avere un impatto significativo nella riduzione della povertà e nel favorire l’inclusione sociale. È un provvedimento che contiene molti elementi di novità, con luci e ombre.
Le luci
In primo luogo, di fronte all’enorme aumento delle persone che vivono in condizioni di povertà assoluta (passate da 2 milioni e 427mila del 2007 a oltre 5 milioni e 58mila del 2018), uno strumento organico e più ampio possibile di contrasto alla povertà era ed è fondamentale.
È quindi merito di questo governo averlo ideato e varato. Siamo in ritardo rispetto a moltissimi paesi dell’Unione Europea e solo negli ultimi anni l’Italia ha cercato di darsi degli strumenti come il SIA (Sostegno per l’Inclusione Attiva) e il REI (Reddito di Inclusione): primi passi comunque necessari, ma insufficienti, poco finanziati e poco organici.
In secondo luogo – altro elemento positivo – va registrato lo stanziamento significativo di oltre 7 miliardi di euro nel 2019: un aumento consistente di oltre 4 miliardi di euro rispetto agli stanziamenti per la lotta alla povertà degli anni precedenti. La quantità, se gestita bene, può fare la qualità. La mole di risorse in più può essere un fattore determinante nel ridurre l’ampiezza della povertà nel nostro Paese, che tende a crescere – nonostante la piccola ripresa di questi ultimi anni – ogni anno che passa.
Solo queste due prime considerazioni basterebbero a far giudicare demenziale la proposta di alcune forze politiche di raccogliere le firme per indire un referendum abrogativo del provvedimento. Le battute e le polemiche sul “divano” sono fuori luogo e offensive verso i poveri.
Parimenti, è una totale sciocchezza augurarsi – solo per motivi di polemica politica – che il provvedimento fallisca. Sarebbe un danno per i poveri e una pietra per i prossimi anni su ogni altra proposta che riprenda l’idea di uno strumento organico di lotta alla povertà come appunto il reddito di cittadinanza.
Invece di fare i “gufi”, per usare un’espressione di un passato presidente del Consiglio, le forze politiche si impegnino a migliorare il provvedimento alle Camere. Ci auguriamo, dunque, che il Reddito di Cittadinanza abbia successo, possa funzionare e aiutare milioni di poveri a uscire da una condizione di sofferenza e disagio sociale.
Le ombre
Il rischio che il Reddito di Cittadinanza possa fallire o incontrare molti problemi è molto serio. Ci sono incongruenze nelle finalità e nella filosofia del provvedimento, errori e scelte sbagliate nell’erogazione del beneficio economico, confusione nella modalità di funzionamento, contraddizioni negli aspetti organizzativi più specifici.
Primo. È un ibrido. Nel decreto il provvedimento viene definito, in ordine di citazione, come uno strumento delle politiche attive del lavoro, di lotta alla povertà e di riduzione delle diseguaglianze. In realtà, non fa nessuna delle tre cose – a voler essere buoni – fino in fondo.
Il “reddito di cittadinanza” non è una politica attiva del lavoro. Riporre la speranza che le politiche attive del lavoro siano in mano a 6 mila navigator è una vera ingenuità: bisognerebbe invece puntare sugli investimenti (pubblici), che la Legge di Bilancio del 2019 riduce.
In secondo luogo, la povertà non si sconfigge (solo) grazie al lavoro: non dimentichiamoci che in Italia ci sono centinaia di migliaia di lavoratori poveri: 12 su 100. Nella simulazione dell’ISTAT si prevede che ben 428mila saranno i lavoratori beneficiari del Reddito di Cittadinanza. Il provvedimento e le prese di posizioni degli esponenti del governo in questi mesi fanno emergere una tesi: che la povertà sia semplicemente (o anche prevalentemente) un problema di reddito. Non è così. La povertà e un problema multidimensionale che investe diversi ambiti: educativo, abitativo, territoriale. Una politica complessiva e coordinata di lotta alla povertà non c’è. E non è solo responsabilità dell’ultimo governo. E la riduzione delle diseguaglianze ha bisogno di tutt’altri strumenti. Come ricordava il socialista Richard Henry Tawney “quello che i ricchi chiamano il problema della povertà, per i poveri è il problema della ricchezza”. Solo con una politica fiscale progressiva, con l’innalzamento dei salari e con un welfare rafforzato le diseguaglianze potranno essere ridotte veramente e in modo permanente.
Secondo. Con il provvedimento aumenta la copertura delle persone in stato di povertà assoluta, ma non così tanto come l’entità del finanziamento lascerebbe sperare. I conti non tornano. Secondo il governo sono 5 milioni (dichiarazioni del vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio alla presentazione della Card) le persone che utilizzeranno la card per i benefici del provvedimento, ma la Relazione tecnica del provvedimento parla di poco più di 3,5 milioni di beneficiari. Per l’ISTAT sono 2,7 milioni, per l’INPS 2,4 milioni e per l’Ufficio Parlamentare di Bilancio la stima è simile a quella della Relazione tecnica.
Tabella 1. Beneficiari e costi del reddito di cittadinanza
Individui | Famiglie | Costo | |
Governo | 5 milioni | ||
Relazione tecnica | 3,5 milioni | 1,3 milioni | 7,5 miliardi |
Istat | 2,7 milioni | 1,3 milioni | 6,6 miliardi |
Inps | 2,4 milioni | 1,2 milioni | 8,5 miliardi |
Ufficio Parlamentare di Bilancio | 3,6 milioni | 1,3 milioni | 7,8 miliardi |
Le persone in povertà assoluta sono 5 milioni e 58mila: con il REI venivano coperti inizialmente 1,8 milioni di poveri, che arrivavano a 2,5 milioni con la Legge di Bilancio del 2018. Ricapitolando, non abbiamo un vero Reddito di Cittadinanza, non lo avranno quelli che si trovano in stato di povertà relativa (9 milioni e 368mila persone) e nemmeno tutti quelli che si trovano in stato di povertà assoluta (5 milioni e 58mila persone). Questi ultimi sono coloro che non hanno abbastanza soldi per pagarsi i servizi fondamentali e far fronte ai bisogni primari. Le aspettative verso il Reddito di Cittadinanza si sono molto ridotte nel corso dell’elaborazione del provvedimento. È un REI un po’ più consistente (e questo va bene), con un nome nuovo – per motivi di marketing – ma con regole nuove e reinventate, tutte da sperimentare. Si ricomincia da capo.
Terzo. Centrale per il provvedimento è il lavoro. L’indispensabile riforma dei Centri per l’Impiego (CPI) avrà tempi lunghissimi ed è imprevedibile negli esiti. È probabile che la parte più importante del provvedimento – quella centrata appunto sul lavoro – non funzioni: almeno non nei tempi auspicati. Ancora non si sa come saranno assunti (comunque come precari) e formati i 6 mila navigator che si aggiungeranno ai 650 precari che già lavorano all’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche del Lavoro). I navigator sono una sorta di tutor e facilitatori: ma se il lavoro non c’è, c’è poco da facilitare. Ed essendo precari, se dovessero trovare un buon lavoro, magari lo terranno per sé invece di offrirlo ai fruitori del provvedimento.
È inoltre nota la disposizione delle tre offerte (la prima entro il raggio di 100 km, la seconda entro i 250 km, la terza in tutta Italia): nel decreto si dice che la proposta di lavoro deve essere “congrua”. Ma cos’è la congruità? Il provvedimento si rifà al decreto n. 150 del 2015 in cui si definisce congrua un’offerta di lavoro il cui salario sia superiore di almeno il 20% l’indennità percepita precedentemente. Quindi, se prendevi un reddito di cittadinanza di 780 euro, si tratta di almeno 930 euro, mentre se avevi un reddito di cittadinanza di 600 euro, si parla di almeno di 720 euro. Ma se devi spostarti da Cuneo a Torino (siamo sotto i 100 km), l’abbonamento mensile per il treno costa 120 euro e poi al lavoro (fuori casa) dovrai pure mangiare: un panino, una bottiglietta d’acqua e un caffè fanno 5 euro al giorno. Quindi, altri 100 euro al mese. E se hai una bambina di 4 anni e sei separato/a e non hai i nonni che la accudiscano? E se il contratto che ti offrono (in un call center) è di tre mesi? Magari conviene rinunciare… Insomma, molta retorica e propaganda che non fanno i conti con la realtà.
Quarto. Il meccanismo per il calcolo del beneficio è socialmente ed economicamente iniquo. L’ISEE familiare (9.360 euro è il tetto definito) e la cosiddetta “scala di equivalenza” favoriscono i single (ben il 40% dei fruitori) e non le famiglie numerose – e tra le famiglie, quelle con figli adulti e non quelle con i minori. Basta leggere le statistiche dell’ISTAT per rendersi conto che un quarto delle persone che vivono in povertà assoluta sono minori. Ma al governo quelle statistiche non le hanno lette. Il provvedimento sfavorisce le famiglie con i figli e ancora di più quelle con i bambini piccoli. E magari a causa loro – se ti chiamano per un lavoro e non sai a chi lasciare il figlio di 4 anni – perdi anche il beneficio del Reddito di Cittadinanza.
Tabella 2. Tipologia di beneficiari del Reddito di Cittadinanza (fonte: Istat)
2.1. Italiani e stranieri
Italiani | 2,370 milioni (87,6%) |
Stranieri extracomunitari | 228mila (8,5%) |
Stranieri comunitari | 102mila (3,9) |
2.2. Tra gli 1,791 milioni in età da lavoro (1-64 anni)
In cerca di occupazione | 600mila (22,7%) |
Occupati | 428mila (15,8%) |
Casalinghe | 422mila (15,5%) |
Altri inattivi | 341mila (12,6%) |
Quinto. L’erogazione del beneficio è un pasticcio organizzativo. E ha delle procedure culturalmente e socialmente assai discutibili. Riduce al minimo il ruolo degli Enti locali, che invece dovrebbero avere un ruolo centrale (come lo hanno del resto per gran parte delle politiche sociali). Il divieto di risparmiare una parte della somma erogata – che deve essere spesa tutta nel mese in cui si riceve, altrimenti la somma non utilizzata viene sottratta il mese successivo – è un atto di sfiducia e un’offesa verso i poveri, e tra l’altro è irrazionale di fronte al flusso dei bisogni che variano nel corso del tempo: all’inizio della scuola o a Natale si spende di più. Non si capisce perché a luglio e agosto non si possa accantonare qualche soldo per far fronte alle spese della scuola a settembre. Anche l’obbligo di utilizzare la piattaforma digitale è discutibile: il 21% degli italiani non ha accesso al web. E se guardiamo nello specifico, parliamo del 45% degli anziani e del 30% dei più poveri. Come faranno? Iniquo è anche il limite dei 10 anni di residenza per avere il beneficio. Non si capisce in base a quale logica (e a quale riferimento legislativo): l’unico obiettivo è far fuori un po’ di migranti e far contenta la Lega.
Speriamo che il Parlamento nei prossimi giorni sciolga questi nodi, superi le criticità e migliori il testo. C’è molto lavoro da fare. Meglio perdere qualche settimana in più che far partire un provvedimento con presenta ancora molte incongruenze e contraddizioni. Non si può pensare di replicare il modello del Mississippi per far funzionare il Reddito di Cittadinanza in Italia: Italia e Mississippi non sono proprio la stessa cosa. Bisogna evitare di far fallire un provvedimento che comunque, con tutti i suoi limiti, può alleviare la povertà e la sofferenza sociale nel nostro paese. La fretta elettorale non prevalga sul merito. Non possiamo permetterci che il Reddito di Cittadinanza sia un boomerang, fornendo un alibi a chi pensa che per affrontare il problema della povertà basti un po’ di assistenza e aiutare il volontariato a fare il suo lavoro. Questo non deve succedere.